La scalata di Bernabé alle «Acciaierie d’italia»
Con un pacchetto di 74 consigli di amministrazione da rinnovare nei prossimi mesi in società partecipate direttamente e non dal Tesoro, le primissime nomine, già effettuate dal governo di Mario Draghi, assumono un rilievo del tutto particolare. Servono a individuare i criteri con cui il premier intende muoversi. E i primi a volerli conoscere sono i partiti, tanti, che compongono una maggioranza ogni giorno più inquieta.
Ecco perché la scelta di un manager di lungo corso, come Franco Bernabè, alla presidenza delle nuove Acciaierie d’italia (ex Ilva), ha fatto rizzare molte antenne. Altoatesino, 73 anni, è un economista di formazione prestato all’industria. Fu inizialmente in Fiat, quindi all’eni (che quotò in Borsa) e in Telecom, prima e dopo la grande scalata; infine per 13 anni nel consiglio d’amministrazione del colosso petrolifero Petrochina, prima di fare il salto da manager a imprenditore. Bernabè non è personaggio le cui competenze e esperienze si possano discutere.
E questo è già un indizio: se le prossime nomine, almeno le più rilevanti, saranno di questo livello, Draghi potrebbe riuscire a sottrarsi alla spartizione da manuale Cencelli che di solito governa il grande gioco delle nomine pubbliche. E che lo stesso Bernabè conosce bene, se è vero che nel suo ultimo libro, pubblicato l’anno scorso, «A conti fatti: 40 anni di capitalismo italiano», spiega che lo Stato capitalista non è di per sé buono o cattivo: dipende da come si comporta. Ad esempio, la stagione delle Partecipazioni statali viene bocciata dal manager, perché caratterizzata da una spartizione politica delle poltrone e da un criterio di governo delle partecipate improntato alla continua mediazione di interessi contrapposti.
È molto probabile che il pensiero di Franco Bernabè sia condiviso da Mario Draghi, suo amico da molto tempo. E coetaneo. Già, perché anche la questione dell’età entra in qualche modo in ballo in questa grande lotteria dei cda: i settantenni, forti di esperienze maturate in stagioni economiche e sociali assai complesse per il nostro Paese, sembrano intenzionati a ritornare al potere. Più di qualche voce, solo per fare un esempio, accredita per Cassa depositi e prestiti, una delle poltrone più calde giunte al rinnovo, l’arrivo di una figura «di esperienza».
Certo, il ruolo di presidente limita l’impatto di Bernabè sulle Acciaierie d’italia, che saranno guidate, come è stato per l’ex Ilva, da Lucia Morselli, l’amministratrice delegata scelta da Arcelor Mittal. Ma, com’è noto, se tutte le condizioni stabilite nell’accordo del dicembre scorso si realizzeranno e il Tesoro, a maggio 2022, porterà la propria quota dal 50% al 60%, la poltrona di ceo sarà decisa dallo Stato. Dunque la scelta di Bernabè suona come un’opzione per un ruolo in seguito più importante. Diversamente, viene da pensare, un manager del livello di Bernabè, già autore di un’autobiografia che pare il consuntivo di una vita, forse non si rimetterebbe in gioco.
Il 13 maggio il Consiglio di Stato si pronuncerà sulla decisione del Tar che ha imposto lo spegnimento delle aree «a caldo», su istanza del Comune di Taranto. Se questo scoglio sarà superato, l’avventura potrà partire. Il mercato ha fame di acciaio, e lo Stato italiano è tornato in campo con un piano che coinvolge anche altri stabilimenti e la scommessa di una riconversione «green». Tutto ciò a fronte di una concorrenza feroce (a partire da quella cinese). Se a Bernabè piacciono le sfide, e gli piacciono, quella dell’acciaio di Stato non lo deluderà.