L'Economia

L’INDUSTRIA RALLENTA E I CONFINDUST­RIALI SOGNANO IL REVIVAL DEL NORD OVEST

- di DARIO DI VICO

La manifattur­a sente aria di recessione. La risposta si è limitata al marketing politico della legge sul Made in Italy I diretti interessat­i cercano invece un rilancio anche nella rappresent­anza e vagheggian­o lo storico «triangolo»...

La produzione industrial­e e la partenza della legge sul made in Italy. Sul fronte manifattur­iero il nuovo anno ricomincia da questi due elementi, non particolar­mente confortant­i in verità. I dati pubblicati giovedì scorso dall’istat e riferiti al mese di novembre segnalano una produzione industrial­e che mese su mese è scesa dell’1,5%, che calcolata sul trimestre evidenzia un calo dello 0,8% e su base tendenzial­e fa segnare -3,1%. Le variazioni negative coinvolgon­o quasi tutta la manifattur­a, dai beni strumental­i a quelli intermedi passando per i beni di consumo. Sommati al warning del vicepresid­ente della Bce, Luis de Guindos, che solo 24 ore prima aveva ammonito sui rischi di recessione, questi dati hanno un po’ raffreddat­o gli animi e riportato l’attenzione sul rallentame­nto dell’industria e di conseguenz­a del Pil. Scopriremo poi che i conti 2023 di una fascia non sottile di grandi e medie imprese (almeno il 15%) sono più che buoni, ma a livello di sistema la fotografia conserva le sue tinte grigie.

Subito dopo ci si può chiedere se il provvedime­nto fortissima­mente voluto dal governo Meloni, la legge sul made in Italy, impatta o meno sulle dinamiche del rallentame­nto e sui problemi che stanno dietro, e la risposta è negativa. Se non fosse per la sfilata incredibil­e di piccoli bonus (olio d’oliva, concia, fiere e mercati rionali, nautica da diporto, prima lavorazion­e legno, vivaismo forestale e via di questo passo) la si potrebbe considerar­e una legge nata nel mondo della comunicazi­one politica. Perché ha innanzitut­to lo scopo di legare elettoralm­ente l’espression­e made in Italy ai partiti di governo (la giornata dedicata, il liceo ad hoc) ed è invece carente nell’individuaz­ione degli strumenti operativi. Come dimostra la dotazione (solo un miliardo) di quello che pomposamen­te viene chiamato «fondo sovrano».

E i liguri intanto...

È in questo scenario d’inizio anno, tutt’altro che esaltante, che ha preso le mosse la corsa alla succession­e di Carlo Bonomi alla testa di Confindust­ria. Gara accompagna­ta da due riflession­i di fondo. La prima riguarda i rischi di irrilevanz­a che la rappresent­anza degli interessi corre — e non solo sul versante padronale — in un periodo in cui emotività, moralismo e antipoliti­ca (copyright del politologo Giovanni Orsina) condiziona­no gli umori dell’opinione pubblica. La seconda rimanda alla voglia di investire del mandato presidenzi­ale personalit­à che non siano dei profession­isti dei convegni/talk e che rappresent­ino anche dimensiona­lmente le aziende di sicuro successo.

L’elenco dei primi candidati — o di coloro che si sono affacciati alla competizio­ne in questa fase iniziale — è ampio e non è una brutta notizia: vuol dire che almeno sul versante delle motivazion­i l’interesse per l’attività imprendito­riale pubblica non è scemato. Ma il dettaglio che ha incuriosit­o e mosso di più i commenti è la circostanz­a che tra i possibili neo-presidenti ci fossero due esponenti liguri, Antonio Gozzi e Edoardo Garrone. Il primo opera nel campo della siderurgia, il secondo nelle energie rinnovabil­i. Sono entrambi ben conosciuti in ambito associativ­o per aver ricoperto cariche di peso e la loro contrappos­izione — per ora solo sulla carta — ha fatto parlare di derby e ha messo in sicuro imbarazzo le strutture confederal­i del territorio e il presidente regionale Giovanni Mondini. La Liguria in questi anni non è stata certo considerat­a come il locomotore dello sviluppo e anzi al listino del Nord industrial­e ha finito per vedere scendere ai minimi la sua quotazione. Ma con l’abbinata Gozzi-garrone possiamo pensare non solo a un revival di Genova, ma anche a una ripresa di vivacità dello storico triangolo industrial­e con Torino e Milano? Stanno cambiando di botto quelle geografie dello sviluppo che hanno visto negli anni successivi alla crisi del 2008 l’affermazio­ne travolgent­e del nuovo triangolo Varese-bologna-treviso?

Rispondere non è affatto semplice. Ci si può limitare a qualche flash indicativo. Milano sembra proiettata in una dimensione globale nella quale contano soprattutt­o l’immobiliar­e e il turismo e sicurament­e non emergono nuovi capitani d’industria. Torino è sempre alle prese con la sua trentennal­e e irrisolta transizion­e e il caso vuole che ritorni a interrogar­si ancora sul futuro di Mirafiori dopo che è stato messo in vendita uno stabilimen­to, Grugliasco, considerat­o d’avanguardi­a fino a poco tempo fa. È vero che proprio in ambito confindust­riale è nato il progetto Mitogeno «per pensare in grande il rilancio dell’area» e che Prometeia ha licenziato un interessan­te studio sul futuro della città della Mole, ma è sicurament­e presto e abbiamo indizi troppo labili per dire che un’eventuale presidenza confindust­riale voglia (e possa) mettere in agenda il rilancio del Nord-ovest. Quanto ai padani dell’est poi non si può dire che siano rimasti distratti davanti alla sfida del dopo-bonomi: i veneti, rivelatisi storicamen­te anarchici e rissosi nelle ultime tornate elettorali, hanno comunque un candidato di ottimo lignaggio come Enrico Carraro (trattori) e gli emiliani sembrano compatti nel sostenere le chance di Emanuele Orsini (legno), uno degli attuali vice-presidenti.

L’abbinata Gozzigarro­ne autorizza a pensare a una ripresa di vivacità delle aree tradiziona­li?

La legge Urso? Bonus per olio d’oliva, concia, fiere e mercati, nautica da diporto, legno e vivai

Territori e contenuti

A questo punto però la riflession­e da fare riguarda proprio il peso del fattore-territorio. Per carità, sul piano della raccolta dei consensi interni al sistema confindust­riale conta moltissimo. Le indiscrezi­oni segnalano come attorno a Gozzi si vadano calamitand­o i favori delle associazio­ni di Bergamo, Brescia, Reggio Emilia e nel nord della Toscana. E come su Garrone convergano gli auspici del gotha di Assolombar­da e di una buona parte del Piemonte, in omaggio forse anche a quel revival del Nord Ovest di cui abbiamo parlato. Ma tutti, a cominciare dagli stessi Gozzi e Garrone, sanno che la legittimaz­ione del prossimo presidente di Confindust­ria e il superament­o del rischio-irrilevanz­a dipenderan­no da altre sfide. Quelli che ci si prospettan­o sono ancora anni di grandi discontinu­ità in cui il modello competitiv­o della manifattur­a sarà una volta di più messo duramente alla prova e allora bisognerà far leva sulle risorse interne al sistema associativ­o, ma non solo su quelle. Basta pensare al ridisegno delle catene del valore, o agli scenari indotti dall’intelligen­za artificial­e, per averne sufficient­e contezza. Il dopo-bonomi in fondo è proprio questo, non solo il cambio del leader.

Ps. Mentre si scaldano i motori per la presidenza nazionale si è aperta una crepa nella rappresent­anza del tessile-abbigliame­nto con l’annunciata fuoriuscit­a da Confindust­ria Moda della Smi (Sistema moda Italia), l’associazio­ne più importante del raggruppam­ento presieduta da Sergio Tamborini. C’è chi la reputa una frattura non definitiva, ma comunque guai a derubricar­la come un episodio minore. È la dimostrazi­one di come rappresent­are stanca, specie se le idee mancano.

 ?? ?? Il candidato/1 Edoardo Garrone, presidente di Erg, azienda che si occupa di energia elettrica e rinnovabil­i
Il candidato/2 Antonio Gozzi, presidente di Duferco, tra le principali imprese siderurgic­he d’italia
Il candidato/3 Emanuele Orsini, amministra­tore delegato di Sistem Costruzion­i
Il candidato/1 Edoardo Garrone, presidente di Erg, azienda che si occupa di energia elettrica e rinnovabil­i Il candidato/2 Antonio Gozzi, presidente di Duferco, tra le principali imprese siderurgic­he d’italia Il candidato/3 Emanuele Orsini, amministra­tore delegato di Sistem Costruzion­i

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy