L’EMERGENZA PANDEMIA PRIMA PRIORITÀ ABBIAMO BISOGNO DI QUEI SOLDI: C’ERA UNA VOLTA IL MES
Il prestito legato alla sanità è diventato ostaggio della battaglia politica. Tutti (sbagliando) lo hanno dimenticato
I 37 miliardi del Fondo salva Stati, «rivisitato» per sostenere i sistemi sanitari, sono scomparsi dal dibattito politico. Troppo divisivi: hanno già fatto cadere il Conte II. Eppure ci servirebbero Lo spread è sceso, ma non tanto da annullare il risparmio decennale collegato al loro utilizzo (2,5 miliardi). Abbiamo preso i soldi del Sure per il lavoro e le condizioni del Next Generation Eu sono pesanti. Il governo dovrebbe spiegare ai cittadini, senza urla, i pro e contro di un finanziamento non più disonorevole di altri, con cui pagare la guerra al virus
Èormai un autentico mistero repubblicano l’improvvisa scomparsa del Mes. L’acronimo che mise in crisi il governo Conte II rappresentò (meglio usare il passato remoto) l’invalicabile linea di separazione tra forze politiche poi disposte ad allearsi con chiunque, anche con il peggior nemico. Mai e poi mai, si disse. Tutto il resto sì, ma quello strumento del diavolo, l’anticamera della Troika, la perdita della nostra illibata sovranità, proprio no. Al contrario, ci fu chi si mostrò risoluto nel giudicare irrinunciabili quei 37 miliardi circa per la nostra sanità, ponendo l’accettazione della linea di credito dell’european stability mechanism come una questione di vita o di morte.
L’aiuto urgente e improcrastinabile a medici infermieri, senza il quale l’intera campagna di vaccinazione sarebbe stata in forse. Inutile elencare dichiarazioni, interviste, proclami pubblici. Ma è credibile che il solo arrivo alla presidenza del Consiglio di Mario Draghi abbia cancellato di colpo mesi di aspri scontri politici, infinite diatribe intellettuali e fitti scambi sull’asse tra Bruxelles e Roma? No, non lo è.
E allora forse sarebbe il caso di riaprirlo quel dibattito, ammettere di aver calcato in qualche caso i toni e magari riconoscere le ragioni degli avversari. E toccherebbe anche al premier spiegare la sua posizione che immaginiamo fosse, prima dell’incarico, assolutamente favorevole (o no?). Altrimenti rimarrà nell’opinione pubblica la sgradevole sensazione di essere stati spettatori (o peggio oggetti) di una discussione esoterica che aveva il solo intento di perseguire fini meno urgenti di quelli della salute dei cittadini, anzi sulla pelle degli stessi.
La verità è che, esattamente come prima, anche oggi, non esiste una maggioranza a favore del Fondo
L’enfasi
L’eccessiva enfasi su una scelta — in positivo o in negativo — poi caduta per il cambio di governo, ma senza spiegarne i motivi, non accresce certamente la fiducia nell’unione europea, e nemmeno nella politica. Anzi, potrà essere causa di nuovi sospetti, magari del tutto ingiustificati. Chi scrive è ancora convinto che aderire al Mes sia una buona cosa. Perché quel prestito per la sanità conserva alcuni vantaggi nonostante la riduzione dello spread avvenuta grazie ala credibilità del nuovo governo (tutto?) ma soprattutto per la sua guida fortemente europeista, una garanzia per i mercati. Lo spread è sì sceso, avvicinandoci ai livelli di Spagna e Portogallo — che non hanno mai avuto particolare interesse a valutare l’adesione al Mes potendosi indebitare a tassi, in parte negativi, del tutto migliori dei nostri — ma rimane comunque intorno a quota 100.
Ebbene, fatti due calcoli tenendo conto che un Btp decennale ha un tasso d’interesse annuo dello 0,75 per cento (contro lo 0,135), il Tesoro dovrebbe sostenere un maggior costo ogni anno di 235 milioni. Dunque, rinunciare a poco meno di 2,5 miliardi di minori interessi nell’arco di dieci anni, non è esattamente una scelta rigorosa, da compiere a cuor leggero, ma semplicemente uno spreco. A meno che non sia vera la questione dello stigma di essere l’unico Paese ad aderirvi. Inoltre, se l’orientamento dell’esecutivo rimane quello di sostituire, con i sussidi e i prestiti che finanzieranno il Piano nazionale per la ripresa e
Investire per la tutela degli italiani sotto l’occhio vigile di un’istituzione europea non sarebbe sbagliato
la resilienza (Pnrr), vecchi debiti con nuovi meno onerosi, non si capisce perché non lo si faccia anche sul versante sanitario. «Forse è venuto il tempo — è l’opinione di Massimo Bordignon, ordinario di Scienza delle finanze all’università Cattolica — di parlarne in maniera più pacata e distesa. La discussione cui abbiamo assistito nei mesi scorsi è stata spesso di una partigianeria indecente. Il Mes era diventato un’arma politica agitata contro la parte avversa. Anch’io penso che, tutto considerato, si sarebbe dovuto usare il Mes, ma si sono trascurati alcuni aspetti importanti. Il fatto, per esempio, che quel debito fosse senior, dunque privilegiava un creditore rispetto agli altri. E poi la pessima fama di un’istituzione che era intervenuta in Grecia con effetti sociali devastanti, uno stigma politico rilevante per i governi. Non a caso nessun Paese ha fatto ricorso al Mes. Al contrario, ai fondi del Sure, debiti per finanziare la cassa integrazione e gli interventi sul mercato del lavoro, hanno aderito finora 16 Paesi. La realtà è che dopo la pandemia siamo in un altro mondo. E il Mes appartiene, a differenza del
Sure, a quello vecchio. Oggi con il Next generation Eu, non si tratta più di prestare direttamente i soldi dei contribuenti nazionali agli Stati in difficoltà bensì di emettere debito comune. La governance è totalmente cambiata. Tra l’altro il più grande Paese non aderente all’euro, il Regno Unito, è ormai fuori».
Altre idee
Tommaso Monacelli, ordinario di Economia all’università Bocconi, ha un’opinione leggermente differente. Condivide la necessità di un dibattito a mente fredda, senza animosità. «Lasciar correre, considerarla una questione del passato, vorrebbe dire dar ragione a tutte le vergognose strumentalizzazioni cui abbiamo assistito: il fantasma della Troika, il commissariamento del Paese. Io non ho mai creduto però che il vantaggio di un’adesione al Mes sia solo quello di spuntare tassi più favorevoli. Le condizionalità del prestito, che sono largamente meno stringenti di quelle del Next Generation Eu — e ce ne accorgeremo — sono esclusivamente legate all’emergenza sanitaria che non mi sembra sia finita, tutt’altro. Di fronte a quello che sta succedendo con i ritardi delle vaccinazioni, lo scandalo degli approvvigionamenti, le inefficienze di vario tipo, credo che non sarebbe una pessima idea investire a tutela della salute dei cittadini sotto l’occhio vigile di un’istituzione europea. Non solo, la dimostrazione di essere affidabili nello spendere i fondi europei, rafforzerebbe la nostra posizione negoziale, dimostrando ai partner che siamo affidabili. Altro che stigma».
Stigma, aggiungiamo noi, che nel caso del Sure, non chiesto da Francia e Germania, ma da altri Paesi che riteniamo a torto o a ragione non migliori di noi (Romania per esempio) non è mai stato nemmeno ventilato. La semplice verità è che non c’era prima, come non c’è adesso, una maggioranza politica a favore del Mes. E che nella costituzione del nuovo governo si è preferito togliere dal tavolo una questione divisiva, la stessa che per ben altre ragioni si è insistito a tenere ferma come pregiudiziale non negoziabile in tempi che oggi ci appaiono molto lontani.