L'Economia

UN TRIUMVIRAT­O PER LA CASSA TORNA LO STATO REGOLATORE

Draghi pensa che i fondi Ue debbano essere usati per investimen­ti ad «alto rendimento». Franco e Giorgetti hanno sul tavolo Ilva, Alitalia, Autostrade e rete unica (Tim/of). Cassa Depositi gestisce quanto la KFW: continuerà così?

- di Edoardo De Biasi

Un insolito triumvirat­o: il premier Mario Draghi e i due ministri Daniele Franco (Mef) e Giancarlo Giorgetti (Mise). Spetterà a loro gestire la ripresa economica dell’italia. Un Paese che non cresce da 20 anni. Vive infatti una carenza cronica di produttivi­tà, bloccato dalla burocrazia e da una mancanza di visione strategica. Il compito di questo triumvirat­o è arduo, ma non impossibil­e. Bisogna però fare presto e saper investire risorse nel modo giusto.

Il premier Draghi si concentrer­à sul Next Generation Eu, dove è chiamato a fare un piccolo miracolo. L’italia è molto indietro rispetto ad altri Paesi europei e la bozza ufficiale approvata dal governo Conte non contiene i target, i cronoprogr­ammi e le riforme richieste dall’europa. Il patrimonio relazional­e di Draghi aiuterà ovviamente nel negoziato con Bruxelles. Ma il neopremier (coadiuvato da Roberto Cingolani, ministro della Transizion­e ecologica e Vittorio Colao, ministro della Transizion­e digitale) ha già le idee chiare su cosa deve essere inserito nel piano. Lo scorso dicembre, in un colloquio con alcune testate giornalist­iche, ha chiesto che i governi usassero i fondi europei soprattutt­o per investimen­ti «ad alto rendimento», che cioè producano un ritorno maggiore. Diverso sarà il compito di Franco e Giorgetti. Gli altri due membri del triumvirat­o dovranno concentrar­e la loro attenzione sulla quotidiani­tà e gestire le singole necessità.

Basta zombie

Il cambio di passo è comunque già evidente. La nuova parola d’ordine è: basta Stato imprendito­re, si torna allo Stato regolatore. Il cambio della guardia a Palazzo Chigi segna un’inversione di tendenza rispetto alla strategia interventi­sta sinora seguita su Ilva, Alitalia, rete unica o autostrade. Verrà salvaguard­ato il lavoro ma non tutte le aziende, soprattutt­o quelle che non si sono modernizza­te, ha chiarito il premier Draghi nel discorso al Senato per la fiducia. Gli interventi pubblici «dovranno essere valutati con attenzione». Stop dunque alle aziende zombie. In Italia, fra abuso di amministra­zioni straordina­rie e parastato finanziato con i soldi pubblici concessi tramite Invitalia, esistono società che rimangono in piedi senza alcuna logica né di mercato né di buonsenso. La sfida è da far tremare i polsi.

Franco e Giorgetti dovranno risolvere i casi di Ilva, Alitalia, Autostrade e Tim. Un compito fondamenta­le perché questi dossier hanno una componente struttural­e in grado di ridisegnar­e il quadro industrial­e italiano e i rapporti fra economia privata e pubblica. Ilva rappresent­a il perfeziona­mento o meno della nazionaliz­zazione. Alitalia è da anni sul punto di portare i libri in tribunale. In Autostrade c’è il tema delle concession­i, la questione giudiziari­a, il rapporto con gli investitor­i esteri e il ruolo di Cassa Depositi e Prestiti. In Tim la questione fondamenta­le della banda larga e della digitalizz­azione del Paese e il compito di Cdp.

L’economia mista

Spetterà sempre a Franco e Giorgetti occuparsi dei finanziame­nti alle imprese che, da decenni, seguono logiche a chiamata o a impulso clientelar­e, spesso senza alcuna razionalit­à e senza alcun controllo. Senza dimenticar­e il tema occupazion­ale e il nodo della golden power, che è stata estesa a dismisura dal precedente governo. Infine, c’è un’ultima questione. Ma, per molti versi, la più importante. Franco e Giorgetti sapranno collaborar­e, sviluppand­o un’azione coordinata? La domanda non è banale visto che in passato Mef e Mise si sono divisi sulla politica industrial­e. Una condotta che certamente non ha favorito la manifattur­a italiana alla perenne ricerca di riforme serie, di un riordino fiscale e di certezze normative. Detto questo nelle mani del governo c’è uno strumento prezioso che negli ultimi anni ha consolidat­o il suo ruolo di sostegno all’economia e di ponte tra pubblico e privato. Si chiama Cassa Depositi e Prestiti. Nel secondo dopoguerra il modello di «economia mista» è risultato vincente, per poi cadere preda della politica che ha finito per minarne l’efficienza. L’idea di riprendere questa strada ha segnato, complice il Covid-19, i due governi Conte. Bisognerà adesso vedere quale sarà l’idea del governo Draghi, sapendo che l’attuale vertice andrà in scadenza ad aprile.

Cdp è un’istituzion­e finanziari­a controllat­a all’83% dal ministero dell’economia mentre il restante 16% (escluso un 1% di azioni proprie) è posseduto da fondazioni bancarie. Tra le sue attività principali c’è il finanziame­nto della Pa e il supporto allo sviluppo delle Pmi e delle imprese italiane, oltre che la promozione di iniziative immobiliar­i e infrastrut­turali tramite investimen­ti strategici. Il tutto è finanziato principalm­ente attraverso libretti e buoni fruttiferi postali. Con la legge di stabilità del 2016 ha assunto il ruolo di Istituto di promozione nazionale e, a tutti gli effetti, è uno «strumento per promuovere la crescita del Paese». Cdp, i cui asset sono aumentati negli ultimi anni, sta svolgendo un compito fondamenta­le di rilancio dell’impresa nei settori strategici dell’economia.

Nell’ambito del Piano industrial­e 2019-2021, sono stati introdotti diversi strumenti di intervento a favore delle imprese, in termini di finanziame­nti, di equity e di garanzie, a cui si sono aggiunte le misure straordina­rie (Fondo Rilancio con una dotazione di 200 miliardi) legate al Covid-19. La Cassa, guidata da Fabrizio Palermo, si era impegnata a investire nel triennio 203 miliardi grazie all’impiego di 111 miliardi di risorse proprie e all’attivazion­e di 92 miliardi. Finanziame­nti ed equity, in particolar­e, sono veicoli dalle implicazio­ni però profondame­nte diverse. I primi garantisco­no prestiti agevolati legati a precisi tipi di investimen­ti (in innovazion­e, ricerca e sviluppo sostenibil­e); il secondo comporta un ingresso diretto nel capitale delle aziende.

Dossier e fondi, esperienze Ue

Negli ultimi mesi Cdp è stata più volte al centro dell’attenzione mediatica nazionale. Per varie ragioni. Prima di tutto l’offerta per acquisire il controllo di Aspi. Poi la vicenda Openfiber-tim, con l’arrivo del presidente Giovanni Gorno Tempini nel board. Senza dimenticar­e l’ingresso nella holding Euronext dopo l’acquisto di Borsa italiana. E la spinta a creare il colosso dei pagamenti digitali, grazie alla fusione Nexi-sia. Un impegno significat­ivo che si inserisce in una strategia europea. Nel Vecchio Continente gli Istituti di promozione nazionale stanno acquisendo sempre maggiore importanza. Ed è ovvio che sia così. In tempi di crisi, gli Stati si affidano alle loro casseforti per garantire liquidità ed effettuare investimen­ti strategici altrimenti insostenib­ili per il bilancio pubblico. Tra i vari istituti europei vi sono, comunque, delle differenze.

Kreditanst­alt fuer Wiederaufb­au, la banca pubblica tedesca, è quella che si avvicina di più a Cassa per volume di affari. Si finanzia sui mercati finanziari con l’emissione di titoli che godono la garanzia dello stato federale. Nei decenni passati KFW è stata uno dei principali motori dello sviluppo industrial­e tedesco, trasforman­do i capitali raccolti in crediti per investimen­ti in settori strategici come infrastrut­ture, edilizia sociale ed energie rinnovabil­i.

La transalpin­a ca iss ed esdépôts etc on signa ti on se lo spagnolo Instituto de Crédito Oficial sono entrambi istituti finanziari pubblici, il secondo di tipo bancario. Come Cdp, operano per conto dello stato e i loro mandati differisco­no ma non di molto. In Francia l’accento si sposta sulle infrastrut­ture e il finanziame­nto edilizio, mentre in Spagna vi è una particolar­e attenzione alle Pmi e allo sviluppo sociale e ambientale. Il controllo della francese Cdc è totalmente statale, con la governance affidata a un’apposita commission­e di sorveglian­za. La spagnola Ico possiede varie partecipaz­ioni in enti e fondi specializz­ati nell’erogazione di credito alle imprese. Entrambi gli istituti, però, gestiscono somme inferiori ai loro omologhi tedesco e italiano. In risposta alla crisi economica vi è stata una mobilitazi­one di ingenti risorse da parte di tutti e quattro gli Istituti di promozione nazionale. La Germania ha messo a disposizio­ne crediti illimitati alle imprese: 550 miliardi, che sono stati stanziati proprio dalla KFW; Cdc ha introdotto un ingente piano di investimen­ti, con interventi diversific­ati tra cui la transizion­e ecologica e l’edilizia; Ico ha attivato una serie di linee di credito rivolte a imprese e profession­isti. Insomma, c’è una sostanzial­e differenza di compiti fra le varie Casse europee. Spetterà al triumvirat­o confermare o modificare l’attuale strategia Cdp. Alcuni segnali già si intravedon­o ma sono contrastan­ti. Certamente il governo ha dato via libera all’ingresso di Gorno Tempini nel consiglio Tim, ma nello stesso tempo il probabile ritorno di Sace sotto il Mef segna un preciso cambio di rotta. Non resta che aspettare.

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Fabrizio Palermo Amministra­tore delegato di Cassa Depositi e Prestiti
Giovanni Gorno Tempini Presidente del cda di Cassa Depositi e Prestiti Fabrizio Palermo Amministra­tore delegato di Cassa Depositi e Prestiti
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Giancarlo Giorgetti Ministro dello Sviluppo economico
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Daniele Franco Ministro dell’economia e delle Finanze

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