«LA NUOVA VITA DI LUX VIDE: LE PROSSIME SERIE TV E QUEI CIOCCOLATINI PER DRAGHI. I POSSIBILI SOCI? NON SOLO SONY E FREMANTLE»
Il ceo Luca Bernabei: linea editoriale e contenuti positivi, garanzie al management per 5 anni e proiezione internazionale sono i perni del negoziato per la casa di produzione. Ma non ci sono solo Sony e Fremantle
Non è solo una delle prime aziende in Italia ad aver investito sul mercato dei format, quando praticamente ancora non esisteva. Lux Vide, fondata nel 1992 da Ettore Bernabei è una mosca bianca in un mondo in cui i contenuti si stanno orientando verso nicchie spesso estreme. L’azienda di produzione romana è sempre andata in direzione opposta: ha iniziato producendo «La Bibbia», venduta in 144 Paesi, e «Guerra e Pace», a cui sono seguite serie popolarissime come «Don Matteo», «Che Dio ci aiuti», «Un passo dal cielo», «I medici», «Sotto copertura» fino al thriller finanziario «Diavoli» e alla serie evento «Leonardo» che si è appena conclusa. È stata la prima società italiana a vincere un Emmy Awards e con la co-produzione«coco Chanel» ha ricevuto una nomination ai Golden Globe e due nomination agli Emmy Awards. Lux Vide è una fabbrica integrata di contenuti e ha una sua nicchia molto precisa: «Quella che gli americani chiamano good feeling content» spiega Luca Bernabei, amministratore delegato dell’azienda, che guida insieme alla sorella Matilde, presidente. Questa specializzazione non fa solo premio sui risultati — il 2020 si è chiuso con il valore della produzione in crescita a 80 milioni di euro — ma sembra interessare molto anche i competitor, che si sono fatti avanti per studiare possibili combinazioni. Sono circolati i nomi di Sony e Fremantle, «ma ce ne sono altri» ammette Bernabei, «la nostra è un’azienda particolare che da 30 anni fa un tipo di contenuti che altri non fanno e adesso sono molto ricercati dall’estero».
Lux Vide non è certamente la prima ad avere ricevuto avance dai produttori stranieri.
«È’ vero, ma Lux Vide è un’azienda diversa, è sempre stata coerente con la sua linea editoriale, ha una sua storia e un’idea che è rimasta quella del fondatore, mio padre Ettore Bernabei. Quando parlava di tv la paragonava agli acquedotti e diceva che ce ne sono molti, ma non c’è nessuno che produce acqua pulita. Lui voleva fare questo e a 73 anni trovò dieci amici illuminati tra cui Giovanni Bazoli, Giampiero Pesenti, Alberto Falck, Francesco Merloni e altri interessati al progetto di un’azienda che facesse prodotti per famiglie, che potessero essere visti da chiunque. Il primo progetto fu la Bibbia, visto che dai tempi di Gutenberg nessuno aveva fatto qualcosa di nuovo per rappresentare il libro più bello del mondo. I finanziatori li trovò in America, mica tra i cattolici, fu un gruppo di ebrei a produrre la Bibbia con Ted Turner come coproduttore. Da allora la linea editoriale di Lux non è mai cambiata».
Non pensa che con dei nuovi soci potrebbe cambiare?
«Negli anni il mercato è andato sempre di più verso una direzione di nicchie: non si fa più la serie sull’eroe ma sull’antieroe, si fanno le fiction per target molto ristretti, la serie violenta, quella trasgressiva. Lux Vide è rimasta sempre coerente e ha sviluppato un target preciso che è un valore dal punto di vista del marketing. Facciamo quello che in Usa chiamano “good feeling content” e “faith value content”, contenuti positivi e contenuti spirituali, ed è proprio questo che ci rende interessanti per le aziende straniere, perché non c’è chi fa questo tipo di contenuto. Il mercato americano è saturo e cerca la creatività europea. Noi sono 30 anni che intratteniamo il pubblico senza sconvolgerlo».
Fremantle e Sony sono i possibili acquirenti?
«Ci sono anche altri gruppi interessati a noi perché non solo siamo abituati a fare bene il nostro lavoro e facciamo margini e utili, ma perché siamo produttori puri di contenuti. Chi arriva qui trova una fabbrica: dall’ideazione con lo sviluppo del soggetto nelle writers rooms, al casting che facciamo in-house, alle riprese nei quattro studi di cui siamo proprietari fino alla postproduzione in tutte le sue fasi. Abbiamo anche una “colorist” che si occupa i dare ai contenuti più importanti quell’impostazione fotografica e di luce caratteristica di Lux Vide. Ecco perché arrivano qui. Siamo come la moda negli anni ‘70».
State cercando un compratore o un socio?
«Ci sono alcuni degli azionisti che avevano affiancato mio padre alla fondazione che dopo 30 anni vorrebbero veder valorizzato il loro capitale tenuto fermo, che nel frattempo ha moltiplicato il suo valore, anche perché non abbiamo mai distribuito dividendi. Lo trovo giusto».
Lei uscirà?
«Sono 31 anni che faccio il produttore, vedremo quali saranno le soluzioni ma il management rimarrà. È una delle tre condizioni che abbiamo posto: mantenere inalterata la linea editoriale; confermare il management per almeno 5 anni e mantenere una connotazione che non sia solo nazionale ma transnazionale, perché vogliamo continuare a fare un prodotto che va in giro per il mondo. Siamo l’unica casa di produzione in Italia, con Wild Side, che produce in inglese, l’anno scorso il 40% delle serie. E reinvestiamo il tax credit».
Il tax credit è stato un bel sostegno, anche se a volte un po’ asimmetrico verso alcuni produttori stranieri che hanno ottenuto gli sgravi portandosi però via i diritti.
«Da manager e imprenditore il tax credit lo intendo come un’agevolazione che riducendo il capitale necessario per le produzioni, permette di reinvestire e creare futuro. Investire in struttura per creare nuove idee, e in property intellettuali».
Quanto conta il valore della library nel vostro bilancio?
«La library è importante ma rappresenta quello che hai fatto, il passato. Noi qui produciamo il futuro: in casa abbiamo progetti per i prossimi 6 anni con inclusi i diritti. E continuiamo a investire per acquisire diritti. Abbiamo appena preso quelli per una delle storie più note e amate d’italia: Trinità. Faremo un prequel e racconteremo un segreto che lega i due fratelli, Bud Spencer e Terence Hill. Lux Vide mette un’attenzione al prodotto come nessun altro».
La contrazione della pubblicità per i broadcaster tradizionali che impatto ha avuto?
Alcuni azionisti che avevano affiancato mio padre vogliono uscire
Abbiamo progetti per i prossimi sei anni con inclusi i diritti E investiamo
«La flessione ha messo pressione, ma c’è stata una grande curiosità per l’italia dall’estero e il mercato straniero ha compensato la contrazione dei broadcaster tradizionali. Questo grazie anche a una avveduta politica imprenditoriale da parte del ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini che ha permesso al settore di strutturarsi e diventare industria».
Dove i broadcaster tradizionali arretrano, quelli nuovi avanzano, vedi Netflix e Amazon Prime, Disney +. Concorrenti da temere o partner con cui ampliare gli orizzonti?
«Non li considero concorrenti, ma rappresentano un’opportunità anche per imparare. Lux sta per iniziare un progetto importante con una delle grandi piattaforme di streaming. Da mio padre ho ereditato la curiosità e sono quindi curioso di lavorare con Amazon o Netflix. Con loro puoi capire meglio come funziona quel sistema. Sono i numeri uno al mondo, ma io posso portargli artigianalità e freschezza italiana, che rappresentano un unicum nel mondo, se solo sapessimo valorizzarlo».
Non lo è abbastanza?
«L’italia deve imparare a fare sistema. Si parla solo di piccole
querelle e mai di Sistema Paese, cioè di una visione prospettica. Mio padre ha sempre avuto un atteggiamento positivo, prospettico, caratteristico dei democratici cristiani di sinistra, quel gruppo formato da Fanfani, Moro, Dossetti, La Pira, che ha fondato il cristianesimo sociale realizzando il piano casa, il piano agricoltura. Ora sono orgoglioso che ci sia Mario Draghi a guidare il governo. Io spero davvero che ce la facciano a risollevare il Paese e a salvare posti di lavoro, e per
farlo serve fare sistema. Le rivelo un segreto…».
Prego...
«Quando il governo si è insediato abbiamo mandato a tutti un regalo di buon auspicio. Un cofanetto con scritto “Whatever it takes” contenente la prima stagione dei “Diavoli”, la serie sulla finanza in cui c’è un passaggio fondamentale attorno alla frase con cui Draghi ha salvato l’euro e l’europa. Ora deve salvare l’italia e poiché per farlo serve energia, abbiamo riempito la scatola di cioccolatini».