Il rebus della Fed
L’economia Usa rischia di surriscaldarsi troppo, sotto la spinta di una politica economica iperespansiva su entrambi i fronti, monetario e fiscale? È una preoccupazione che da qualche tempo impensierisce gli operatori e si è acutizzata dopo l’annuncio del nuovo piano di infrastrutture da 2.300 miliardi annunciato dal presidente Usa Joe Biden lo scorso 31 marzo. Al punto che, secondo gli economisti americani di Morgan Stanley, la Federal Reserve potrebbe trovarsi nelle condizioni di iniziare a discutere a giugno la riduzione dell’acquisto di titoli nell’ambito del suo programma di espansione monetaria.
Il timore è che possa innescare una certa turbolenza, qualora gli investitori arrivassero impreparati a quell’appuntamento. Anche in passato, il cambio di rotta è stato in alcuni casi digerito male. Si pensi al famigerato taper tantrum del 2013, quando Ben Bernanke, alla guida della Fed, annunciò a sorpresa l’inizio della riduzione dello stimolo monetario, innescando uno scatto dei tassi Usa, con conseguenze così pesanti sui mercati, da costringerlo a una clamorosa marcia indietro.
L’auspicio è che questa volta le condizioni della ripresa Usa siano abbastanza robuste da permettere a borse e bond di superare indenni la progressiva chiusura dei rubinetti di liquidità.