La recessione è possibile: meglio ridurre il rischio?
Quasi il 70% degli economisti interpellati dal Financial Times e dalla School of business dell’università di Chicago, in un sondaggio pubblicato la settimana scorsa, ritiene che gli Stati Uniti scivoleranno in recessione l’anno prossimo. Il 40% la «vede» addirittura entro la prima metà del 2023. «Noi non siamo posizionati su questo scenario, ma in pochi giorni la probabilità di un atterraggio duro dell’economia è aumentata dal 35 al 60%, in base alle nostre analisi», segnala Donatella Principe (Fidelity International). Dello stesso avviso Marco Piersimoni (Pictet am), che non nasconde, tuttavia, la preoccupazione per il rapido deterioramento delle condizioni economiche. «Alcune aree scontano già una crescita negativa degli Stati Uniti: lo si vede, per esempio, nelle small cap americane, i titoli a bassa capitalizzazione quotati a Wall Street, e nelle valutazioni relative dei titoli ciclici rispetto alle utility».
Ma il mercato nel suo complesso, non sta prezzando interamente una recessione. «Se quello scenario dovesse materializzarsi, potrebbe togliere un altro 5%, al massimo 10% a Wall Street, dai livelli attuali», argomenta Piersimoni. D’altra parte, osserva il gestore, «non ci sono le condizioni per una crisi profonda come quella seguita alla crisi del 2008». Il motivo? «A differenza di allora, non c’è un eccesso di leva finanziaria nel settore privato: i bilanci di famiglie, imprese e banche sono piuttosto solidi». In ogni caso, non conviene uscire ora dai mercati, perché si rischierebbe di capitalizzare la forte perdita subita, precludendo la possibilità di cavalcare un futuro rimbalzo.