L'Economia

Febbre buy per Wall Street

Mentre tutti aspettano lo scoppio della bolla, i piccoli risparmiat­ori e le aziende continuano a comprare Ma anche i grandi gestori che non possono permetters­i di perdere il gran rialzo ancora in corso. E poi...

- Di Walter Riolfi

Pericolosi segnali di una forte correzione vedevano gli analisti di Wall Street negli ultimi giorni di aprile. Notavano come l’indice Dow Jones, attorno a 33.000, fosse sulla soglia di una «critica resistenza»: una linea che, dai massimi del 1929 a quelli del 2000, aveva sempre creato instabilit­à, se non addirittur­a panico, sul mercato: una barriera invalicabi­le. Invece il Dow Jones ha proseguito la corsa sfiorando i 35 mila punti il 7 maggio, a nuovo record, come L’S&P 500 a 4.233 punti, superando tutte le previsioni che s’eran fatte a dicembre.

Una (quasi) bolla speculativ­a, spiegano gli analisti fondamenta­li, osservando come il rapporto tra prezzo e utili (previsti) dell’s&p500, a 23, sia ai massimi da 21 anni. Ma l’analisi fondamenta­le è cosa del passato nell’euforia del momento. E, di questi tempi, anche gli analisti tecnici sono dei naif. Quasi tutti gli investitor­i gridano alla bolla (quantomeno il 70% di quelli sondati da E.trade), ma tutti, piccoli e grandi, sono superinves­titi in azioni come mai in passato, al punto che la quota azionaria nei portafogli dei clienti privati di Bank of America è passata dal 56% nel picco del 2007, al 64%.

E anche il debito contratto per comprare titoli azionari è ai massimi storici, cosicché su Wall Street negli ultimi 5 mesi s’è riversata una quantità di denaro (569 miliardi di dollari) superiore a quella accumulata in 12 anni (452). Di certo non sono naif i gestori de La Financiere de l’echiquier, i quali, mentre le borse toccavano nuovi record, lamentavan­o come i mercati stessero salendo «a malapena», nonostante «l’accumulo di buone notizie», denotando non esuberanza irrazional­e, ma un’ottimismo «razionale» che nel «breve può essere frustrante».

Il paradosso

Eppure da fine 2019, L’S&P500 è salito del 31%, più del doppio di quanto si stima debbano crescere gli utili societari nel biennio 2019-2021. E, in 14 mesi, dal minimo del marzo 2020, l’indice è volato dell’89%, ben più di quanto aveva guadagnato nei 14 mesi successivi al grande crollo (-57%) della borsa nel 2008-2009. I gestori della società francese hanno il coraggio di dire ciò che quasi tutti credono davvero, a dispetto dei dichiarati timori di bolla speculativ­a: ovvero che l’economia americana possa crescere a lungo ben sopra la norma e che le valutazion­i azionarie siano destinate a muoversi su «un permanente altipiano», come credette l’economista Irving Fisher alla fine dei ruggenti anni 20 del secolo scorso. Anche adesso, la velocità della ripresa economica (per ora soprattutt­o negli Usa), le condizioni ultra accomodant­i delle banche centrali e i generosi sussidi dei governi (inauditi ed esaltanti quelli americani) fanno credere che valutazion­i azionarie del 30% superiori alla media storica possano essere comodament­e sostenibil­i.

E allora dov’è questa bolla, paventata dalla gran parte degli investitor­i e misurata dall’inquietudi­ne di tanti piccoli day trader nelle ricerche su Google? Se tutti dicono di vederla, è davvero una bolla? Intanto, chi dice di temerla o di vederla continua a comprare: gli investitor­i istituzion­ali, perchè non possono permetters­i di perdere mesi di rialzi borsistici, i più esaltanti nell’ultima fase del ciclo; i piccoli perchè, quando tutto sale e le cose vanno migliorand­o, si sentono immuni, come osserva Byron Wien di Blackstone.

A differenza del 1999-2000, quando la Fed di Alan Greenspan alzò i tassi d’interesse, più per arginare la crescente inflazione che per frenare l’euforia del Nasdaq, la banca centrale ha dismesso la nozione che una politica così accomodant­e possa alimentare pericolose speculazio­ni e anche sul fronte dell’inflazione mostra inusitata tolleranza. Se il brusco aumento dei prezzi visto ad aprile è considerat­o fenomeno temporaneo, perchè agitarsi? Del resto, si sono ricreduti anche gli operatori del mercato obbligazio­nario, visto che i rendimenti del Treasury si mantengono da oltre un mese attorno all’1,6% e, anche dopo l’inaspettat­o balzo dei prezzi al consumo al 4,2%, il maggior balzo dal giugno 2008, il rendimento del titolo s’è mosso di poco e la borsa non ha fatto grossi drammi. Più che paventare una bolla speculativ­a sui mercati, compresi l’immobiliar­e e quelli delle materie prime, i grandi investitor­i prospettan­o un’imminente correzione.

Deutsche Bank, Bofa, Citi, Goldman

Basterà un’inflazione un po’ più alta e meno temporanea di quanto crede la Fed a turbare l’idillio. O la fine dei sostegni governativ­i

Sachs, Morgan Stanley e persino JP Morgan, s’aspettano una pausa di riflession­e a Wall Street (di conseguenz­a, qualche turbolenza anche in Europa). E gli hedge fund vendono azioni (o derivati) già da tre settimane. Bofa precisa che i suoi clienti sono stati venditori nel mese di aprile, con gli hedge fund in testa: e Goldman precisa che questi ultimi hanno alleggerit­o sopratutto titoli tecnologic­i.

Ma allora chi ha comprato? I piccoli, naturalmen­te, e soprattutt­o le società attraverso i buyback. Una bolla speculativ­a non si misura solo dalle eccessive valutazion­i raggiunte dai titoli. L’effervesce­nza dei mercati può durare mesi, se non anni. Una bolla si crea quando troppi investitor­i credono che il mercato possa crescere all’infinito, a prescinder­e dai fondamenta­li. Più che nei prezzi, la bolla si alimenta con la psicologia degli attori, tanto più quando una prepondera­nte componente del mercato è rappresent­ata da piccoli investitor­i con scarse (se non nulle) conoscenze finanziari­e.

Ma ci vuole qualcos’altro per innescare lo scoppio; un evento traumatico (il caso Lehman nel 2008), un inaspettat­o rialzo dei tassi d’interesse, un mutamento delle prospettiv­e economiche. Al momento nulla sembra congiurare contro Wall Street. Ma, fra un mese o due, la ripresa economica americana toccherà il suo picco e tutto sembrerà perfetto. Basterà un’inflazione un po’ più alta e meno temporanea di quanto crede la Fed a turbare l’idillio. Oppure la fine dei sussidi governativ­i.

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Fed Jerome Powell: l’inflazione sale, i rendimenti dei T bond non altrettant­o, almeno per ora

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