Il tech è caro, meglio l’europa e la transizione verde
«Potremmo assistere a un po’ di turbolenze sui mercati azionari, specialmente negli Stati Uniti, dove le valutazioni sono più elevate», dice Peter van der Welle, strategist multi asset di Robeco, secondo cui non si può escludere una correzione del 10/20%: «Nel 2024 il restringimento delle condizioni finanziarie si farà sentire con maggiore impatto anche sui profitti delle aziende: ci aspettiamo un rallentamento o una recessione mite». A quel punto, nel mezzo della frenata del Pil – potrebbe essere attorno alla metà del prossimo anno – «mi aspetto che i mercati inizino un nuovo rally, anticipando la fase successiva del ciclo». Su un orizzonte di cinque anni, in ogni caso «la nostra preferenza va alla zona euro, alla quale assegniamo un ritorno atteso del 7,9% annuo nel prossimo quinquennio, contro il 4,75% della borsa Usa, calcolato in euro». Nello scenario di base di Robeco, il Giappone «vale» un rendimento dell’8,5% annuo, sempre in euro. A fronte di un settore tecnologico che appare caro, dice Manuel Pozzi, direttore investimenti di M&G, ci sono aree del mercato che sono rimaste indietro, per esempio le Borse italiana e tedesca. «Altre hanno sofferto molto, penalizzate da un sollevamento della curva dei rendimenti, anche sulle scadenze lunghe, come il real estate e le utility — settori tipicamente molto indebitati e quindi più vulnerabili a una risalita dei tassi ».
Ma anche le aziende impegnate nella transizione energetica — per esempio nello sviluppo di nuovi impianti solari ed eolici e di nuove infrastrutture — hanno fatto male: l’aumento dei costi delle materie prime e dei costi di finanziamento ha ridimensionato la redditività attesa di molti progetti, creando un po’ di malumore. «Ci sono, però, nomi di buona qualità e con potenzialità di crescita, che hanno perso metà del proprio valore in Borsa – osserva Pozzi -. Nel lungo termine hanno un potenziale inespresso interessante, che è offuscato dalla negatività di breve».