Il piano per l’ilva c’è, ma non darà la scossa
Di stabile per ora, intorno all’ex Ilva di Taranto, c’è solo quella caligine che, al tramonto, diventa una nube rossastra che infiamma il profilo della città e arriva fino al mare. L’aria intorno agli stabilimenti è pesante, e non parliamo solo di quella che si respira lambendoli. Il governo, per tramite di Invitalia, ha spadellato il nuovo piano: per il 2021 prevede 310 milioni di investimenti, il completamento della progettazione e l’affidamento degli ordini per il rifacimento dell’altoforno 5, il più grande d’europa, spento dal 2015; e il recupero delle spedizioni da 3,3 a 5 milioni di tonnellate, per arrivare agli 8 milioni del 2025 di cui 2,5 milioni provenienti dal forno elettrico. Una novità per lo stabilimento di Taranto, finora alimentato da altiforni a ciclo integrale, fortemente inquinanti, come provano i dati relativi alla qualità dell’aria e i dossier sugli effetti deleteri delle emissioni.
La totale decarbonizzazione, immaginata dal M5S per lo stabilimento, si piazza in un orizzonte lontano, visto che la riconversione a idrogeno richiede tempi e costi ingenti. Il forno elettrico oggi è un po’ come la valigia solitaria lanciata sul rullo dei bagagli che consente alle compagnie aeree di vantare il rispetto dei tempi di consegna. Ma tant’è.
La prossima tappa prevede il via libera dell’antitrust europeo all’operazione d’ingresso dello Stato nel capitale, atteso entro una quindicina di giorni. Poi si tratterà di rispettare i tempi dettati dal piano (investimenti per 412 milioni nel 2022, 433 nel 2023, 427 nel 2024 e 300 nel 2025) ma anche questo non è scontato, visto che la riapertura dell’altoforno 5 è già slittata al 2024 e di un mese è stato ritardato il decollo di quello elettrico. Per i sindacati, interpellati sul piano, cinque anni per ritornare a livelli di produzione ottimali sono troppi, visto che già due si sono spesi fin qui per trovare un accordo con Arcelor Mittal. Secondo indiscrezioni di stampa, il governo avrebbe in serbo un nome prestigioso per la presidenza dell’azienda, quello di Stefano Cao, amministratore delegato di Saipem dal 2015. Ma con la crisi in corso, anche questo asso rischia di restare nella manica di un governo che quantomeno, gli va dato atto, su Ilva una via d’uscita l’ha cercata.