Wall Street, quanto peseranno i debiti
La situazione è critica anche negli Stati Uniti. Con un rapporto al 130% del Pil, non lontanissimo da quello tricolore. Se il rialzo dei tassi d’interesse continua, può far esplodere gli oneri finanziari
«Il rendimento del Treasury americano a 10 anni potrebbe crescere fino al 13%», quasi come nel lontano 1980-1981, ha sentenziato Rick Santelli, noto giornalista della Cnbc. L’ardita predizione era seguita al balzo, martedì scorso, del titolo di stato americano volato al 4,87%, un livello che non si vedeva dal luglio 2007. A provocare quel salto era stato l’annuncio di nuovi posti di lavoro (Jolts) superiori alle stime che, combinati con la lettura (il giorno prima) di indici manifatturieri meno peggio del previsto, aveva fatto credere a un’economia in forte e inarrestabile crescita, con conseguenti nuovi rialzi dei tassi Fed.
Commentatori economici ed operatori non hanno il senso del limite. Un anno fa la predizione dominante era l’imminente recessione. Poi ci si è cullati nell’idea di un atterraggio morbido dell’economia, che, tranne una volta, non è mai capitato in America negli ultimi 80 anni. Adesso s’è abbracciata la tesi della crescita infinita. Di conseguenza,
è trionfante la convinzione che i tassi d’interesse siano destinati a rimanere alti o più alti e più a lungo, come sempre ha sostenuto la Fed: esattamente l’opposto di sei mesi fa, quando si pensava che sarebbero scesi di almeno un punto percentuale entro la primavera 2024.
I mercati sono inclini a fare previsioni sulla suggestione del momento, e il vaticinio di Santelli ricorda parecchio quello di James Glassman del 1999, secondo il quale il Dow Jones sarebbe volato in breve tempo a 36mila punti: quota fugacemente raggiunta solo nel novembre 2021. Al commentatore della Cnbc sfugge che l’inflazione e le attuali condizioni economiche sono assai diverse da quelle che oltre 40 anni fa avevano contraddistinto l’era di Paul Volcker, l’allora presidente della Fed. E soprattutto che rendimenti del Treasury al 14%, come ancora si toccarono nel luglio 1984, furono la premessa del grande crollo della borsa tre anni più tardi.
Allo stesso modo le previsioni di due tre settimane fa di un forte rialzo del prezzo del petrolio, a 100 dollari, come sosteneva Goldman Sachs o persino a 150, come diceva Jpmorgan, sono parse più dettate dal presunto abbrivio di prezzi in continua ascesa che da reali condizioni economiche: semmai in peggioramento a livello globale. Infatti il Brent, dopo aver sfiorato i 95 a fine settembre, si ritrova adesso a 85. E mercoledì, su un dato dei nuovi occupati, questa volta curato da Adp, rivelatosi in netto calo e ben peggio del previsto (89 mila nuovi assunti contro i mila di agosto, il minimo da 32 mesi), il rendimento del Treasury era già sceso di 12 punti al 4,75% e Wall Street aveva tirato un effimero sospiro di sollievo. Se l’ossessione delle borse è solo per i tassi d’interesse e non per l’andamento dell’economia, è naturale che ogni brutta notizia macro venga accolta con gioia: finché dura questa paranoia per i tassi Fed.
La lettura finale dei Pmi servizi e dell’ism ha confermato il lento deteriorarsi delle condizioni economiche, unito a una possibile ripresa dell’inflazione, ma nuovi ordini cresciuti dell’1,2% (quasi solo per il dinamismo deldite l’industria bellica) parrebbero indicare il contrario. Quel che si ricava dalla provvisorietà dei vari indicatori è una situazione assai confusa, cosicché borse e bond non sanno più che strada prendere. Se vedremo qualche rimbalzo dell’indice S&P, sarà solo in virtù di qualche ricopertura, viste le tante ven177 allo scoperto degli ultimi due mesi. Dal picco di fine luglio, l’indice S&P 500 ha perso il 7,8%, il Nasdaq quasi il 9% e circa il 7% lo Stoxx e il nostro Mib.
La panoramica
In ogni caso, il ribasso degli ultimi due mesi s’è mangiato tutti i guadagni dell’estate e pure qualcosa di più. In poco più di un mese il rendimento del Btp è aumentato di quasi un punto percentuale (4,97%) e lo spread sul Bund è risalito di 35 centesimi e sfiora i 200 punti: nulla di drammatico, ma è il segno che anche le condizioni finanziarie si stanno inasprendo e, con un debito così elevato come quello italiano, il maggior peso degli oneri è destinato a gravare ancor più sul già precario stato dei conti pubblici: specie se si considera che nei prossimi due anni il Tesoro si ritroverà a rinnovare oltre 400 miliardi di titoli in scadenza a tassi ben più elevati. La situazione è allarmante anche negli Stati Uniti. Con un debito al 130% del pil, non lontanissimo
Le condizioni sono molto cambiate in poco tempo: il costo medio del debito tra il 2009 e il 2022 è stato inferiore all’1,5%
da quello italiano, il rialzo dei tassi d’interesse fa esplodere gli oneri finanziari che la pur ottimista Goldman Sachs stima in crescita al 3% del pil nel 2024 e al 4% nel 2025: una bella differenza, se si considera che il costo medio del debito tra il 2009 e il 2022 è stato inferiore all’1,5%.
Se tassi così alti appesantiscono i conti dello stato, compromettono anche i bilanci delle famiglie e prospettano un drastico calo dei consumi, al punto che la stessa Goldman Sachs stima ora un pil a crescita zero nel 4° trimestre. E compromettono anche gli investimenti di chi ha messo soldi nei fondi pensione. Basti pensare che un Etf investito in Treasury a medio lungo termine (ishares) si trova ora a conteggiare perdite del 26% rispetto a tre anni fa, e la quota di un Etf con titoli a lunghissima scadenza è crollata di quasi il 50% in due anni. E poi, come fanno notare gli analisti di Rbc Bluebay, occorre considerare il forte indebitamento delle imprese, specie quelle a basso rating che hanno immesso sul mercato carta per 3mila miliardi di dollari solo negli Usa e in Europa, oltre il doppio di quella in circolazione nel 2007-2008. Con la forte crescita dei fallimenti che si sta registrando ovunque, il rischio di un disastro paragonabile a quello dell’ultima grande recessione comincia a farsi concreto, al punto che Goldman e Jpmorgan hanno lanciato l’allarme su un probabile nuovo «crac finanziario»: «Qualcosa andrà storto e così la Fed sarà costretta a fare una rapida marcia indietro», scrivono.