DA ANGELINI A DE LONGHI LA CARICA DELLE FAMIGLIE NELLE ACQUISIZIONI
Da Remo Ruffini e Renzo Rosso nella moda ad Alberto Vacchi nel packaging, agli Angelini nel farmaceutico, e gli Zucchetti della prima software house italiana: le dinastie made in Italy si muovono per crescere con acquisizioni o facendo spazio a investitori istituzionali. Anche se il gap da colmare con i concorrenti esteri resta alto
Nella disattenzione che ha contraddistinto gli ultimi anni, anche prima che il Covid irrompesse nella vita di ogni singolo cittadino, le imprese italiane — quelle sane — hanno continuare a marciare, guardando avanti. Magari buttando l’occhio ad altri Paesi quando, esasperate dai mille ostacoli, hanno pensato di trasferirsi altrove, come fanno tanti cervelli in fuga. Ma restando, poi, invece qui. E il Covid ha, semmai, fatto crene, scere un senso di appartenenza al Paese. Parliamo sempre di aziende sane, che s’interrogano sul loro ruolo nella società, che all’ultima riga del conto economico devono vedere il profitto ma che questo sia raggiunto nel rispetto delle persone.
Nella sua drammaticità, la pandemia è una interessante cartina di tornasole tra chi opera e chi soprattutto dichiara. Chi opera è andata avanti. Le nostre, infatti, sono le uniche — tra le familiari di Italia, Germania, Francia e Spagna — ad aver superato nel 2019 la redditività operativa che avevano nel 2010, colmando il divario che le separava da francesi e tedesche. Ancora, le familiari del nostro Paese hanno continuato ad assumere anche nel primo semestre dello scorso anno, quando i lockdown erano già in corso.
Il campione
Sono solo due dei tanti esempi che si possono trovare nella 12° edizione dell’osservatorio Aub, promosso da Aidaf (Associazione delle aziende familiari italiane), Cattedra Aidaf-ey di Strategia delle imprese familiari dell’università Bocconi, Unicredit e Cordusio, con il supporto di Borsa Italiana, Fondazione Angelini e Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi. L’osservatorio monitora tutte le aziende familiari italiane che hanno superato i 20 milioni di euro di fatturato. Naturalmente, l’interrogativo principale è cosa succederà «dopo», quando i confini torneranno liberi. Per avere qualche linea di riflessioturiero, è importante capire qual era lo stato di salute con il quale le imprese familiari italiane si sono presentate al, brutto, appuntamento con il Covid. E confrontarle con le concorrenti internazionali. Proprio per questo per la prima volta l’osservatorio presenta un confronto sui primi mille gruppi italiani, tedeschi, francesi e spagnoli. I risultati saranno presentati il 26 gennaio (ore 17) con un evento on line.
Movimenti
Pensando alla ripresa, e a quello che il governo sta mettendo in campo, va detto che non si potrà prescindere dalle imprese familiari: se rappresentano l’ossatura di tre dei quattro paesi considerati, certamente sono fondamentali per l’italia dove sono il 43,7% contro il 39,5% della Germania. E non si potrà prescindere dal manifatitaliane, visto che la presenza delle aziende familiari nel settore è dominante da noi (49%). Il confronto internazionale ci dice, però, che le imprese, in questo caso familiari e non familiari, hanno di fronte a sé quattro sfide. La prima è aumentare le dimensioni. Le lo sappiamo, sono più piccole di quelle tedesche e francesi: quelle con fatturato superiore a 1 miliardo di euro sono 249 in Italia, contro 608 in Germania e 381 in Francia. Considerando il rapporto tra Pil tedesco e italiano, dovremmo avere circa 322 imprese (il 33% in più) con ricavi superiori a 1 miliardo di euro. In questo senso va però segnalato un certo attivismo sul mercato.
Accanto alle (poche) aziende che da sempre hanno perseguito la strada della crescita per acquisizioni, alcune altre si stanno muovendo. Nomi come Zucchetti o Interpump, Cris, Ima e Viasat, per citare le prime 5 nella classifica per acquisizioni tra il 2015 e il 2019. Ma anche, nel 2020 e in queste settimane, dunque in piena pandemia, di Remo Ruffini di Moncler, di Renzo Rosso di Otb o di Ovs nei vari segmenti della moda, di Angelini nella farmaceutica.
La crisi innescata dal Covid darà una spinta ai processi di aggregazione. Accelerare il percorso di crescita aumentando il numero di acquisizioni è la seconda sfida che le imprese hanno di fronte: nell’ultimo ventennio (20002019) il numero di imprese acquirenti è più o meno pari al 40% in tutti i Paesi, ma ogni azienda tedesca e francese ha realizzato un numero più che doppio di operazioni (8,4 contro 3,7). Terza sfida: aprirsi al mercato dei capitali, visto che un numero minore di imprese sono quotate (il 7,4% contro il 13,4% in Germania e il 17,3% in Francia), anche se le aziende familiari quotate italiane sono l’11% contro il 4,6% delle non familiari. Gli investitori, d’altra parte, hanno mostrato di apprezzare di più le aziende facenti capo a una famiglia (vedi grafico).
Infine, le imprese devono riequilibrare il gender gap nei Cda e nei ruoli di leadership ma questo tema riguarda tutte le imprese europee, che dimostrano di essere più resistenti su questo fronte rispetto alle istituzioni.
Tra Italia, Francia, Germania e Spagna solo le nostre imprese hanno superato nel 2019 la redditività operativa del 2010
La spinta dell’osservatorio Aub: bisogna aprirsi di più al mercato, troppo poche le società quotate in Borsa