LA RICCA TELA DEL RISPARMIO: GRANDI E PICCOLI IN MOVIMENTO
Voglia di sicurezza e protezione: a dispetto di quello che si poteva immaginare con il Covid, patrimoni e conti crescono. E l’industria finanziaria è in pieno movimento: big in partita, ma che succede per Anima, Fineco e Azimut?
Quanto vale la ricchezza globale (azioni, obbligazioni, derivati, metalli, valute e immobili)? Secondo alcune stime viaggia stabilmente sopra i 360 mila miliardi di dollari. Un dato significativo sapendo che il 2020 è stato contraddistinto dalla pandemia e da una delle più gravi crisi economiche mai viste. L’impatto del Covid 19 si è manifestato inizialmente nei corsi azionari e ha causato nella prima parte dell’anno una sensibile flessione del patrimonio delle famiglie. Le misure adottate da governi e banche centrali hanno poi invertito la tendenza e già agli inizi della scorsa estate la ricchezza globale era leggermente superiore ai livelli del 2019. Ma il calo del Pil e l’aumento dell’indebitamento provocheranno danni a lungo termine, perciò la crescita della ricchezza sarà ridotta nei prossimi due anni e verosimilmente anche più a lungo. Non basta. La ricchezza mondiale resta malamente distribuita tra i Paesi ma soprattutto tra le persone. Il divario poveri-ricchissimi continua a crescere di anno in anno, con una piramide sociale che si allarga alla base e si assottiglia sempre più verso l’alto. Secondo Credit Suisse oltre il 50% della popolazione mondiale possiede meno di 10 mila dollari mentre lo 0,9% è milionario. I 2.000 ultraricchi possiedono la bellezza di 8 trilioni di dollari. Va detto che le ripercussioni dell’epidemia non sono ancora chiarissime. È evidente tuttavia che sono stati maggiormente col- piti i lavoratori meno qualificati, le donne, le minoranze, i giovani e le piccole imprese mentre ha tratto profitto chi opera nei settori che hanno prosperato durante la pandemia come, ad esempio, quello tecnologico. Per quanto riguarda le diverse aree del globo, la regione più danneggiata è stata l’america latina.
Buoni risultati
La pandemia ha penalizzato anche la crescita nel Nord America e ha generato perdite in tutte le altre regioni, con l’eccezione della Cina. Tra le maggiori economie mondiali, il Regno Unito ha registrato il livello più consistente di erosione del patrimonio in termini relativi. Al contrario di quello che si poteva prevedere, il 2020 è stato un anno molto positivo per chi opera nel risparmio gestito. Un esempio su tutti. Il gigante americano Blackrock è arrivato a registrare un totale di masse amministrate pari a 8.680 miliardi di dollari, un livello mai raggiunto prima. Il salto è di proporzioni colossali, basti pensare che alla fine del 2019 il gestito era fermo a 7.430 miliardi. Quali i motivi di questa performance? La volatilità dei mercati, alimentata dalle elezioni presidenziali americane e dall’incertezza di fronte alla nuova ondata di contagi, ha spinto molti investitori a fare affidamento sulle soluzioni offerte del colosso americano guidato da Larry Fink.
E in Italia? Nei primi nove mesi del 2020 è proseguita la corsa ai depositi. Con la pandemia è aumentato il denaro sui conti correnti: ben 126 miliardi in più. Il dato emerge dall’indagine sul risparmio e le scelte finanziarie degli italiani nel 2020, curata dalla Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo e dal Centro Einaudi. Nonostante una riduzione del Pil che dovrebbe essere valutata in circa 168 miliardi (122 dei quali accertati nei primi nove mesi dell’anno), si legge nello studio, a settembre 2020 sui conti sono disponibili 126 miliardi in più rispetto a un anno prima. Secondo i dati forniti dalla Banca d’italia alla fine di giugno, c’erano oltre 1.900 miliardi sui depositi bancari, prendendo in considerazione sia le famiglie che le imprese (1.160 miliardi circa riconducibili alle sole famiglie). Nell’emergenza sanitaria il reddito, almeno finora, si è ridotto poco ma la paura per l’andamento economico ha affossato i consumi, spinto il risparmio ed è tornata la voglia di titoli di Stato. Dopo oltre un anno di disinvestimenti di titoli pubblici, nella prima metà del 2020 gli italiani hanno ripreso a comprarli. Gli acquisti si sono concentrati nel secondo trimestre, ma la quota è certamente aumentata nell’ultimo periodo dell’anno. Cosa ha comportato per l’industria del risparmio? Con i tassi negativi destinati a durare a lungo, il sistema bancario si sta posizionando sempre di più su settori a maggiore redditività e flussi stabili come la gestione patrimoniale, il private banking e le assicurazioni. In questa prospettiva, per esempio, Intesa Sanpaolo si è accordata con il gigante del risparmio americano Prudential Financial per rilevare il 35% non ancora posseduto in Pramerica. La banca milanese già possedeva il 65% della sgr, ereditato dopo l’acquisizione di Ubi, ma il fatto di avere in casa tutti i prodotti finanziari da offrire alla propria clientela ha fatto venir meno i motivi della joint venture. Pramerica opera sia con clienti privati che istituzionali ed è attiva nei fondi comuni, nelle sicav, nei fondi alternativi e gestioni patrimoniali, con un patrimonio di oltre 65 miliardi.
La sfida tra i big...
Ma come va il risparmio gestito in Italia? Bene, anche se i margini di miglioramento restano alti, specialmente sul fronte delle commissioni e della trasparenza. Se si analizzano i dati pubblicati da Assogestioni, relativi a novembre, il patrimonio ammonta a quasi 2.400 miliardi. La classifica di settore vede il gruppo Generali in testa con oltre 544 miliardi e una quota di mercato superiore al 23% mentre Intesa, dopo l’operazione Pramerica, è seconda con 508 miliardi e quasi il 22% del mercato. Insomma, è chiaro che l’istituto, guidato da Carlo Messina, si sta rafforzando ed è scontato che voglia insidiare il primato della compagnia triestina. Il terzo operatore è la francese Amundi con oltre 199 miliardi (grazie alla cessione decisa dal dimissionario ceo di Unicredit, Jean Pierre Mustier, di Pioneer al gruppo transalpino).
...E gli altri
Al quarto posto c’è Anima Holding con 192,5 miliardi, in quinta posizione le Poste italiane, dirette da Matteo Del Fante, con oltre 111 miliardi di gestito. Nei prossimi mesi però la graduatoria potrebbe conoscere dei cambiamenti. Le difficoltà del sistema bancario e la necessità di aumentare i ricavi favoriranno nuove aggregazioni. Il che è un bene, visto che il risparmio è uno dei pochi asset rimasti all’italia. Molti osservatori, per esempio, sono convinti che il nuovo ceo di Unicredit cambierà completamente il piano industriale dell’istituto e tornerà a puntare sulle fabbriche di prodotti. Annunciare l’operazione Montepaschi e, contemporaneamente, un rafforzamento nel risparmio sarebbe un’operazione ben vista dal mercato. Gli occhi sono dunque tutti puntati su Anima che da tempo sta cercando una stabilità nell’assetto azionario (i principali soci sono Banco Bpm con oltre il 15% e le Poste con una partecipazione superiore al 10%).
La preda più ambita resta, comunque, Fineco. Alcuni analisti ritengono che potrebbe essere oggetto di attenzioni proprio da parte di Intesa. Anzi, secondo alcune indiscrezioni il dossier Fineco era già stato un anno fa sul tavolo dei vertici della banca ma, dopo attento esame, si è preferito puntare su Ubi. Resta poi da capire che cosa farà Mediobanca. Saltata l’operazione su Banca Generali, l’istituto di piazzetta Cuccia è ancora alla ricerca di opportunità per crescere nel risparmio gestito. In passato si era molto parlato di Azimut che, però, fatica a inserirsi nella cultura dell’istituto guidato da Alberto Nagel. Sempre che la pressione di Leonardo Del Vecchio non cambi gli equilibri manageriali dell’istituto. Allora tutto potrebbe accadere. Se per caso Nagel venisse chiamato a guidare Unicredit, i due candidati più accreditati alla successione sarebbero infatti Luigi de Vecchi, presidente di Emea banking, capital markets and advisory di Citi, e Paolo Basilico, ex fondatore della Kairos. Entrambi con una grande passione proprio per l’asset management.