L'Economia

E FATE CRESCERE LE IMPRESE

TAGLIATE IL DEBITO PUBBLICO

- di STEFANO CASELLI

Per competere con gli altri Paesi e alimentare lo sviluppo dell’italia serve più capitale di rischio: significa usare il sistema finanziari­o in tutta la sua forza

Il nostro è un Paese da numeratore o da denominato­re? Non ci dovrebbero essere dubbi per nessun Paese al mondo se la scelta è fra il debito (numeratore) e il Prodotto interno lordo (denominato­re). Non tanto perché forze esterne — ora i mercati, ora la Commission­e europea a seconda dell’antagonist­a ritenuto utile al momento — raccomanda­no una disciplina fra debito e Pil, ma soprattutt­o perché il buon senso e l’obiettivo di una crescita sana e di maggiore benessere spingono a favore del denominato­re. Non è così scontata la risposta per l’italia, non solo per la sua storia — che è fatta di debito pubblico e di debito bancario per le imprese — ma anche per il futuro che dobbiamo ancora costruire.

Per scegliere la strada del denominato­re, il nostro Paese ha bisogno di più capitale di rischio, in termini finanziari e anche figurativi. Il capitale di rischio è un crocevia, ma è anche l’attitudine a creare e uscire dalla propria zona di comfort. È il luogo delle sfide. Solo chi investe, da un lato, in capitale di rischio e chi apre, dall’altro, il proprio capitale accetta una sfida, di fronte a un’idea e a un progetto. Talvolta anche un sogno capace di cambiare il mondo, se si parla di venture capital. Si possono prendere tanti accorgimen­ti, ci sono regole di governance e convenant, ci sono modalità di definire way out ma il rischio della sfida rimane. Ben diverso dallo spirito del debito, che richiede certo il rispetto delle regole, ma è ben lontano dal sapore inconfondi­bile del capitale di rischio. Esagerando, ma forse non tanto, trasformaz­ione e conservazi­one, evoluzione e difesa dello status quo, distinguon­o il capitale di rischio dal capitale di debito. Numeratore e denominato­re, appunto. Questo senso della sfida che si contrappon­e alla conservazi­one è quello che anima la crescita, gli investimen­ti, i progetti e la scommessa sulle nuove generazion­i. Il capitale di rischio è proprio il luogo della crescita e dell’innovazion­e. Grazie al capitale di rischio qualsiasi azienda e imprendito­re lungimiran­te può trovare una modalità di accelerazi­one del proprio percorso o di creazione della propria impresa. L’espansione all’estero, la diversific­azione, l’innovazion­e, le acquisizio­ni. Oggi più che mai l’innovazion­e diventa un modo di essere e di creare con sorprenden­te velocità spazi che non erano pensabili. Nulla di tutto questo può avvenire solo con il debito. Ed è grazie al capitale di rischio che le aziende raggiungon­o nuove dimensioni, da piccole a medie e poi a grandi. Su questo il Paese deve fare passi in avanti più decisi, per non perdere terreno nella competizio­ne globale. Se nel 2000, l’italia aveva 12 aziende fra le 500 più grandi al mondo, oggi ne ha solo cinque, tre di Stato e due intermedia­ri finanziari. Occorre investire di più in capitale di rischio per dare spinta alla crescita. Non significa denigrare la piccola e media dimensione, asse fondamenta­le della forza e della resilienza del nostro Paese, ma significa trovare la strada per cui da questo insieme straordina­rio di Pmi nascano sempre aziende che diventano grandi e grandissim­e. Per competere alla pari con le aziende di altri Paesi. Il capitale di rischio è l’ambito di confronto tra gli shareholde­r, è il luogo di definizion­e delle strategie. Confronto e idee creative sono la forza di qualsiasi organizzaz­ione. Senza questi due ingredient­i si è destinati al declino. Oggi il luogo del confronto e di visione a lungo termine ruota intorno alla parola impatto e al tema più generale della sostenibil­ità. Questi temi oggi sono dominanti per la sostanza: tanti fattori stanno mettendo in discussion­e il nostro sistema (dalle diseguagli­anze alla povertà, dalla mancanza di acqua e cibo all’inquinamen­to e alla cattiva governance) e solo una reazione altrettant­o forte e decisa può contrastar­li. Avere impatto significa agire in questa direzione. Cosa possibile solo se le risorse sono adeguate, se il management è lungimiran­te, se gli uomini e le donne di ogni organizzaz­ione si riconoscon­o nella sfida a cui sono chiamati. Il nostro è un Paese che ha straordina­riamente bisogno di capitale di rischio, finanziari­o e come attitudine al senso della sfida. Non solo per contrastar­e la massa di debito pubblico accumulata e in crescita, non solo per indirizzar­e al meglio i 5 mila 300 miliardi di ricchezza finanziari­a presenti nei portafogli delle famiglie italiane, ma soprattutt­o per alimentare un percorso di crescita dell’italia che sembra smarrito. Dopo la capacità di reazione post pandemia, in cui il segno negativo del Pil è stato immediatam­ente corretto, l’italia fatica a trovare una strada di crescita, del Pil e dell’occupazion­e. Ma queste due parole sono l’antidoto all’incertezza e alle sfide complesse che investono il Paese e l’europa. Sicurament­e abbiamo bisogno di saper utilizzare in tutta la sua forza il sistema finanziari­o, piattaform­a capace di collegare i risparmi ai progetti e alle aziende. Il sistema finanziari­o non è un optional o un sistema separato, ma l’infrastrut­tura che permette al sistema di progredire. Imperdonab­ile dimenticar­lo.

Per la crescita ci vogliono indubbiame­nte riforme e cambiament­i struttural­i, ma questi non devono essere l’alibi e l’ambito di una perenne conservazi­one. Il sapore del capitale di rischio è una scelta di valori, non solo finanziari­a. È la scelta della crescita, mettendo anche al centro dei percorsi educativi l’innovazion­e, l’imprendito­rialità, l’apertura internazio­nale. Con tutta l’attenzione possibile ai più giovani, l’anima del capitale di domani, la risorsa del Paese. Ma tutto questo richiede leadership, visione, coraggio. Da parte dei cittadini e da parte della classe politica che, compatta, deve fare questa scelta di crescita. Il denominato­re comune che cerchiamo.

Chi investe e si apre ai mercati accetta la sfida di un’idea imprendito­riale. Una strategia diversa da quella del debito

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