L’addio di Vandelli «Bper è più solida»
Dopo sette anni al vertice e 37 in banca, dopodomani, mercoledì 21 aprile, l’assemblea dei soci di Bper Banca non confermerà l’incarico all’amministratore delegato Alessandro Vandelli, l’autore della trasformazione della Popolare dell’emilia-romagna in uno dei tre grandi player italiani, alle spalle delle due big Intesa Sanpaolo e Unicredit.
Vandelli, in una precedente intervista, lei disse che l’operazione Intesa-ubi, a valle della quale Bper acquisisce oltre 600 sportelli, era da fare assolutamente. Ne è ancora convinto?
«Certo, oggi più di prima. Per Bper è una svolta storica, resa possibile solo grazie all’impegno di tante persone, che tra l’altro hanno lavorato in un periodo di piena emergenza sanitaria. Per completare l’operazione mancano ancora una trentina di filiali, che acquisiremo da Intesa Sanpaolo entro giugno. È un’operazione complessa, certo, ma ne ricaveremo benefici straordinari per dimensione, qualità degli asset e posizionamento strategico. Un dato per tutti: Bper passa da 90 miliardi di attivo a 125-130 miliardi. Ricordo che l’attivo era di circa 60 miliardi nel 2014».
La vostra ipotizzata fusione con Ubi, eravate veramente a un passo?
«Non sarebbe corretto dirlo. Negli ultimi mesi del 2019 mi sono incontrato alcune volte con l’amministratore delegato di Ubi, per conoscerci meglio e iniziare a comprendere i numeri delle due banche. Era emersa qualche sintonia, poi a inizio dicembre i contatti si sono interrotti e Ubi ha annunciato un piano industriale
stand alone. Credo, in ogni caso, che le due banche fossero espressione di realtà azionarie variegate e diverse tra loro: un’ipotesi di fusione avrebbe richiesto molti approfondimenti».
La modifica dello Statuto le è costata il posto.
«Abbiamo avviato lo scorso anno e completato a gennaio 2021 un cambiamento profondo nella governance
del gruppo, modificando le norme dello Statuto che regolano l’elezione del consiglio di amministrazione. Lo abbiamo fatto tenendo conto di una struttura azionaria peculiare, che in sostanza si basa su tre poli: gruppo Unipol, Fondazione di Sardegna e investitori istituzionali. La modifica ha escluso la possibilità di presentare al voto in assemblea una lista espressione del cda uscente, mettendo così nelle mani dei soci ogni decisione relativa ai nuovi amministratori. È stata una scelta coerente con il nostro percorso, che non ha guardato a interessi personali, ma al migliore assetto per la banca».
Vuol farci credere di esser felice per come è andata?
«Non posso dire di essere felice. Ma sono sereno e ho la convinzione di avere ben operato. Credo che il lavoro di questi anni abbia favorito progressi molto rilevanti: oggi il gruppo Bper è in piena salute. Se mi volto indietro, vedo questa integrazione degli sportelli ex Ubi ed ex Intesa come il completamento di un disegno strategico e il termine di un percorso. Credo di avere fatto ciò che era giusto per Bper: siamo cresciuti, siamo credibili, siamo maturati come soggetto di mercato. E soprattutto possiamo contribuire alla crescita dei territori in cui operiamo».
C’è chi sostiene che i suoi rapporti con l’azionista Unipol non fossero ideali. È così?
«Il mio rapporto con l’azionista di riferimento si è sempre sviluppato in maniera lineare e positiva. Sono convinto che aver potuto contare in questi anni sul sostegno convinto di un nucleo coeso di azionisti, tra cui certamente il gruppo Unipol, ma anche Fondazione di Sardegna, che oggi controllano circa il 30 per cento del capitale, sia stato un punto di forza e un vantaggio strategico importante».
Il suo è un percorso del tutto interno. Quando è entrato?
«Subito dopo la laurea in Economia a Modena. Era il 1984, avevo 25 anni, sono stato uno dei primi laureati assunti in quella che allora si chiamava Banca popolare dell’emilia. Venni assegnato all’ufficio Estero e dopo tre mesi arrivò la svolta: entrai in Direzione crediti come analista di bilancio. Qualche anno dopo avviai il nucleo di finanza aziendale della banca, poi nel tempo sono arrivati gli altri incarichi: la responsabilità del servizio partecipazioni e progetti speciali, la direzione generale del Banco di Sardegna, il ruolo di vice direttore generale e Cfo, infine la nomina ad amministratore delegato nell’aprile 2014. Devo molto a tanti colleghi, e in particolare a tre presidenti: Guido Leoni che mi ha fatto crescere, Ettore Caselli che mi ha voluto alla guida della banca, Pietro Ferrari con cui abbiamo condiviso gli ultimi tre anni, davvero irripetibili».
Siete cresciuti molto. Con quale aspetto peculiare?
«Credo che il nostro tratto distintivo, e per molti versi originale, sia la capacità di combinare significativi processi di crescita con l’attenzione alla qualità del credito. Abbiamo agito con decisione per ridurre i crediti deteriorati e nel frattempo la crescita per linee esterne è avvenuta solo con acquisizioni che potevano recare benefici alla qualità degli attivi. Inoltre, siamo stati alla larga da scorciatoie che avrebbero prodotto conseguenze dannose nel tempo: non abbiamo mai ceduto le fabbriche prodotto, mantenendo integra la catena del valore. Siamo i primi azionisti di Arca fondi sgr, abbiamo società nel credito al consumo, nel leasing, nel factoring e nel noleggio a lungo termine. In questi anni abbiamo ceduto oltre 5 miliardi di Npl, ma la società di gestione e recupero delle sofferenze, Bper credit management, è rimasta in casa. Così abbiamo reso la banca più solida e capace di generare ricavi: il rapporto tra commissioni e margine di interesse, nella parte alta del conto economico, è quasi in parità».
Adesso, cosa andrà a fare?
«Mercoledì 21 aprile ci sarà l’assemblea: terminerò il mio mandato da amministratore delegato e dal giorno dopo cercherò di favorire il passaggio di consegne con il nuovo amministratore delegato e il nuovo consiglio nel modo più fluido e lineare possibile. Alla banca e ai colleghi auguro il meglio per il futuro, non si cancellano i legami di 37 anni di lavoro comune».
L’uscita dopo 37 anni nel gruppo. I rapporti con gli azionisti Unipol e Fondazione di Sardegna. La quasi fusione con Ubi e l’operazione con Intesa: «una svolta storica»