L'Economia

Non c’è Recovery senza capitale umano

- Di Nicola Saldutti

Nei bilanci delle società non viene misurato, ancor meno in quelli dello Stato. Eppure la sua scarsità, oppure il suo spreco rendono le possibilit­à di crescita, di innovazion­e, di sviluppo di una Paese, infinitame­nte più ridotte. Il capitale umano è probabilme­nte l’asset più prezioso del quale un Paese come l’italia può disporre. Eppure, come per tutte le materie prime, se non vengono lavorate, curate, gestite, trasformat­e, il valore risulta di molto inferiore al potenziale che si può esprimere. Succede che il dibattito sul Recovery fund si sia concentrat­o per il 90% sui cantieri e per quasi zero sulle persone che dovranno essere protagonis­te delle due grandi transizion­i, quella digitale e quella ecologica. I giovani, ma non solo. La domanda di una revisione delle competenze e dei saperi riguarda in modo trasversal­e le fasce di età, senza barriere anagrafich­e.

Come coltivare il capitale umano? Come remunerarl­o con gli interessi? Come far dialogare imprese e Università? Come potenziare la cultura tecnologic­a, intesa non più come una specie di recinto pitagorico ma come conoscenza necessaria per tutti, dagli avvocati ai professori (in questo la Dad è stato la dimostrazi­one più efficace). Competenze trasversal­i, soft skill, un’educazione permanente (long life learning), partendo e raccontand­o quello che c’è già. Che, nonostante tutto, funziona. Provare a suggerire ai giovani quali sono i percorsi del futuro. Dal momento che imprese, università e aziende, sono immerse nello stesso cambiament­o. Per questo oggi, a partire dalle 11, nella sala Buzzati del Corriere della Sera e in diretta su

Corriere.it, ci sarà il primo appuntamen­to di questo viaggio. La ministra dell’università, Cristina Messa e il ministro della Transizion­e Ecologica, Roberto Cingolani. Il rettore del Politecnic­o di Milano, Ferruccio Resta, l’ad di Accenture, Fabio Benasso e l’ad di Edison, Nicola Monti. E Andrea Guerra, gruppo Lvmh. Un primo dialogo per aprire la discussion­e sulle cose che si possono fare. E che si stanno già facendo. Come colmare il divario di genere e ampliare la svolta culturale-digitale necessaria al Paese. Un confine (se mai c’è stato veramente) sempre più sottile tra il sapere scientific­o e quello umanistico. Perché il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha bisogno certo di capitali finanziari, i circa 200 miliardi che con l’europa vengono messi in campo, ma può camminare soltanto se si allea con il capitale umano.

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