Btp e Bond, siate brevi in attesa del voto
Da qui a fine anno le cinque agenzie di rating devono dare la pagella al nostro debito. Investendo in titoli euro e Usa con scadenza fra tre anni i rendimenti arrivano al 5,4%
Gli esami non finiscono mai. Non è solo il titolo di una commedia di Eduardo de Filippo, ma anche la prospettiva abbastanza ravvicinata che il debito pubblico del nostro Paese ha davanti a sé. Allora ecco qualche idea per gestire il portafoglio in attesa che le cinque agenzie di rating, tra i cui compiti campeggia la valutazione del grado di affidabilità degli emittenti di obbligazioni, sia governativi, sia aziendali, esprimano il loro giudizio relativo al debito pubblico italiano, a partire dal prossimo 20 ottobre per finire il primo dicembre. I rendimenti, da qui ai prossimi tre anni, ballano tra il 3,50% e il 5,4%, come mostra la tabella. Diversificare sfruttando le occasioni del breve è una via da considerare.
Il voto del mercato è una prassi che si ripete da tempo, perché gli emittenti di obbligazioni ricorrono continuamente ai mercati finanziari, per soddisfare il loro fabbisogno di liquidità monetaria.
Al tempo stesso, le fasi che precedono l’emissione del giudizio delle singole Agenzie è caratterizzato da un’intensa attività diplomatica da parte dei dicasteri dei Paesi debitori, Italia compresa, naturalmente. Da qualche anno, al dipartimento del Tesoro italiano è assegnata, nella maggior parte di casi, una valutazione che lo ha confermato come debitore investment grade. Giudizio che fa riferimento ad un sistema debitorio considerato relativamente sicuro e poco rischioso. Da questo giudizio dipende il costo della raccolta dell’emittente: in pratica il livello dei rendimenti che offre agli investitori, per riuscire a collocare le emissioni, mese dopo mese. La partecipazione, settimana scorsa, da parte dei risparmiatori del nostro Paese, per sottoscrivere quote del secondo Btp Valore, rappresenta la cartina di tornasole che evidenzia il grado di fiducia che lega i risparmiatori stessi all’emittente pubblico italiano. Il valore nominale assegnato, se l’offerta non fosse stata riservata agli investitori interni, avrebbe raggiungo un livello molto più elevato. Solo due esempi per avvalorare quanto appena ricordato: in data 16 febbraio scorso l’emissione di un Btp trentennale richiamò universalmente 26,466 miliardi di euro di domande, a fronte di un classamento di 5 miliardi, mentre il successivo 23 maggio la richiesta di un’emissione di Btp decennale, con cedola e capitale indicizzato all’inflazione di Eurozona, si attestò a 23,959 miliardi di euro, con assegnazione finale di 4 miliardi di euro.
L’aspetto tecnico, altrettanto interessante e importante, fa riferimento alla dinamica del costo della vita. Già da metà anno prossimo, non si può escludere un ritorno del valore del tasso d’inflazione di Eurozona poco al di sopra del livello del 2%. Accompagnato, come accade in questi casi, da un incremento dei valori di mercato delle emissioni obbligazionarie a cedola fissa. I mesi ravvicinati non evidenzieranno ancora, con molte probabilità, l’avvicinarsi di una fase di mercato meno turbolento. Siamo tutti negativamente influenzati dal timore che il tasso d’inflazione fatichi a diminuire. La dinamica del costo della vita, in queste ultime settimane, appare meno rigida verso i valori alti e già evidenzia gli effetti creati dall’incremento dei tassi delle banche centrali.
Non solo euro
Accanto a questo tassello, in ogni caso, se ne può aggiungere un altro, che prende corpo dalle future decisioni delle agenzie di rating: meglio diversificare il portafoglio, inserendo, non solo emissioni obbligazionarie del nostro Paese, ma ricorrendo anche a titoli di Stato e societari sia di Eurozona, sia di altre monete correnti. La tabella può essere utilizzata sia da chi dispone di una propensione al rischio non elevata, evitando o riducendo a basse percentuali la presenza di strumenti finanziari non italiani, sia da chi, al contrario, ritiene interessante disporre di strumenti internazionali, perché dispone di una buona propensione al rischio. Anche in quest’ultimo caso, la presenza di valuta non euro andrebbe limitata ad un peso percentuale che si aggiri tra il 15 e il 20 per cento.