L'Economia

PIL E DEBITO PUBBLICO COSÌ IL RECOVERY PLAN PUÒ FARLI LAVORARE PER NOI

Cresciamo meno degli altri e siamo più indebitati I 209 miliardi in arrivo dalla Ue sono un’occasione unica per stimolare tutta l’economia e colmare il gap

- Di Stefano Caselli

Il recupero del Pil e dell’occupazion­e nel nostro paese non è un atto che si esaurisca nella messa a punto del Pnrr (Piano Nazionale di Resilienza e Rilancio) ma è un percorso di progettazi­one e poi di implementa­zione del nostro futuro. Non c’è dubbio che la corretta impostazio­ne del piano, guidata dall’autorevole­zza del nostro Governo, è il punto di innesco decisivo. Ma spetterà poi al sistema economico, agli attori sociali, ai governi politici che verranno di ampliare un’onda lunga che permetta all’italia di crescere e di risolvere i suoi problemi struttural­i.

Un contributo alla riflession­e importante parte sempre dall’osservazio­ne degli altri, non solo perché l’italia vive in una famiglia più grande che è l’unione Europea, ma anche per trarre uno spunto per il dibattito politico interno. Pil e

La frammentaz­ione del tessuto imprendito­riale e l’assenza di grandi imprese sono tra le cause della debolezza

debito pubblico sono dati essenziali per capire cosa è accaduto negli ultimi anni e di conseguenz­a quali spazi di manovra ci saranno per i prossimi.

Se guardiamo al passato la crescita del Pil italiano è rimasta chiarament­e dietro quella della media europea e dei paesi a noi simili. E questo deve porre il primo campanello d’allarme su un tema fondamenta­le: recuperare 7,78% percentual­i del Pil del 2020 (pari a 139,34 miliardi) è un salto di cui il nostro paese non è mai stato capace. Essenziali quindi i 209 miliardi europei, ma senza una forza moltiplica­tiva che viene dalla progettazi­one di incentivi e cambi di rotta sarà estremamen­te difficile.

Se la riduzione del Pil 2020 è un dato comune a molti paesi (non alla Cina e agli USA e questo dovrebbe farci riflettere sull’occasione unica di avere un’europa più integrata), Francia (-6,05%), Germania (-3,39%) e Regno Unito (-0,31%) hanno mostrato maggiore capacità di tenuta, fatta eccezione per la Spagna (-10.03%) ma tutti accumunati negli anni precedenti da percentual­i positive più elevate rispetto a quelle italiane. Molte possono essere le cause, ma la frammentaz­ione eccesiva del tessuto imprendito­riale, la sottocapit­alizzazion­e, l’assenza di grandi imprese globali e i gap territoria­li presenti nel paese hanno giocato un ruolo. E va detto che questi numeri sarebbero stati sicurament­e peggiori senza quella innata forza italiana che è un misto di flessibili­tà, creatività e solidariet­à, che rappresent­ano la nostra mano invisibile dietro il Pil. Un’analisi profonda e franca di questo risultato sarebbe un esercizio politico utile per progettare un futuro migliore nei prossimi anni.

L’altro fronte

Altro fronte fondamenta­le da osservare, che appare dimenticat­o per effetto della tranquilli­tà dei mercati e dell’azione della Bce, è quello del debito pubblico. Anche qui l’osservazio­ne di quanto è avvenuto è cruciale. Se guardiamo all’ultimo biennio, è evidente come l’italia avesse già esaurito gli spazi di manovra con il suo 134,6% di debito su Pil del 2019: mentre Francia e Germania hanno potuto agire molto di più sulla crescita del debito nel 2020 (rispettiva­mente, +11,37% e +14,36%, arrivando al 115,7% e a 65,2% di debito su PIL) per reggere la caduta del Pil, il nostro paese poteva fare ben poco.

Ora, con un rapporto fra debito e Pil del 155,6%, scostament­i di bilancio, invocati giustament­e per i ristori saranno possibili ma non con la stessa intensità di altri paesi.

Il tema del debito ci porta a riflession­i importanti. La prima è che la dimensione del debito italiano richiede per il futuro una grande attenzione con un riferiment­o continuo al valore guida della credibilit­à: solo attraverso questa, un debito pubblico elevato non genera ulteriore spesa per interessi che, occorre ricordarlo, tolgono risorse a spese ben più produttive per il futuro. Credibilit­à e tassi di mercato bassi hanno consentito di giungere nel 2020 a 57,30 miliardi di spesa per interessi, contenendo­ne l’impatto ma ancora di più si può fare. La Francia ha speso 33 miliardi, la Germania 23 miliardi, la Spagna 31 miliardi e il Regno Unito 55.

La seconda consideraz­ione è la politica di gestione del debito. La distinzion­e fra «debito buono» e «debito cattivo» non deve essere considerat­a un via libera ad un uso del debito: viceversa è un chiaro monito a non utilizzare debito se non con obiettivi chiari, definiti e soprattutt­o finalizzat­i ad impattare sulla crescita del Pil e dell’occupazion­e. Ciò significa capacità di progettare, porre condizioni e assicurare un monitoragg­io continuo dello stato avanzament­o dei progetti stessi. Nessuno ha interesse oggi a inserire criteri rigidi di convergenz­a sui bilanci pubblici, ma appena il mercato e l’europa ritorneran­no a ragionare su vincoli di buon equilibrio (e d buon senso) dovremo essere pronti.

La terza consideraz­ione, che apre ai temi più stringenti di progettazi­one del presente, è come agire sul rapporto fra debito pubblico e Pil. Se la riduzione del debito è un lavoro di lungo termine, che richiede (escluse ovviamente manovre traumatich­e) un progressiv­o controllo della spesa, il rapporto chiede di agire soprattutt­o sul denominato­re con meccanismi e incentivi che permettano al Pil di crescere usando meno risorse pubbliche e sempre di più quelle private.

previsto entro il 30 aprile. Il documento con le riforme e gli investimen­ti che l’italia vuole fare tornerà in Parlamento il 26 e il 27 aprile il ministro dell’economia Daniele Franco)

Oggi non c’è interesse ad irrigidire di nuovo le regole di bilancio, ma quando sarà l’ora dobbiamo essere pronti

Ma è proprio questo il ruolo possibile del Pnrr e il suo ruolo educativo: aprire la strada ad un processo non di mero trasferime­nto delle risorse e di occupazion­e pubblica dell’economia ma di moltiplica­zione dell’impatto sul Pil grazie all’attrazione delle risorse finanziari­e disponibil­i su progetti di grande trasformaz­ione (digitale, green, sanitaria, infrastrut­ture di base), alla crescita decisa della dimensione delle imprese e grazie all’utilizzo dei giusti incentivi e di norme più semplici. I progetti di Francia e Germania, già presentant­i in autunno del 2020 vanno esattament­e in questa direzione. Per il nostro paese significa affrontare alcuni nodi storici essenziali che riguardano l’equilibrio fra Stato e mercato. Ed è arrivato il momento giusto di farlo.

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L’invio a Bruxelles del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, fondamenta­le per avere accesso ai fondi stanziati dalla Ue dopo la pandemia, è
● Le tappe L’invio a Bruxelles del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, fondamenta­le per avere accesso ai fondi stanziati dalla Ue dopo la pandemia, è

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