IL PARADOSSO DI BIG TECH CORRE MA PERDE REPUTAZIONE
Perché Amazon è finita in fondo alla Top 100 di Reptrak e Facebook non riesce a entrare? I numeri record e la fiducia dei clienti. Il valore di un asset intangibile
Un piccolo veicolo elettrico porta i pacchi a casa muovendosi agevolmente nelle strette vie del centro storico cittadino. Un progetto bottom up, un’idea suggerita da una dipendente. Lo spot di Amazon che in questi giorni circola in tv segnala l’attenzione dell’azienda verso i lavoratori, l’ambiente e il gender balance. O meglio: rivela che ci sono tre problemi sui quali il colosso americano dell’ecommerce sa di dover lavorare per migliorare la percezione nei suoi stakeholder.
Perché se Amazon nell’anno del Covid ha aumentato le vendite del 37,6%, i posti di lavoro del 63% e la capitalizzazione di quasi il 60%, la sua performance reputazionale è stata molto diversa: è scesa al 92esimo posto perdendo circa 40 posizioni nel Global Reptrak 100, la classifica delle 100 aziende top per reputazione globale, guidata anche quest’anno da Lego, seguita da Rolex e Ferrari. Un calo ancora più significativo se si pensa che fino a cinque anni fa la società fondata da Jeff Bezos, l’uomo diventato più ricco al mondo con un patrimonio stimato in quasi 200 miliardi di dollari, era stabilmente fra il 20esimo e 25esimo posto. E il calo fa pensare soprattutto perché è controcorrente rispetto al boom dell’ecommerce registrato nell’anno della pandemia, con in testa proprio Amazon, e all’ascesa abbastanza diffusa nell’indice globale Reptrak delle aziende hi-tech. Evidentemente le notizie relative ai comportamenti aziendali nei confronti dei diritti dei lavoratori (vicenda che si trascina da tempo e che non si chiude con il no al sindacato espresso dal 70% dei dipendenti di un centro di distribuzione in Alabama), non favoriscono la fiducia dei clienti nei confronti della società.
Ma la classifica realizzata da the Reptrak company (ex Reputation institute), società internazionale che studia e monitora la reputazione delle imprese analizzando i dati di oltre 2 mila aziende con fatturato globale superiore ai 2 miliardi di dollari e di 68.577 interviste raccolte nelle 15 maggiori economie mondiali, riserva molti altri spunti di riflessione che riguardano i macrotrend sociali, oltre che economici.
Spunti che possono provenire anche dall’assenza apparentemente paradossale nella top 100 per reputazione di protagonisti del nostro tempo. Uno su tutti: Facebook, il numero uno dei social network, che nel solo terzo trimestre 2020 ha aumentato il fatturato del 20% e gli utenti attivi del 12% a 1,82 miliardi e che negli ultimi 12 mesi ha quasi raddoppiato il valore in Borsa. Ebbene, l’azienda fondata da Mark Zuckerberg, quinto dei super-ricchi con 110 miliardi di dollari, non ce l’ha fatta a classificarsi fra i primi 100 di Reptrak. «Così come Amazon rischia di uscire dalla classifica se non investe nel rivedere la proprie policy sulle risorse umane», spiega Michele Tesoro-tess, executive vice president Emea & Apac di Reptrak, «Facebook sconta lo scandalo Cambridge Analytica e la sfiducia conseguente sull’utilizzo dei dati personali. Sono tracce che rimangono profondamente anche considerando la sensibilità verso i temi Esg, ambiente, sociale e governance, dei maggiori utilizzatori di social come Facebook o Instagram».
E qui veniamo a un punto importante: le differenze nelle considerazioni relative alla reputazione delle aziende tra le varie generazioni. Nel rapporto di Reptrak la top10 cambia molto secondo le fasce di età: chi ha fra i 18 e i 25 anni (generazione z) colloca nei primi tre posti Netflix, Spotify e Nike (quarta è Nintendo); i millennials (26-40 anni) Microsoft, Lego e Bosch; la generazione x (41-55 anni) Lego, Harley-davidson e Rolex; i boomers (56-64) Lego, Ferrari e Harley. «Risulta una forte e crescente correlazione fra conoscenza, familiarità dell’azienda e dei suoi prodotti con la reputazione percepita», dice Tesoro-tess, «più legata all’utilizzo nei giovani e più invece “aspirazionale” nelle persone con qualche anno in più. Perciò le generazioni “digitali” hanno più fiducia nelle aziende tech: sono cinque fra le top10 per reputazione fra i 18 e i 25 anni e tre per i millennials, mentre sono pressoché assenti nelle generazioni successive».
Ma se la fiducia per la Genz e i millennials ha un più radicato fondamento nei fattori Esg, significa che la reputazione delle aziende più “osservate”, considerate, usate, seguite dipenderà molto dalla sostenibilità intesa in senso più ampio dei loro comportamenti. Ecco dunque la classificazione di Amazon e l’assenza di Facebook, pur utilizzatissime e molto familiari (in generale, con un boom particolare nei periodi di lockdown) fra chi ha più dimestichezza con il mondo digitale.
Viene però da chiedersi: come mai reputazioni percepite non certo al top non spingono all’esercizio dell’opzione exit? Facebook ha perso qualcosa nel seguito fra i più giovani, che tuttavia si sono per lo più trasferiti in Instagram (comprata dalla stessa Facebook che ora però è nel mirino Antitrust). Amazon non ha subito contraccolpi, anzi. «Non ci sono abbandoni significativi probabilmente perché oggi mancano reali alternative sul mercato», risponde Tesoro-tess, «e ciò dovrebbe far riflettere le aziende sul valore di un asset intangibile come la reputazione, alla quale bisogna dedicare investimenti e attenzione nel lungo periodo».
Le generazioni digitali credono nelle aziende tecnologiche, ma il buon nome dipende dalla sostenibilità dei loro comportamenti