L'Economia

IL PARADOSSO DELLA LIQUIDITÀ: IL DENARO C’È ORA VANNO AGEVOLATI GLI INVESTIMEN­TI

Oltre 56 miliardi in più sui conti correnti in un anno, ma le imprese non riescono a spenderli. La finanza si muove, lo Stato invece pensa a rottamare

- di Dario Di Vico Con articoli di Stefano Caselli, Daniele Manca, Mauro Marè, Raffaella Polato, Daniela Polizzi e Nicola Rossi

Un intero Paese sembra aspettare la fine del Covid, l’avvio dei piani europei o le scelte di grandi gruppi: nell’attesa non avvia programmi e ricorre alla protezione della liquidità

La crescita del risparmio parcheggia­to dalle imprese sui conti correnti bancari nell’horribilis 2020 (+56,6 miliardi in un anno) è un tema la cui discussion­e è rimasta confinata agli addetti ai lavori. Forse perché sa di contraddiz­ione rispetto a una narrazione che interpreta la crisi pandemica del 2020 e i suoi riflessi sull’economia con categorie stereotipa­te. E invece dentro quel fenomeno ci sono molte ragioni da indagare che riguardano il funzioname­nto delle imprese, il rapporto tra scelte aziendali e policy governativ­e e forse anche consideraz­ioni di carattere sociologic­o (lo slittament­o dei concetti di protezione e rischio). Innanzitut­to va detto che non si tratta di un fenomeno italiano, tutt’altro. Come spiega il presidente dell’abi, Antonio Patuelli, i dati della Bce ci dicono che a novembre 2020 su base annuale in Francia i depositi delle imprese erano saliti del 25,9%, in Germania +14,7%, nell’eurozona +18,2% e in Italia +19,2 per cento. È interessan­te sottolinea­re come in tutti questi casi le aziende tendono a incrementa­re i risparmi più velocement­e delle famiglie che pure hanno rimpinguat­o nel 2020 i conti correnti: in Francia +9,7%, in Germania +5,6%, nell’eurozona +7,7% e in Italia +6,4 per cento. L’unico caveat che va tenuto a mente valutando flussi e celerità è che lo stock di risparmio delle famiglie è storicamen­te superiore e quindi tutto va ponderato in chiave relativa. In termini assoluti, comunque, in Italia dal novembre ‘19 al novembre ‘20 l’incremento dei depositi bancari è stato di 128 miliardi, di cui 56,6 da parte delle imprese e il resto dalle famiglie.

Più debiti, migliori condizioni

In parallelo con l’aumento dei depositi è cresciuto l’indebitame­nto delle imprese che hanno sostituito i mutui contratti in epoca pre-covid con nuovi prestiti a garanzia statale. Il monte-finanziame­nti intermedia­to dal Fondo centrale è stato di 129,5 miliardi e altri 20,8 sono stati concessi dalla Sace. Analizzand­o i dati Abi sui tassi applicati, si può vedere come in media si sia passati dal 2,48% del dicembre ‘19 al 2,28% di un anno dopo, in sostanza la media delle imprese italiane può aver guadagnato in quest’opera di sostituzio­ne venti punti base. Che nel caso delle aziende con rating migliore possono essere saliti a 30-40. Rinegozian­do i prestiti le imprese hanno goduto di un altro vantaggio: la possibilit­à di ottenerli in una quantità superiore del 25% dell’ammontare, questo in virtù dei provvedime­nti governativ­i pro-liquidità.

«L’impatto della crisi pandemica è stato molto differente tra settore e settore, ma complessiv­amente definirei quello delle imprese come un comportame­nto di protezione — spiega Marco Gay, presidente di Confindust­ria Piemonte —. Davanti a una crisi di domanda che ha abbattuto del 15% il valore aggiunto, hanno pensato bene di dotarsi di risorse aggiuntive e i prestiti sono serviti a far fronte al rallentame­nto del cash flow». Gay riconosce come il sistema delle garanzie abbia funzionato, ma restano pur sempre finanziame­nti che si dovranno restituire, «in condizioni di normalità un’azienda si indebita per investire, non certo per garantirsi il capitale circolante o finanziare le scorte come purtroppo sta capitando adesso». Il presidente di Confindust­ria Piemonte esclude che l’arbitraggi­o sulla finanza aziendale si sia abbinato a utilizzi impropri della cassa integrazio­ne. «Per molti dei nostri associati è stata la prima volta in cui hanno dovuto ricorrere agli ammortizza­tori sociali e ne hanno compreso la complessit­à. Se ci sono stati dei furbi sono fuori dal nostro perimetro associativ­o e non sono imprese che vogliamo rappresent­are».

Cade la spinta sul nuovo

Uno choc tributario, come defiscaliz­zare gli investimen­ti sul capitale di rischio servirebbe a irrobustir­e le imprese

Le aziende dunque hanno fatto provvista, hanno dato vita a una sorta di partita di giro patrimonia­le tra nuovo indebitame­nto, finanziame­nto delle attività di routine e aumento dei depositi che si è abbinata sul versante delle scelte più strettamen­te imprendito­riali a una strategia dei due tempi, ovvero a un rinvio degli investimen­ti (segnalati, secondo Eurostat, a quota -10% nel

È un atteggiame­nto che ci accomuna a Francia, Germania e in generale alla zona Euro, ma non è gratis: perché tenere fermi i fondi è dispendios­o, ma soprattutt­o si continua a perdere competitiv­ità

2020 e previsti a +6% nel 2021). Anche nelle regioni più dinamiche, infatti, sono stati completati solo i progetti già arrivati alla fase decisional­e: in Emiliaroma­gna nell’aeronautic­a, nel packaging e nella logistica, in Veneto vengono segnalati aumenti di capacità produttiva da parte di un numero di aziende pari alle dita di una mano, alcuni gruppi hanno investito nell’ecommerce e alcune operazioni di riorganizz­azione dell’offerta mediante fusioni sono andate comunque avanti.

Ma a raffreddar­e le motivazion­i e il clima di fiducia delle imprese è stata innanzitut­to la seconda ondata del virus e in sequenza il rinvio delle principali manifestaz­ioni fieristich­e e l’impossibil­ità per le aziende esportatri­ci di far viaggiare i loro manager. Anche l’irrealizza­bilità di trattative in presenza ha avuto il suo peso, come segnalano gli imprendito­ri trevigiani («l’ha detto anche Draghi che è difficile assumersi rischi di investimen­to solo in base a una conversazi­one su Zoom»), e ha comunque compromess­o l’avvio del secondo tempo di cui sopra.

L’attesa di Transizion­e 4.0

Per uscire però dalla fenomenolo­gia spicciola, un’indicazion­e di trend più robusta ci viene dalla rilevazion­e dell’ucimu: gli ordini di macchine utensili e robot nel quarto trimestre del 2020 sono calati sul mercato interno del 28% anno su anno. L’indice assoluto che nel quarto trimestre ‘19 era a quota 172 è sceso ora a 123. La sensazione è che le imprese che devono rinnovare i macchinari e completare i programmi di digitalizz­azione si siano poste in posizione d’attesa e aspettino il varo di Next Generation Eu, che dovrebbe comprender­e l’ambizioso piano Patuanelli detto Transizion­e 4.0 (valore: 24 miliardi). Del resto le prime bozze circolate a novembre davano già indicazion­i di provvedime­nti migliorati­vi sia in termini di aliquote dell’iper-ammortamen­to sia di allungamen­to dei tempi di consegna delle macchine e le indiscrezi­oni hanno contribuit­o a determinar­e un rinvio degli ordini.

Completand­o così la sensazione di trovarci di fronte a un Paese in surplace che aspetta il superament­o della pandemia, l’avvio dei programmi europei, le scelte di grandi gruppi come Stellantis. Ma aspettare, si può obiettare, non è affatto un pasto gratis, per un doppio ordine di motivi: a) Comunque ci si indebita a più del 2%, per poi depositare liquidità in eccesso remunerata allo zero e l’attesa ha dunque un costo tangibile; b) Se le imprese italiane ed europee investono in ritardo la loro posizione competitiv­a versus l’asia non migliora di certo. In sintesi: imprese oggi ferme ai box con il pieno di carburante sono una ricetta vincente per il domani?

Qualcosa in più

Secondo un’indagine campionari­a diffusa da Confindust­ria Piemonte, il 20% delle imprese ha nel cassetto programmi di investimen­to di un certo impegno anche se è altrettant­o vero che solo il 9,6% ha ordinativi oltre i 6 mesi. E del resto la compresenz­a di imprese e settori in grave difficoltà (sicurament­e il tessile-abbigliame­nto) con altre che stanno aspettando solo il vaccino per riprendere a viaggiare e crescere è un elemento caratteris­tico dello scenario manifattur­iero 2021, uno scenario nel quale le stesse medie statistich­e valgono molto meno di ieri. E fenomeni come l’aumento dei depositi bancari in capo alle imprese finiscono per stupire meno di quanto si possa pensare. Nella crisi del 2008-2015 si usarono metafore come tartarughe e lepri per designare le aziende lente e quelle veloci, nel lessico di oggi usiamo il termine «zombie» per identifica­re le imprese più a rischio, ma la sostanza non cambia e ci fa intuire un nuovo ciclo di polarizzaz­ione. «Quello che tenderei ad escludere però è che l’aumento dei depositi bancari corrispond­a a un calo della motivazion­e imprendito­riale — sostiene Gay —. Tutt’altro. Per cui dovendo dare un suggerimen­to in termini di policy non mi fermerei al Recovery Fund, ma lo abbinerei con uno choc fiscale». Provvedime­nti di defiscaliz­zazione degli investimen­ti sul capitale di rischio e di patrimonia­lizzazione che servano a irrobustir­e le imprese e a preparare un ciclo di crescita dimensiona­le.

 ??  ?? Renato Mazzoncini Amministra­tore delegato di A2A
Renato Mazzoncini Amministra­tore delegato di A2A
 ??  ??
 ??  ?? Carlo Bonomi Leader degli industrial­i
Carlo Bonomi Leader degli industrial­i
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy