Tutti guardano Piazza Affari che può salire del 10%
I gestori globali ora sono più interessati alla nostra Borsa che a quella tedesca Ma i problemi non sono risolti: siamo in ritardo sui vaccini e quindi sulla ripresa
Nell’entusiastica analisi di Guido Brera di Kairos, l’italia sarebbe ora «il luogo dove investire nel mondo». L’ultimo sondaggio di Bank of America, tra 220 grandi investitori internazionali, pare dargli ragione: non solo il 30% di costoro, in crescita dal 20% di febbraio, confessa di sovrappesare le azioni europee e un altro 13% dice di volerlo fare in futuro, ma una buona parte (il 26% degli 85 gestori europei) dichiara pure di preferire la borsa italiana nei prossimi 12 mesi. A dire il vero il 28% predilige ancora le azioni tedesche, ma la propensione verso Piazza Affari è in decisa crescita (era al 15% a febbraio), mentre è calata sensibilmente quella verso la Germania (44% a febbraio).
Il fattore D
È’ evidente che questo rapido cambiamento di umore in un solo mese è dovuto all’arrivo di Mario Draghi. Tuttavia, prima di lasciarci trasportare dall’entusiasmo per la futura potenziale rinascita dell’eurozona e del nostro paese in particolare, è opportuna qualche considerazione. È pur vero che da inizio anno i mercati europei hanno fatto meglio di Wall Street (+6% l’indice Stoxx e +8,7% il Mib, contro il 4,2% dell’s&p500); ma, mentre le borse europee hanno a mala pena recuperato i livelli precrisi di 14 mesi fa, Wall Street è nel frattempo cresciuta del 18% (41% il Nasdaq). Una piccola accelerazione ci sta tutta ora, tanto più che in Europa i rendimenti obbligazionari non sono cresciuti al ritmo dei Treasury americani.
Le valutazioni dei titoli europei restano sensibilmente più basse rispetto all’america. Il rapporto prezzo/utili futuri dell’indice Stoxx è attorno a 17, contro il 22 ed oltre dell’s&p500, con uno sconto di circa il 24%, poco più alto della media storica. E se si guarda all’ftse Mib, la relativa sottovalutazione è ancora maggiore. Ipotizzando una riduzione dello sconto fino al 15%, lo Stoxx potrebbe apprezzarsi del 10% rispetto all’s&p500; ma ciò presupporrebbe un miglioramento delle condizioni economiche e finanziarie difficilmente prevedibile in Eurozona e immaginabile, forse, in Italia, se davvero il governo Draghi facesse il miracolo. Per ora le condizioni suggeriscono cautela per tutta l’ue. Mentre negli Usa il 40% della popolazione ha ricevuto almeno la prima dose e quasi il 50% nel Regno Unito (dati Our World), la media s’abbassa drasticamente al 14% in Europa continentale, dove la scarsità dei vaccini consegnati fa la differenza. Il risultato è che, mentre Usa e Regno Unito raggiungeranno una relativa immunità già a maggio, da noi quel traguardo si sposta verso fine estate. E tre mesi di ritardo pesano sensibilmente sulla ripresa economica. «Un’altra estate persa» specie per i paesi del Sud Europa, è l’amaro commento di Morgan Stanley. La seconda e forse più determinante ragione della grande differenza tra Europa e Stati Uniti sta negli stimoli fiscali elargiti finora o promessi per i prossimi mesi. In base ai calcoli di Unicredit, in Eurozona, tra aiuti dei singoli governi e Recovery Fund, sono arrivati e arriveranno aiuti pari a circa il 6% del Pil, a fronte di un crollo dell’economia stimato attorno all’8,5%. Di contro, in America, con una contrazione economica del 2,4%, il sostegno governativo nel triennio 2020-2023, inclusi due o tremila miliardi promessi per le infrastrutture, si misura in circa 10mila miliardi di dollari, quasi la metà del Pil. Si può obiettare che gli stimoli fiscali non producono alcuna leva finanziaria, poiché, secondo le stime dell’ocse, i 1.900 miliardi del piano Biden (9% del Pil) dovrebbero incrementare in due anni la crescita Usa di appena il 3,7%: ma, a cascata, dovrebbero migliorare di almeno mezzo punto anche l’economia mondiale. In ogni caso, come sostengono gli economisti di Bofa e pure Erik Nielsen di Unicredit, la sproporzione tra gli stimoli fiscali è davvero ampia.
Il risultato è che l’economia statunitense rivedrà i livelli precrisi entro giugno, mentre quella europea tornerà in pari solo a settembre-ottobre del prossimo anno, 15 mesi più tardi. In compenso, l’eurozona godrà molto più a lungo i benefici di una politica monetaria estremamente espansiva. Non è detto infine che diventi restrittiva la politica della Fed, perché, con un debito pubblico proiettato verso il 150%, il Tesoro Usa non può sostenere rendimenti dei Treasury troppo onerosi. In Italia, un debito pubblico vicino al 160% genera al momento, grazie alla Bce e a Draghi, oneri finanziari ancor più sopportabili rispetto al passato. Anche per questa ragione non si può non condividere con Guido Brera la speranza che i 209 miliardi destinati all’italia dal Recovery fund possano far da volano a una crescita economica che il nostro paese non ricorda da lunghi decenni e attirare davvero nuovi investimenti dall’estero.