«TORNA LA VOGLIA DI SPENDERE LA MODA RIPARTE MOLTO CAMBIERÀ E NON SOTTOVALUTATE I TACCHI A SPILLO...»
CI SARÀ UN RIMBALZO MA CHI CONTINUERÀ A BALLARE DA SOLO RISCHIA GROSSO
Tornano i tacchi. Finalmente. Pare una frivolezza, invece nella moda li si guarda con un sospiro di sollievo. Perché se la data che metterà la parola «fine» a tutto quanto stiamo vivendo ancora non c’è, «dai Paesi più dinamici, come gli Stati Uniti, arrivano segnali confortanti: ci dicono che le persone hanno voglia di riprendere in mano la propria vita», dice Marco Marchi. Uno di questi segnali sono proprio le scarpe con il tacco. «Le clienti hanno ricominciato a comprarle — spiega l’imprenditore —. Assistiamo a un grande ritorno della femminilità, a una rivincita dello stile rispetto a quanto abbiamo visto in questo anno, dove si è data preferenza a prodotti più quotidiani per stare in casa».
Marchi è amministratore unico di Liu Jo, la società di moda premium che ha fondato a Carpi, provincia di Modena, quasi 26 anni fa insieme al fratello Vannis, di cui oggi ha il controllo e che è destinata a trasformarsi ancora. Nel 2019 l’imprenditore aveva costituito Eccellenze Italiane, holding per accogliere altri marchi. Il primo era stato Blumarine, «una società a cui fin da bambino avevo guardato come a un punto di riferimento»; poi è arrivato il Covid e i piani hanno dovuto, inevitabilmente, rallentare. Ma proprio le aggregazioni saranno una delle grandi direttrici del post-pandemia. «Sono sicuro — sostiene Marchi — che nel prossimo futuro saranno sempre più frequenti e questo permetterà finalmente alle aziende italiane di trovare una modalità per crescere, come hanno fatto i francesi nel segmento del lusso: un’occasione perché il nostro made in italy, le nostre aziende, possano tornare a essere quel punto di riferimento mondiale che erano state negli anni ‘80. Penso che oggi ci sia in ogni imprenditore italiano la coscienza che questa è una onda che non si può non cavalcare». La stessa Liu Jo (il progetto è in via di definizione) «diventerà parte integrante di Eccellenze Italiane», la quale continuerà la sua opera di scouting per arricchire l’offerta della propria piattaforma. «Grazie alle aggregazioni — prosegue l’imprenditore nel suo ragionamento — ho capito che esistono brand che hanno una vocazione internazionale, altri più europea, altri ancora invece più asiatica. Avere, invece, l’obiettivo di crescere “stand alone” porta — e lo dico anche basandomi sulla mia esperienza — a forzare su certe situazioni che possono spingere a non mantenere la coerenza stessa del brand, la sua identità».
Reazioni
Marchi, 58 anni, dice di aver affrontato questa crisi sanitaria, che ha visto i negozi della moda quasi sempre chiusi, come «un buon padre di famiglia, nella consapevolezza che mai mi sarei voluto trovare in questa situazione. Ma dovevo pensare a mettere in sicurezza l’azienda e le 800 persone che fanno parte del gruppo». L’impatto sui conti c’è stato, come per tutti, con «una forte contrazione del risultato economico prima delle tasse, fortunatamente siamo sempre stati una società con capacità reddituale» (Liu Jo ha un Roe che è arrivato anche a superare il 40% e pre-covid era del 24%). «E la risposta che abbiamo avuto dal sistema è stata estremamente positiva, motivo per cui proiettiamo un 2021 in crescita nonostante il nuovo blocco inaspettato di questa primavera. Stiamo recuperando le forze per prepararci al grande balzo che sicuramente ci sarà a pandemia conclusa».proprio
Il fondatore di Liu Jo: «I segnali dai Paesi più dinamici ci fanno ben sperare. Negli Stati Uniti c’è un forte ritorno di femminilità, si tornano a comprare le scarpe con il tacco. Anche da noi avrà il sopravvento la voglia di tornare a vivere». Il progetto di far confluire la società in Eccellenze Italiane
Gli imprenditori italiani hanno reagito meglio grazie alla loro flessibilità. Bisogna crescere di dimensioni ma avere catene di comando corte
per il suo bilancio solido, spesso di è parlato di un arrivo di Liu Jo in Borsa, che Marchi non esclude nemmeno oggi: «Resta una delle possibilità. Aspettiamo lo slot giusto perché possa rendere questo percorso virtuoso. La Borsa deve essere una opportunità e non, invece, rispondere a una esigenza». Come non esclude — anche se il pensiero è del tutto teorico — di poter cedere l’azienda se si accorgesse di non essere in grado di guidarla nella crescita.
Protezione
Perché il punto è proprio la continuità di ciò che ha fondato. Della Borsa, per esempio, ha sempre detto che «è una modalità per rendere l’azienda eterna e non condizionata al proprio fondatore». E qui Marchi spezza una lancia in favore degli imprenditori italiani. «Lavoriamo sul mercato globale e quello che posso dire è che il modo di fare impresa in Italia è completamente diverso dal modo di fare impresa, nello stesso settore, per esempio in Germania. Posso assicurare che la nostra attitudine a essere estremamente flessibili ha reso l’abbigliamento italiano molto più reattivo e più forte rispetto ai colleghi tedeschi, nonostante le perdite oggettive figlie di questo momento drammatico. Forse perché viviamo in un Paese precario e siamo impregnati di questa cultura». Anche della consapevolezza che lo Stato è distante, «ma la natura dell’imprenditore italiano è di riuscire a trovare con ogni mezzo il modo di preservare la sua creatura. A differenza dei Paesi anglosassoni, qui si il rapporto con la propria azienda è vissuto come fosse una parte di sé, un bene e un male insieme, ma in un momento di difficoltà l’imprenditore italiano lotterà fino all’ultimo per mantenere in vita il proprio percorso imprenditoriale».
Il post-covid vedrà le aziende operare in un contesto profondamente mutato. Si sono ridisegnate le presenze sui mercati internazionali e i rapporti con e tra le aree del mondo. Sono cambiate le imprese, che alla capacità di adattamento dovranno sommare catene di comando corte. «In un mercato che sta cambiando giorno dopo giorno il fatto di poter prendere decisioni rapide e in modo autorevole e responsabile è un punto irrinunciabile — dice Marchi —. È una delle caratteristiche che ci ha aiutato in questi mesi. Il modello ideale del prossimo futuro sarà quello di diventare grandi, come dimensioni, ma di continuare ad avere la dinamicità tipica della piccola impresa».
Si è aperta una riflessione se sarà tutto digital o se il fisico continuerà a esistere. Marchi si dice convinto che il negozio fisico resisterà: «Ci accorgiamo di quanto per il consumatore medio, in un momento di totale solitudine, la possibilità di avere un rapporto con il proprio negoziante di fiducia sia diventato un elemento stimolante e sociale e questo ci fa ben sperare». E si discute anche su cosa fare delle collezioni disegnate, prodotte, consegnate e rimaste nei negozi chiusi. Un tempo, nemmeno tanto lontano, c’è chi l’invenduto lo ha distrutto per non rovinare il posizionamento del brand. Oggi, che la sostenibilità — e, dunque, anche il fatto di non sprecare materiali e prodotti — è diventata una delle parole d’ordine principali, c’è da ragionare bene su cosa fare. «L’eccedenza di produzione causata da questo evento è veramente enorme, solo per quanto riguarda noi si parla di diverse centinaia di migliaia di capi — dice Marchi — che stiamo gestendo con responsabilità. Quindi, semplicemente, teniamo tutto in magazzino e utilizzeremo i prodotti in parte negli outlet e in parte li diluiremo durante le varie stagioni per cercare di far sì che abbiano un loro ciclo di efficienza».
Un’ultima parola sui giovani. Anzi, una richiesta ai giovani: restate qui. «Stiamo vivendo in un momento in cui le giovani generazioni pensano di non avere alcuna possibilità e che il loro futuro sia oltrefrontiera. Io sono convinto del contrario, credo che l’italia sia un Paese straordinario, amato in tutto il mondo. Il fatto di essere italiani è un punto di forza e non un punto di debolezza. Se io fossi nato altrove Liu Jo non ci sarebbe mai stata, fare moda in Italia è una garanzia. Ma questo vale anche per l’arredamento, l’alimentare, ci sono aree di eccellenza che aspettano i giovani, perché siano il nostro futuro».
I giovani pensano che il loro futuro sia solo oltrefrontiera. Invece è qui: l’italia è piena di eccellenze e ha bisogno di loro