L'Economia

Big Tech tra nuove regole e Antitrust

Facebook, Twitter, Google & co di lotta e di governo. Aiutati da Trump salgono sul carro di Biden. Ora sono nel mirino delle Authority europee e americane Ma se ci si limitasse a un sistema di tariffe di transito per chi le utilizza...

- Di Andrea Mingardi

Dopo i fatti di Capitol Hill, «Big Tech» ha inferto un duro colpo a un nemico già pesantemen­te ferito. L’account di Donald Trump è stato sospeso da Facebook ed eliminato da Twitter. Nei giorni successivi Youtube, Reddit, Snapchat hanno fatto mosse simili. A chi sostiene che si tratti di una forma di censura, i difensori di Twitter e Facebook hanno buon gioco a rispondere col primo emendament­o della Costituzio­ne degli Stati Uniti, il quale impedisce ogni limitazion­e alle manifestaz­ioni del libero pensiero, sì, ma da parte del governo. Sullo Spectator, il saggista svedese Johan Norberg ha ricordato che la libertà di parola è una «libertà negativa»: il primo emendament­o ti concede di scrivere quel che vuoi ma non implica che qualcuno sia obbligato a pubblicart­i. Viene facile a Norberg metterla in burla citando il caso del senatore trumpiano Josh Hawley, che ha sostenuto che l’editore Simon Schuster abbia violato il primo emendament­o non pubblicand­o il suo libro.

Il cortocircu­ito

C’è un cortocircu­ito nel dibattito: forti anche della section 230, una norma del 1996 che sancisce il free speech digitale, per anni i social hanno sostenuto di non essere editori ma piattaform­e, per anni i loro avversari li hanno accusati di non essere in grado di autoregola­mentarsi. Il bavaglio messo a Trump mette in crisi entrambe queste narrazioni.

Ci sono più regole nel futuro di Big Tech? In parte la fortuna delle imprese della Silicon Valley si spiega proprio col fatto che, come hanno scritto Daniele Manca e Gianmario Verona sul Corriere della Sera, «la politica viaggia a velocità inferiori a quelle della tecnologia e dei mercati». Internet non ha portato con sé solo nuove imprese, ma anche nuove abitudini, nuovi modi di interagire, sempliceme­nte inimmagina­bili per politici e regolatori. Il fatto che i bit siano meno regolament­ati degli atomi, come sostiene il finanziere Peter Thiel, ha attratto in quella direzione ingenti investimen­ti e ha liberato un ventennio di straordina­rie innovazion­i. Il primo arrivato è meglio servito ma le posizioni dominanti, nei settori nei quali l’innovazion­e viaggia veloce, non sono tutto. La storia di Internet è costellata di esempi di fallimenti nell’approfitta­re di una posizione di vantaggio: Myspace era stata comprata a caro prezzo dalla Newscorp di Robert Murdoch salvo venire completame­nte eclissata da Facebook, prima dell’avvento di itunes, Microsoft non era riuscita a sfruttare appieno la sua posizione per offrire musica ai suoi utenti, G+, il social network di Google, è stato un completo fallimento. Ma il numero di utenti, e il fatto di trafficare con qualcosa di così prezioso e sfuggente come i dati che ne tracciano la vita digitale, rende queste imprese prede appetibili per l’antitrust. Anche la politica della concorrenz­a è politica: lo è in Europa, dove ne è responsabi­le un Commissari­o, cioè un esponente del potere esecutivo e non giudiziari­o. E lo è anche negli Stati Uniti, dove può essere il Dipartimen­to di Giustizia ad aprire un’indagine. Andando per pennellate un po’ approssima­tive, negli scorsi anni abbiamo tutti imparato che l’antitrust europeo è più attento alle ragioni dei concorrent­i (la retorica è quella della difesa dei piccoli contro i grandi che li relegano in posizioni residuali), mentre quello americano ragiona più in termini di danni effettivam­ente subìti dai consumator­i. Sappiamo anche che, negli Usa, le amministra­zioni democratic­he di solito spingono nella direzione di una politica della concorrenz­a più interventi­sta, utilizzand­ola a tutti gli effetti come strumento di regolazion­e per raggiunger­e obiettivi ritenuti socialment­e rilevanti, mentre le amministra­zioni repubblica­ne frenano e preferisco­no aspettare di vedere come evolvono i mercati. Ma le cose non sono poi così chiare. Obama ha voluto la net neutrality, che avvantaggi­ava operatori over the top a scapito delle telco, la Federal Communicat­ion Commission l’ha rimossa, dopo l’elezione di Trump. La Federal Trade Commission ha però aperto un caso contro Facebook lo scorso dicembre mentre nel 2019 i cinquanta attorney general dei singoli Stati avevano già avviato uno scrutinio delle pratiche presunte anticoncor­renziali di Google. Critico delle grandi imprese tecnologic­he in casa propria, Trump le ha sempre difese dai tentativi di regolament­azione e tassazione sovrannazi­onali. È difficile dunque fare coincidere perfettame­nte il risiko degli interessi con posizioni di principio.

Gli spunti

Il bavaglio messo all’ex Presidente, a pochi giorni dalla scadenza del suo mandato, è forse più di tutto una captatio benevolent­iae. Imprese così grandi sono necessaria­mente immerse in una contrattaz­ione continua con la politica, ora esibiscono un allineamen­to valoriale con la nuova amministra­zione. È toccato al giurista libertario Richard Epstein proporre, sul Wall Street Journal ,di applicare ai social il modello delle public utility e dei monopoli naturali: in quei casi conta la disciplina delle tariffe praticate a quanti ne fanno uso, per evitare discrimina­zioni a favore di un concorrent­e o di un altro. I social sono gratis ma dovrebbero prevedere una sorta di diritto di transito. Più che a un editore, bisognereb­be pensare a una sorta di tipografia monopolist­ica, alla quale chiunque ha diritto a ricorrere per stampare il proprio giornale.

Per l’amministra­zione Biden certamente sarà una sfida. Coltivare un’alleanza con Big Tech è una prospettiv­a non priva di vantaggi, ma può anche fare gridare allo scandalo l’ala sinistra del partito. Che, un po’ come Trump, sui social ha fatto la propria fortuna ma li vuole regolament­are.

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Mark Zuckerberg, fondatore e ceo. La Federal Trade Commission ha aperto un caso contro Facebook. L’accusa è di monopolio
Facebook Mark Zuckerberg, fondatore e ceo. La Federal Trade Commission ha aperto un caso contro Facebook. L’accusa è di monopolio
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Cospirazio­nisti Jacob Anthony Chansley, noto come Jake Angeli: lo «sciamano» della setta complottis­ta Qanon ha guidato l’assalto a Capitol Hill
 ??  ?? «Bannato» Dopo l’assalto a Capitol Hill Twitter ha sospeso in maniera permanente l’account dell’ex presidente Usa @realdonald­trump
«Bannato» Dopo l’assalto a Capitol Hill Twitter ha sospeso in maniera permanente l’account dell’ex presidente Usa @realdonald­trump
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Sotto i riflettori Jack Dorsey ha fondato ed è ceo di Twitter

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