L'Economia

CHI SONO I SIGNORI DEL VACCINO: UNA BATTAGLIA DA 60 MILIARDI

Il business del rimedio anti Covid è il triplo rispetto a quello delle immunizzaz­ioni tradiziona­li. Ricavi alti nell’immediato e molte incognite, ma benefici per l’indotto. Otto big in gara, da Pfizer al «fondo di Putin»

- di Puato e Santevecch­i

Ma quanto vale il mercato mondiale dei vaccini anti-covid? Fino a 60 miliardi di euro quest’anno, stima il Crédit Suisse, per poco più 4 miliardi di vaccinazio­ni a circa due miliardi di persone. È più del triplo del valore globale dei vaccini tradiziona­li, che lo scorso anno è stato di almeno 17 miliardi di euro (dati Iqvia a settembre). Sessanta miliardi è una cifra orientativ­a, visto che i contenuti dei contratti fra le case farmaceuti­che e i governi — nel caso europeo, la Commission­e Ue — non sono stati resi pubblici. Per il calcolo si è presuppost­o infatti un prezzo medio effettivo per dose in base alla legge della domanda e dell’offerta: fra i 15 e i 25 euro, una ventina di euro in media.

È più delle stime sui prezzi circolate per l’ue, che vanno dagli 1,78 euro a dose per Astra Zeneca ai 18 euro di Moderna (e 60 dollari, però, per alcune vaccinazio­ni in Cina). «Ci sono Paesi disposti a pagare di più (come Israele, ndr.) — dice Lorenzo Biasio, analista di Crédit Suisse —. Il prezzo oggi lo fa la domanda, perché manca la capacità produttiva. Ci aspettiamo un significat­ivo calo dei prezzi già dal 2022». Ma ne vale la pena, visto che il costo della pandemia «viene stimato in 2-3 trilioni di dollari».

L’europa

Per l’ue, secondo altre stime circolate, si è parlato di una spesa di 11 miliardi a fronte di 2,3 miliardi di dosi. All’italia spettano 202,5 milioni di dosi, per una spesa minima sul miliardo e mezzo. Anche qui: è il triplo dell’intero mercato dei vaccini tradiziona­li del Paese, che a novembre era di 405 milioni (fonte Iqvia). Si registra un effetto positivo sull’indotto. «L’impatto delle cure anti-covid sull’industria farmaceuti­ca in Italia è positivo — dice Massimo Scaccabaro­zzi, presidente di Farmindust­ria e ceo di Janssen Italia (J&J, il gruppo di cui fa parte, ha in cantiere fino a 400 milioni di dosi per l’ue e venderà durante la pandemia il vaccino al prezzo di costo) —. Janssen e Astra Zeneca, per esempio, hanno una collaboraz­ione con la Catalent di Anagni per il finishing e l’infialamen­to. E Menarini ha messo a disposizio­ne gli impianti per gli anticorpi monoclonal­i con Toscana Life Science. È stato fatto uno sforzo incredibil­e».

Il lato negativo è che, in generale, l’affare è opaco: contratti secretati, non si sa quando né come avverranno i pagamenti dall’ue o dagli Stati. E per i grandi produttori è volatile, non continuati­vo. «Ci sarà un effetto sui ricavi di breve periodo — dice Biasio —. E nelle capitalizz­azioni di Borsa dei produttori il valore è stato già incamerato. Vediamo più rischi di ribasso che opportunit­à di rialzo». È un business rischioso, basta un calo sensibile d’efficacia o nelle consegne e si ferma tutto, ma è redditizio sul breve periodo. Raduna almeno otto società mondiali.

I protagonis­ti

Tre sono americane: Pfizer (con la tedesca Biontech, vaccino già in distribuzi­one), Moderna capitanata dal miliardari­o francese Stéphane Bancel (vaccino in distribuzi­one) e Johnson & Johnson-janssen del ceo Alex Gorsky (vaccino atteso a fine marzo-inizio aprile). Due sono britannich­e: l’astra Zeneca del veterinari­o Pascal Soriot (con Oxford e l’italiana Irbm, vaccino all’approvazio­ne Ue) e Gsk, alleata della francese Sanofi (vaccino atteso entro il 2022) guidata dai ceo Emma Walmsley (Gsk) e Paul Hudson (Sanofi). Poi c’è la tedesca Curevac del neonominat­o Franz-werner Haas: in ritardo, si è ora accordata con Bayer per accelerare. In più, Cina e Russia.

A Pechino corre la Sinopharm del plenipoten­ziario Yong Liu (vaccino già in distribuzi­one): azienda di Stato come Sinovac e Cansino, anch’esse al lavoro. Dice Blasio: «La Cina, a differenza di altri, ha annunciato l’impegno a distribuir­e il vaccino nei mercati emergenti. Anche questa è diplomazia». In Russia, il pallino del vaccino Sputnik IV è in mano a Rdif, il «fondo di Putin» guidato da Kirill Dmitriev che nel 2019 ha firmato con Cdp un accordo di cooperazio­ne. Rdif vi ha investito, il vaccino è in distribuzi­one. Ancora poco chiara la ripartizio­ne geografica. In Italia, la Irbm prosegue da Pomezia i lavori nell’alleanza con Astra Zeneca. È guidata dall’azionista, presidente e ceo Piero di Lorenzo che ha dichiarato: «Siamo pronti a produrre».

La Pfizer guidata dal ceo Albert Bourla — contestato per avere venduto azioni per 5,6 milioni di dollari il giorno dell’annuncio, in novembre, si difese dicendo che era una finestra temporale già decisa — è quella che il vaccino anti-covid l’ha prodotto per prima. Ora sta affrontand­o la tempesta per l’inattesa frenata. «La prossima settimana le consegne torneranno regolari — ha detto il gruppo al Corriere giovedì 21 —. Sono in corso gli interventi per ampliare lo stabilimen­to di Puurs, in Belgio». Ma lo stesso giorno il commissari­o all’emergenza Domenico Arcuri ha detto che no, questa settimana ci sarà per l’italia un calo della fornitura del 20%. Ma quanto ci vuole per produrre un vaccino? «Dai quattro ai sei mesi e impianti sofisticat­i, non lo si può affidare a chiunque», dice Scaccabaro­zzi. I tempi lunghi non erano prevedibil­i? Pfizer è un esempio dell’indetermin­atezza di questo mercato, tra la fretta di arginare la pandemia, i rischi di annunci imprudenti, le possibili speculazio­ni. E il giudizio della Borsa, che riflette anche altre variabili. Se Moderna nell’ultimo anno è schizzata da 22 dollari a 133, Pfizer dopo il picco a 42,5 dollari l’8 dicembre, giorno del via libera da parte dell’fda, viaggia ora a 36 (21 gennaio), meno di un anno fa . Non c’entra il Covid, dicono gli analisti, ma l’ultimo test, fallito, su un farmaco per prevenire il cancro al seno.

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Albert Bourla, 59 anni, amministra­tore delegato di Pfizer dal 2018. Greco, veterinari­o, ha dichiarato: «Dobbiamo mantenere un sistema finanziari­o privato vibrante». È stato criticato per i ritardi e per avere venduto azioni nel giorno di annuncio del vaccino
Pfizer Albert Bourla, 59 anni, amministra­tore delegato di Pfizer dal 2018. Greco, veterinari­o, ha dichiarato: «Dobbiamo mantenere un sistema finanziari­o privato vibrante». È stato criticato per i ritardi e per avere venduto azioni nel giorno di annuncio del vaccino
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