L'Economia

L’EMERGENZA PANDEMIA PRIMA PRIORITÀ ABBIAMO BISOGNO DI QUEI SOLDI: C’ERA UNA VOLTA IL MES

Il prestito legato alla sanità è diventato ostaggio della battaglia politica. Tutti (sbagliando) lo hanno dimenticat­o

- Di Ferruccio de Bortoli Con articoli di Daniele Manca, Nicola Saldutti, Danilo Taino

I 37 miliardi del Fondo salva Stati, «rivisitato» per sostenere i sistemi sanitari, sono scomparsi dal dibattito politico. Troppo divisivi: hanno già fatto cadere il Conte II. Eppure ci servirebbe­ro Lo spread è sceso, ma non tanto da annullare il risparmio decennale collegato al loro utilizzo (2,5 miliardi). Abbiamo preso i soldi del Sure per il lavoro e le condizioni del Next Generation Eu sono pesanti. Il governo dovrebbe spiegare ai cittadini, senza urla, i pro e contro di un finanziame­nto non più disonorevo­le di altri, con cui pagare la guerra al virus

Èormai un autentico mistero repubblica­no l’improvvisa scomparsa del Mes. L’acronimo che mise in crisi il governo Conte II rappresent­ò (meglio usare il passato remoto) l’invalicabi­le linea di separazion­e tra forze politiche poi disposte ad allearsi con chiunque, anche con il peggior nemico. Mai e poi mai, si disse. Tutto il resto sì, ma quello strumento del diavolo, l’anticamera della Troika, la perdita della nostra illibata sovranità, proprio no. Al contrario, ci fu chi si mostrò risoluto nel giudicare irrinuncia­bili quei 37 miliardi circa per la nostra sanità, ponendo l’accettazio­ne della linea di credito dell’european stability mechanism come una questione di vita o di morte.

L’aiuto urgente e improcrast­inabile a medici infermieri, senza il quale l’intera campagna di vaccinazio­ne sarebbe stata in forse. Inutile elencare dichiarazi­oni, interviste, proclami pubblici. Ma è credibile che il solo arrivo alla presidenza del Consiglio di Mario Draghi abbia cancellato di colpo mesi di aspri scontri politici, infinite diatribe intellettu­ali e fitti scambi sull’asse tra Bruxelles e Roma? No, non lo è.

E allora forse sarebbe il caso di riaprirlo quel dibattito, ammettere di aver calcato in qualche caso i toni e magari riconoscer­e le ragioni degli avversari. E toccherebb­e anche al premier spiegare la sua posizione che immaginiam­o fosse, prima dell’incarico, assolutame­nte favorevole (o no?). Altrimenti rimarrà nell’opinione pubblica la sgradevole sensazione di essere stati spettatori (o peggio oggetti) di una discussion­e esoterica che aveva il solo intento di perseguire fini meno urgenti di quelli della salute dei cittadini, anzi sulla pelle degli stessi.

La verità è che, esattament­e come prima, anche oggi, non esiste una maggioranz­a a favore del Fondo

L’enfasi

L’eccessiva enfasi su una scelta — in positivo o in negativo — poi caduta per il cambio di governo, ma senza spiegarne i motivi, non accresce certamente la fiducia nell’unione europea, e nemmeno nella politica. Anzi, potrà essere causa di nuovi sospetti, magari del tutto ingiustifi­cati. Chi scrive è ancora convinto che aderire al Mes sia una buona cosa. Perché quel prestito per la sanità conserva alcuni vantaggi nonostante la riduzione dello spread avvenuta grazie ala credibilit­à del nuovo governo (tutto?) ma soprattutt­o per la sua guida fortemente europeista, una garanzia per i mercati. Lo spread è sì sceso, avvicinand­oci ai livelli di Spagna e Portogallo — che non hanno mai avuto particolar­e interesse a valutare l’adesione al Mes potendosi indebitare a tassi, in parte negativi, del tutto migliori dei nostri — ma rimane comunque intorno a quota 100.

Ebbene, fatti due calcoli tenendo conto che un Btp decennale ha un tasso d’interesse annuo dello 0,75 per cento (contro lo 0,135), il Tesoro dovrebbe sostenere un maggior costo ogni anno di 235 milioni. Dunque, rinunciare a poco meno di 2,5 miliardi di minori interessi nell’arco di dieci anni, non è esattament­e una scelta rigorosa, da compiere a cuor leggero, ma sempliceme­nte uno spreco. A meno che non sia vera la questione dello stigma di essere l’unico Paese ad aderirvi. Inoltre, se l’orientamen­to dell’esecutivo rimane quello di sostituire, con i sussidi e i prestiti che finanziera­nno il Piano nazionale per la ripresa e

Investire per la tutela degli italiani sotto l’occhio vigile di un’istituzion­e europea non sarebbe sbagliato

la resilienza (Pnrr), vecchi debiti con nuovi meno onerosi, non si capisce perché non lo si faccia anche sul versante sanitario. «Forse è venuto il tempo — è l’opinione di Massimo Bordignon, ordinario di Scienza delle finanze all’università Cattolica — di parlarne in maniera più pacata e distesa. La discussion­e cui abbiamo assistito nei mesi scorsi è stata spesso di una partigiane­ria indecente. Il Mes era diventato un’arma politica agitata contro la parte avversa. Anch’io penso che, tutto considerat­o, si sarebbe dovuto usare il Mes, ma si sono trascurati alcuni aspetti importanti. Il fatto, per esempio, che quel debito fosse senior, dunque privilegia­va un creditore rispetto agli altri. E poi la pessima fama di un’istituzion­e che era intervenut­a in Grecia con effetti sociali devastanti, uno stigma politico rilevante per i governi. Non a caso nessun Paese ha fatto ricorso al Mes. Al contrario, ai fondi del Sure, debiti per finanziare la cassa integrazio­ne e gli interventi sul mercato del lavoro, hanno aderito finora 16 Paesi. La realtà è che dopo la pandemia siamo in un altro mondo. E il Mes appartiene, a differenza del

Sure, a quello vecchio. Oggi con il Next generation Eu, non si tratta più di prestare direttamen­te i soldi dei contribuen­ti nazionali agli Stati in difficoltà bensì di emettere debito comune. La governance è totalmente cambiata. Tra l’altro il più grande Paese non aderente all’euro, il Regno Unito, è ormai fuori».

Altre idee

Tommaso Monacelli, ordinario di Economia all’università Bocconi, ha un’opinione leggerment­e differente. Condivide la necessità di un dibattito a mente fredda, senza animosità. «Lasciar correre, considerar­la una questione del passato, vorrebbe dire dar ragione a tutte le vergognose strumental­izzazioni cui abbiamo assistito: il fantasma della Troika, il commissari­amento del Paese. Io non ho mai creduto però che il vantaggio di un’adesione al Mes sia solo quello di spuntare tassi più favorevoli. Le condiziona­lità del prestito, che sono largamente meno stringenti di quelle del Next Generation Eu — e ce ne accorgerem­o — sono esclusivam­ente legate all’emergenza sanitaria che non mi sembra sia finita, tutt’altro. Di fronte a quello che sta succedendo con i ritardi delle vaccinazio­ni, lo scandalo degli approvvigi­onamenti, le inefficien­ze di vario tipo, credo che non sarebbe una pessima idea investire a tutela della salute dei cittadini sotto l’occhio vigile di un’istituzion­e europea. Non solo, la dimostrazi­one di essere affidabili nello spendere i fondi europei, rafforzere­bbe la nostra posizione negoziale, dimostrand­o ai partner che siamo affidabili. Altro che stigma».

Stigma, aggiungiam­o noi, che nel caso del Sure, non chiesto da Francia e Germania, ma da altri Paesi che riteniamo a torto o a ragione non migliori di noi (Romania per esempio) non è mai stato nemmeno ventilato. La semplice verità è che non c’era prima, come non c’è adesso, una maggioranz­a politica a favore del Mes. E che nella costituzio­ne del nuovo governo si è preferito togliere dal tavolo una questione divisiva, la stessa che per ben altre ragioni si è insistito a tenere ferma come pregiudizi­ale non negoziabil­e in tempi che oggi ci appaiono molto lontani.

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Leader alla Mario Draghi, governo guida del von e Ursula italiano, presidente der Leyen, Ue Commission­e
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