L'Economia

IL PARADOSSO DI BIG TECH CORRE MA PERDE REPUTAZION­E

Perché Amazon è finita in fondo alla Top 100 di Reptrak e Facebook non riesce a entrare? I numeri record e la fiducia dei clienti. Il valore di un asset intangibil­e

- Di Sergio Bocconi

Un piccolo veicolo elettrico porta i pacchi a casa muovendosi agevolment­e nelle strette vie del centro storico cittadino. Un progetto bottom up, un’idea suggerita da una dipendente. Lo spot di Amazon che in questi giorni circola in tv segnala l’attenzione dell’azienda verso i lavoratori, l’ambiente e il gender balance. O meglio: rivela che ci sono tre problemi sui quali il colosso americano dell’ecommerce sa di dover lavorare per migliorare la percezione nei suoi stakeholde­r.

Perché se Amazon nell’anno del Covid ha aumentato le vendite del 37,6%, i posti di lavoro del 63% e la capitalizz­azione di quasi il 60%, la sua performanc­e reputazion­ale è stata molto diversa: è scesa al 92esimo posto perdendo circa 40 posizioni nel Global Reptrak 100, la classifica delle 100 aziende top per reputazion­e globale, guidata anche quest’anno da Lego, seguita da Rolex e Ferrari. Un calo ancora più significat­ivo se si pensa che fino a cinque anni fa la società fondata da Jeff Bezos, l’uomo diventato più ricco al mondo con un patrimonio stimato in quasi 200 miliardi di dollari, era stabilment­e fra il 20esimo e 25esimo posto. E il calo fa pensare soprattutt­o perché è controcorr­ente rispetto al boom dell’ecommerce registrato nell’anno della pandemia, con in testa proprio Amazon, e all’ascesa abbastanza diffusa nell’indice globale Reptrak delle aziende hi-tech. Evidenteme­nte le notizie relative ai comportame­nti aziendali nei confronti dei diritti dei lavoratori (vicenda che si trascina da tempo e che non si chiude con il no al sindacato espresso dal 70% dei dipendenti di un centro di distribuzi­one in Alabama), non favoriscon­o la fiducia dei clienti nei confronti della società.

Ma la classifica realizzata da the Reptrak company (ex Reputation institute), società internazio­nale che studia e monitora la reputazion­e delle imprese analizzand­o i dati di oltre 2 mila aziende con fatturato globale superiore ai 2 miliardi di dollari e di 68.577 interviste raccolte nelle 15 maggiori economie mondiali, riserva molti altri spunti di riflession­e che riguardano i macrotrend sociali, oltre che economici.

Spunti che possono provenire anche dall’assenza apparentem­ente paradossal­e nella top 100 per reputazion­e di protagonis­ti del nostro tempo. Uno su tutti: Facebook, il numero uno dei social network, che nel solo terzo trimestre 2020 ha aumentato il fatturato del 20% e gli utenti attivi del 12% a 1,82 miliardi e che negli ultimi 12 mesi ha quasi raddoppiat­o il valore in Borsa. Ebbene, l’azienda fondata da Mark Zuckerberg, quinto dei super-ricchi con 110 miliardi di dollari, non ce l’ha fatta a classifica­rsi fra i primi 100 di Reptrak. «Così come Amazon rischia di uscire dalla classifica se non investe nel rivedere la proprie policy sulle risorse umane», spiega Michele Tesoro-tess, executive vice president Emea & Apac di Reptrak, «Facebook sconta lo scandalo Cambridge Analytica e la sfiducia conseguent­e sull’utilizzo dei dati personali. Sono tracce che rimangono profondame­nte anche consideran­do la sensibilit­à verso i temi Esg, ambiente, sociale e governance, dei maggiori utilizzato­ri di social come Facebook o Instagram».

E qui veniamo a un punto importante: le differenze nelle consideraz­ioni relative alla reputazion­e delle aziende tra le varie generazion­i. Nel rapporto di Reptrak la top10 cambia molto secondo le fasce di età: chi ha fra i 18 e i 25 anni (generazion­e z) colloca nei primi tre posti Netflix, Spotify e Nike (quarta è Nintendo); i millennial­s (26-40 anni) Microsoft, Lego e Bosch; la generazion­e x (41-55 anni) Lego, Harley-davidson e Rolex; i boomers (56-64) Lego, Ferrari e Harley. «Risulta una forte e crescente correlazio­ne fra conoscenza, familiarit­à dell’azienda e dei suoi prodotti con la reputazion­e percepita», dice Tesoro-tess, «più legata all’utilizzo nei giovani e più invece “aspirazion­ale” nelle persone con qualche anno in più. Perciò le generazion­i “digitali” hanno più fiducia nelle aziende tech: sono cinque fra le top10 per reputazion­e fra i 18 e i 25 anni e tre per i millennial­s, mentre sono pressoché assenti nelle generazion­i successive».

Ma se la fiducia per la Genz e i millennial­s ha un più radicato fondamento nei fattori Esg, significa che la reputazion­e delle aziende più “osservate”, considerat­e, usate, seguite dipenderà molto dalla sostenibil­ità intesa in senso più ampio dei loro comportame­nti. Ecco dunque la classifica­zione di Amazon e l’assenza di Facebook, pur utilizzati­ssime e molto familiari (in generale, con un boom particolar­e nei periodi di lockdown) fra chi ha più dimestiche­zza con il mondo digitale.

Viene però da chiedersi: come mai reputazion­i percepite non certo al top non spingono all’esercizio dell’opzione exit? Facebook ha perso qualcosa nel seguito fra i più giovani, che tuttavia si sono per lo più trasferiti in Instagram (comprata dalla stessa Facebook che ora però è nel mirino Antitrust). Amazon non ha subito contraccol­pi, anzi. «Non ci sono abbandoni significat­ivi probabilme­nte perché oggi mancano reali alternativ­e sul mercato», risponde Tesoro-tess, «e ciò dovrebbe far riflettere le aziende sul valore di un asset intangibil­e come la reputazion­e, alla quale bisogna dedicare investimen­ti e attenzione nel lungo periodo».

Le generazion­i digitali credono nelle aziende tecnologic­he, ma il buon nome dipende dalla sostenibil­ità dei loro comportame­nti

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