UN COMPITO PER IL GOVERNO FAR RIPARTIRE LA DOMANDA E AIUTARE GLI INVESTIMENTI
Non tutte le aziende hanno perso con la pandemia. Molte hanno continuato a correre, altre possono tornare a farlo. Imparare la lezione americana e inglese sui costi della crisi da suddividere
La chiave della ripresa è tutta in una domanda alla quale converrà rispondere fin da ora. Non è un interrogativo, però. Bensì quell’insieme di investimenti e consumi (tanti, senza andare per il sottile) che possa ricreare reddito e occupazione. «Per far ripartire la produttività — è scritto nell’ultimo rapporto di Ref Ricerche — le politiche dal lato dell’offerta da sole non bastano». Occorrono gli investimenti, ben fatti, del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che verranno approvati e soprattutto vigilati dall’unione europea. E con le opportune riforme anche l’attrazione di capitali stranieri sarà più robusta e continuativa. «L’occasione è unica, irripetibile — afferma Fedele De Novellis, direttore responsabile di Ref Ricerche — perché da 30 anni di fatto la nostra domanda, tra strette fiscali e crisi di varia natura, non cresce. Bisogna investire soprattutto nei settori con alta tecnologia ed elevato capitale umano, non solo ricercare una maggiore produttività tagliando, ammesso che sia socialmente e politicamente praticabile, nei settori a basso valore aggiunto».
Dove passa
Il sostegno alla domanda passa ovviamente anche dai consumi, frenati o distorti dalla pandemia. Nel rapporto di previsione di marzo di Prometeia si calcola, forse per la prima volta, quale sia stato l’effetto concreto della politica di sostegno dei redditi attraverso le diverse misure di ristoro o rimborso. Il giudizio è sostanzialmente positivo. In media sono stati coperti al 40 per cento. E, a differenza di altre stime, i redditi più bassi aiutati in una percentuale maggiore. «Ma i consumi sono calati più dei redditi — commenta Lorenzo Forni, docente di
Politica economica all’università di
Padova e segretario generale di Prometeia Associazione — e del resto è inevitabile che sia così.
Quando il sussidio è temporaneo tende ad essere risparmiato in gran parte come forma di precauzione. Da qui l’effetto di aumento della liquidità e dei depositi bancari, anche da parte delle aziende. Ora il tema di fondo sarà quello di come stimolare consumi e investimenti in un quadro di certezze, scelte convinte e durature, fiducia nella capacità del Paese di uscire al più presto dall’emergenza pandemica».
Il grado di adattamento di famiglie e imprese a una crisi così profonda e inattesa non è negativo. Tutt’altro. La caduta dell’economia nella primavera dello scorso anno è stata dura e repentina. Le chiusure successive, rese necessarie dalla seconda e dalla terza ondata, sono certamente meno severe, ma l’impatto su produzione e andamento del prodotto interno lordo si è rivelato minore del previsto. La ripresa estiva, robusta, si è spenta, ma è come se si fosse toccato un pavimento più duro. Si è perso poco.
Forse la scorsa primavera si poteva es
Far ripartire la domanda è la priorità assoluta, oltre alla buona gestione degli investimenti che si possono fare con i fondi europei Ma nella pandemia non tutti hanno perso Le aziende alimentari o delle telecom (l’elenco è lungo) avranno ottimi bilanci grazie al cambio di abitudini da virus Se lo ricorderanno? Intanto Joe Biden e Londra sosterranno i cittadini tassando di più chi ha fatto molti utili ....
sere meno rigorosi e pagare un prezzo economico meno elevato? Probabilmente sì.
Anche se questo interrogativo non può che venire dopo quello, primario, legato alla salvaguardia delle vite umane. Ma è un fatto che il sistema economico italiano abbia mostrato, pur con tutti i suoi difetti, una flessibilità (basta con l’abuso del termine resilienza) per certi versi sorprendente.
La distorsione
I consumi hanno subìto una distorsione improvvisa che ha cambiato in profondità — e in alcuni casi forse per sempre — il panorama dell’offerta delle imprese, la stessa geografia industriale. Ci sono i sommersi che forse in parte falliranno lo stesso nonostante i ristori; i salvati (per ora) grazie all’aiuto pubblico ma con un futuro; i sospesi, costretti a una prolungata attività, anche autonoma o professionale, ma in grado di riprendersi subito, come nei servizi e nel turismo; e i privilegiati.
I privilegiati? Non stiamo esagerando? Ovvero quell’ampia parte di attività che ha mostrato capacità di reazione superiore al previsto, enorme spirito di adattamento, innovazione. Dunque bravi, complimenti. Ma ha goduto — verbo improprio, d’accordo — di un insperato vantaggio competitivo. Ha cioè intercettato un po’ di domanda che nella normalità sarebbe finita altrove, per esempio in ristoranti, alberghi, viaggi. E senza la pandemia non sarebbe accaduto. Alla categoria dei privilegiati potremmo aggiungere anche il lavoro dipendente, specie pubblico, che non ha conosciuto gli effetti della crisi economica, ma concentriamoci soltanto sulle aziende, in particolare alimentari, grande distribuzione, telecomunicazioni (l’elenco è più lungo di quanto non si pensi) che stanno facendo bilanci da record.
Non credo sarà facile per molte imprese — ci stiamo avvicinando alla stagione assembleare — mostrare orgoglio per traguardi raggiunti anche grazie al rivolgimento delle abitudini di consumo innescate dalla pandemia. Una parte degli utili è francamente immeritata, dovrebbe essere messa nelle sopravvenienze attive, nelle partite straordinarie. Ma non accadrà. In alcuni casi abbiamo assistito a lodevoli iniziative con le quali si è condiviso con i dipendenti il buon andamento delle aziende. Scelte opportune, di apprezzata sensibilità sociale.
E poi però ci sono anche gli altri cittadini che stanno pagando un prezzo elevato e ingiusto alla pandemia e sono forse tra i clienti di quelle aziende che hanno sfruttato, competendo abilmente e meritatamente sul mercato, le conseguenze di abitudini di vita stravolte dal virus. Certo a loro ci pensa lo Stato, indebitandosi. Ma manager e azionisti che si ritroveranno, nelle prossime settimane, ad approvare bilanci resi in molti casi pingui dalla pandemia, qualche riflessione la faranno o incasseranno cedole e bonus senza battere ciglio, salvandosi la coscienza con i celebri fattori Esg (Environmental, social and governance) e alati richiami all’inclusione e alla sostenibilità?
Il caso anglosassone
In questi giorni il mondo anglosassone è fortemente invidiato per la celerità con cui procede alle vaccinazioni e a fornire aiuti immediati a famiglie e imprese. Sarà dunque il caso di ricordare alcune scelte di politica economica di Londra e Washington.
Il cancelliere dello scacchiere britannico Rishi Sunak, nel presentare lo schema di bilancio del 2021, ha confermato aiuti e sostegni (con contributi delle imprese al costo della cassa integrazione) ma l’imposta sugli utili aumenterà dal 19 al 25 per cento dall’aprile del 2023.
L’american rescue plan Act, del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, un piano straordinario di aiuti da 1900 miliardi di dollari, che prevede un una tantum di 1400 dollari a gran parte della popolazione, verrà in parte finanziato con misure restrittive sulla tassazione dei grandi gruppi. Ora parlare di tassare di più le aziende in un momento come questo è sbagliato, oltre che provocatorio, ma il tema di una condivisione maggiore dei costi della pandemia da parte di chi ne è stato avvantaggiato c’è tutto.
Una questione di coscienza che le aziende miglior i — e sono per fortuna tante e alle quali va il nostro grazie — non eluderanno di certo. Dal loro atteggiamento di responsabilità civica, nelle varie forme, dipenderà anche quel surplus di fiducia, che stimola consumi e investimenti e alimenta il circuito virtuoso della ripresa, di cui abbiamo disperato bisogno.
Dalla capacità delle imprese «privilegiate» di mostrare senso civico dipenderà quel surplus di fiducia che stimola la ripartenza