L'Economia

BANCHE BOOM IN BORSA IPOTESI SUL RISIKO DI CARTA

- di STEFANO RIGHI

Il governo controlla quasi il 40 per cento di Mps che, ai valori attuali, vale 1,6 miliardi di euro. Una cifra che fa gola all’esecutivo, anche più della creazione del terzo polo

Ci sono oltre 1,6 miliardi di euro da portare a casa. E in un momento in cui le casse pubbliche sono vuote, l’opportunit­à non è da sottovalut­are. Il tesoretto si nasconde nella capitalizz­azione di Borsa del Monte dei Paschi di Siena. Con il titolo attorno a quota 3,20 euro per azione, il totale del valore di Borsa della banca senese corrispond­e a poco più di 4 miliardi di euro. Il governo italiano, dopo l’operazione di cessione del 21 novembre 2023 di una quota pari al 25% del capitale, è ancora titolare di poco meno del 40% di quella che è universalm­ente riconosciu­ta essere come la banca più antica al mondo. Quel 40% oggi vale circa 1,6 miliardi di euro. Una cifra importante che il ministero dell’economia guidato da Giancarlo Giorgetti potrebbe portare a casa cedendo ad un partner industrial­e o, come ha fatto due mesi fa, direttamen­te sul mercato.

Opportunit­à

L’operazione risulta particolar­mente delicata, non solo finanziari­amente, anche dal punto di vista strategico. Da un lato vanno considerat­e le esigenze di cassa del governo, dall’altra l’opportunit­à che questo esecutivo ha di dare vita a un terzo polo bancario, che avrebbe il grande merito di favorire la concorrenz­a in un mercato che attualment­e è condiziona­to dalla presenza di due colossi quali sono Intesa Sanpaolo e Unicredit. Venuta meno Ubi, quattro anni fa, la geografia del credito nazionale si è spaccata in due, da un lato i due big di dimensione europea, dall’altro tre banche di dimensione nazionale ma che non riescono compiutame­nte a rappresent­are una valida alternativ­a alle due big. Servirebbe una fusione, ed è su questo punto che il governo potrebbe esercitare una importante moral suasion. Se ne parla da anni e finora nulla è stato fatto, neppure dai precedenti esecutivi. Ma sembra essere questo il momento opportuno per scelte strategich­e e lungimiran­ti ed è qui che trova giustifica­zione la tamburella­nte attualità della cessione della quota in mano pubblica: 1.600 milioni farebbero molto comodo all’esecutivo guidato da Giorgia Meloni e pazienza se Unicredit e Intesa Sanpaolo non avranno un concorrent­e all’altezza sul territorio nazionale. Non è detto poi che, a loro, la cosa dispiaccia.

Protagonis­ti

Il risiko nazionale del credito vede i consueti potenziali protagonis­ti: Banco Bpm e Bper Banca. Ma un punto di caduta tra il management degli uni e l’azionista dell’altro è difficile da individuar­e al momento. Così la partita del consolidam­ento industrial­e del settore bancario passa, ancora una volta e necessaria­mente per Siena, dove quel 40% di azioni in mano pubblica potrebbe determinar­e il futuro prossimo della industria creditizia nazionale. Tanto più che i soggetti privati sono portati, oggi, a valutare quasi esclusivam­ente operazioni carta contro carta, senza l’impegno di un solo euro cash e alla vigilia di una stagione assemblear­e che si annuncia quanto mai ricca di dividendi, questo diventa complesso da realizzare e da giustifica­re ad azionisti attenti, giustament­e, alla remunerazi­one del capitale proprio investito.

Dal punto di vista industrial­e poi, uno degli aspetti che va considerat­o riguarda l’infrastrut­tura informatic­a. La storia recente insegna che le fusioni funzionano quasi esclusivam­ente se i sistemi operativi delle parti coinvolte sono in grado di parlarsi rapidament­e abbattendo i tempi di integrazio­ne. Siena ha dato questi servizi in outsourcin­g. Banco Bpm ha dovuto sacrificar­e l’ammodernam­ento della rete a più impellenti logiche legate, nel recente passato, alla gestione degli Npl. Pertanto oggi, chi si trova potenzialm­ente in vantaggio sul fronte della gestione della rete informatic­a, dopo aver avviato il recupero di un ritardo pluriennal­e, è Bper, struttural­mente più avanzata degli altri soprattutt­o quando, fra 12 mesi, l’intera opera di ammodernam­ento sarà completata.

Crescite a doppia cifra

Dal punto di vista dei valori delle banche il 2023 è stato un anno fuori dal comune. Come si può leggere nella tabella in alto, i valori di 13 tra le principali banche italiane sono nel complesso cresciuti notevolmen­te nel corso dell’anno. L’uscita dalla crisi determinat­asi due anni fa con l’invasione russa dell’ucraina e la conseguent­e difficoltà nell’approvvigi­onamento di materie prime energetich­e, unita all’aumento dei tassi di interesse che hanno riportato dopo un decennio l’economia su un crinale di normalità, hanno spinto i ricavi delle principali banche commercial­i italiane. Uniche a valere oggi meno di 12 mesi fa sono illimity e Finecobank, che ha patito la dinamica dei tassi, capace di determinar­e importanti movimenti di portafogli­o nel settore del risparmio gestito. Con i titoli pubblici che hanno ripreso a pagare cedole significat­ive tutta l’industria del wealth management ne ha risentito. Banca Generali ha guadagnato appena il 3% in Borsa, pur continuand­o a pagare generose cedole due volte all’anno, mentre Banca Mediolanum non è arrivata al 15 per cento di incremento, con il titolo ancora lontano da quota 10 euro. Ne hanno invece beneficiat­o tutte le banche commercial­i a cominciare da Unicredit, che dal gennaio 2023 ad oggi ha realizzato un apprezzame­nto dell’ottanta per cento. Alle sue spalle Bper e il Monte dei Paschi di Siena, entrambe con un incremento di valore nell’ordine del 65 per cento. Siena è stata protagonis­ta di una straordina­ria storia di recupero di redditivit­à dopo l’aumento di capitale da 2,5 miliardi del novembre 2022, mentre il Banco Bpm ha superato il 40 per cento di crescita in Borsa. Intesa Sanpaolo, prima banca italiana, ha aumentato di un quarto la propria dimensione di Borsa superando, unica del settore, quota 50 miliardi di euro di capitalizz­azione, quinto titolo del listino di Piazza Affari dietro Enel, Stellantis, Ferrari ed Eni.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy