Big tech, in guardia: ci sono i big pharma
I Grans (Glaxo, Roche, Astrazeneca, Novartis e Sanofi) sono la risposta europea ai Faang di Wall Street Metteranno il Vecchio Continente nelle condizioni di recuperare il divario di crescita e di profitti con gli Usa?
La buona notizia è che gli utili delle 600 società dell’indice Stoxx, stimati per quest’anno, dovrebbero crescere di oltre il 40%, secondo il consenso elaborato da Refinitiv: e sarebbe circa il doppio del 24% previsto per le 500 aziende dell’s&p Usa. La cattiva notizia è che i profitti societari sono crollati nel 2020 del 36% in Europa: tre volte tanto la contrazione (-15%) subita dalle aziende americane. E, mentre alla fine di quest’anno vedremo gli utili di Wall Street salire sopra i livelli precrisi del 2019, quelli dello Stoxx resteranno più bassi di un buon 10%. Si dirà che tutto è ormai nei prezzi, poiché l’indice statunitense ha chiuso l’anno con un rialzo superiore al 16%, mentre quello europeo è in rosso del 4%. La cosa peggiore è che i più bassi ritorni delle azioni europee sembrano destinati a riproporsi anche negli anni a venire: così sostiene un’analisi di Bank of America.
Le statistiche
Cominciamo con i risultati del 4° trimestre 2020 la cui campagna è entrata nel vivo negli Stati Uniti ed è appena iniziata da noi. Mentre gli utili dell’s&p500 dovrebbero calare di un modesto 7,5%, quelli dello Stoxx sono stimati in caduta del 26%. Inoltre, c’è la seria possibilità di vederli ancora più bassi fra un mese, quando la gran parte delle aziende avrà pubblicato i dati trimestrali, mentre in America potrebbe essere vero il contrario, senza contare che in passato le stime si sono rivelate più accurate Oltreoceano. In ogni caso, l’ultimo quarto dell’anno ripete ovunque il consueto copione: crollo degli utili per le società industriali, dei consumi (discrezionali), dell’energia e del settore finanziario. In Europa si salvano solo le utility e persino le aziende tecnologiche e farmaceutiche, diversamente dagli Stati Uniti, mostrano un andamento negativo: segno che, pur con una pandemia che ha provocato più contagi e più morti in America, la recessione che n’è seguita è stata ben più violenta nel Vecchio continente. Non a caso, la (prevista) caduta del Pil europeo (-7%) si profila doppia di quello americano (-3,5%).
Nel 2021, con la probabile contrazione dei contagi lasciata sperare dalla diffusione dei vaccini, dovremmo assistere a ben altro scenario: la ripresa economica farà lievitare gli utili dei titoli ciclici e degli altri settori che erano stati penalizzati con balzi percentuali che parrebbero entusiasmanti in Europa, se non fosse che le variazioni sono semplicemente ingigantite dalle precedenti, maggiori cadute. La cruda realtà è che il Pil dell’area euro è stimato da Bofa in crescita del 3,9%, contro il 4,5% degli Stati Uniti.
Più consolanti parrebbero le stime di Goldman Sachs, la quale, essendo più ottimista su tutto, prevede rialzi maggiori (rispettivamente 5,2% e 6,4%): ma il divario di crescita tra le due sponde dell’atlantico resta comunque intatto e l’europa potrebbe rivedere i livelli precrisi quantomeno un anno dopo l’america. E la dura realtà, come emerge dalla ricerca di Bofa, è che l’europa negli ultimi 20anni ha continuato a perdere terreno rispetto agli Stati Uniti e il resto del mondo e la tendenza è destinata a durare anche in futuro.
La gara
Negli ultimi due decenni, calcola Bofa, il Pil europeo è cresciuto del 90%, quasi la metà di quello globale (160%), cosicché la sua quota nel mondo è scesa dal 30 al 22% e una simile traiettoria hanno pure subito gli utili aziendali. Di conseguenza, il peso complessivo delle borse europee rispetto a quelle mondiali è crollato da oltre il 30% del 2000 all’attuale 17%. Ovvio, si dirà, poiché la grande crescita dei mercati emergenti e della Cina in particolare è perfettamente naturale. Ma l’europa è arretrata parecchio anche rispetto agli Usa e il divario è divenuto abissale nel settore tecnologico: assieme a quello della telefonia conta circa il 10% dell’indice Stoxx, poco variato rispetto a 20 anni fa, contro il 38% di quello americano, più che raddoppiato nel frattempo. Un altro segno di questa relativa arretratezza è che le prime 7 aziende tecnologiche americane spendono in ricerca e sviluppo tanto quanto Gran Bretagna, Francia e Spagna assieme o, comunque, più della Germania.
Si può obiettare che l’analisi di Bofa sia troppo concentrata su quella parte di economia quotata in borsa e trascuri la realtà delle piccole e medie aziende che in Italia e anche in Germania sono preponderanti. In ogni caso, un’imperfetta unione europea economica e monetaria, un eccesso di regole e di burocrazia, rigide politiche fiscali, barriere culturali e linguistiche hanno contribuito a frenare lo sviluppo e limitato la crescita delle grandi aziende tecnologiche.
Tutti questi fattori, uniti agli effetti di una globalizzazione che ha messo in crisi il sistema produttivo fin dagli anni 90 del secolo scorso, hanno finito per aumentare il divario di produttività rispetto al resto del mondo. Ma il fattore che, probabilmente, più ha contribuito a frenare la crescita del Vecchio continente è quello demografico: a causa di un tasso di natalità più basso che altrove, il numero delle persone sopra i 65 anni supera nettamente quello dei giovani sotto i 15 anni.
Ma l’europa, ammette Bofa, ha ancora qualche carta da giocare, a cominciare dal settore farmaceutico, pressoché il solo (assieme a quello del lusso) ad essere cresciuto ed aver superato l’omologo comparto americano; in Europa, dice Bofa, i GRANS (Glaxo, Roche, Astrazeneca, Novartis e Sanofi) sono l’equivalente delle 7 aziende tecnologiche statunitensi. Ma c’è dell’altro: il Vecchio continente è all’avanguardia nelle aziende votate alla sostenibilità ambientale e sociale, un settore destinato a un grande sviluppo nel prossimo ventennio.