Non c’è Recovery senza capitale umano
Nei bilanci delle società non viene misurato, ancor meno in quelli dello Stato. Eppure la sua scarsità, oppure il suo spreco rendono le possibilità di crescita, di innovazione, di sviluppo di una Paese, infinitamente più ridotte. Il capitale umano è probabilmente l’asset più prezioso del quale un Paese come l’italia può disporre. Eppure, come per tutte le materie prime, se non vengono lavorate, curate, gestite, trasformate, il valore risulta di molto inferiore al potenziale che si può esprimere. Succede che il dibattito sul Recovery fund si sia concentrato per il 90% sui cantieri e per quasi zero sulle persone che dovranno essere protagoniste delle due grandi transizioni, quella digitale e quella ecologica. I giovani, ma non solo. La domanda di una revisione delle competenze e dei saperi riguarda in modo trasversale le fasce di età, senza barriere anagrafiche.
Come coltivare il capitale umano? Come remunerarlo con gli interessi? Come far dialogare imprese e Università? Come potenziare la cultura tecnologica, intesa non più come una specie di recinto pitagorico ma come conoscenza necessaria per tutti, dagli avvocati ai professori (in questo la Dad è stato la dimostrazione più efficace). Competenze trasversali, soft skill, un’educazione permanente (long life learning), partendo e raccontando quello che c’è già. Che, nonostante tutto, funziona. Provare a suggerire ai giovani quali sono i percorsi del futuro. Dal momento che imprese, università e aziende, sono immerse nello stesso cambiamento. Per questo oggi, a partire dalle 11, nella sala Buzzati del Corriere della Sera e in diretta su
Corriere.it, ci sarà il primo appuntamento di questo viaggio. La ministra dell’università, Cristina Messa e il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani. Il rettore del Politecnico di Milano, Ferruccio Resta, l’ad di Accenture, Fabio Benasso e l’ad di Edison, Nicola Monti. E Andrea Guerra, gruppo Lvmh. Un primo dialogo per aprire la discussione sulle cose che si possono fare. E che si stanno già facendo. Come colmare il divario di genere e ampliare la svolta culturale-digitale necessaria al Paese. Un confine (se mai c’è stato veramente) sempre più sottile tra il sapere scientifico e quello umanistico. Perché il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha bisogno certo di capitali finanziari, i circa 200 miliardi che con l’europa vengono messi in campo, ma può camminare soltanto se si allea con il capitale umano.