BANCHE BOOM IN BORSA IPOTESI SUL RISIKO DI CARTA
Il governo controlla quasi il 40 per cento di Mps che, ai valori attuali, vale 1,6 miliardi di euro. Una cifra che fa gola all’esecutivo, anche più della creazione del terzo polo
Ci sono oltre 1,6 miliardi di euro da portare a casa. E in un momento in cui le casse pubbliche sono vuote, l’opportunità non è da sottovalutare. Il tesoretto si nasconde nella capitalizzazione di Borsa del Monte dei Paschi di Siena. Con il titolo attorno a quota 3,20 euro per azione, il totale del valore di Borsa della banca senese corrisponde a poco più di 4 miliardi di euro. Il governo italiano, dopo l’operazione di cessione del 21 novembre 2023 di una quota pari al 25% del capitale, è ancora titolare di poco meno del 40% di quella che è universalmente riconosciuta essere come la banca più antica al mondo. Quel 40% oggi vale circa 1,6 miliardi di euro. Una cifra importante che il ministero dell’economia guidato da Giancarlo Giorgetti potrebbe portare a casa cedendo ad un partner industriale o, come ha fatto due mesi fa, direttamente sul mercato.
Opportunità
L’operazione risulta particolarmente delicata, non solo finanziariamente, anche dal punto di vista strategico. Da un lato vanno considerate le esigenze di cassa del governo, dall’altra l’opportunità che questo esecutivo ha di dare vita a un terzo polo bancario, che avrebbe il grande merito di favorire la concorrenza in un mercato che attualmente è condizionato dalla presenza di due colossi quali sono Intesa Sanpaolo e Unicredit. Venuta meno Ubi, quattro anni fa, la geografia del credito nazionale si è spaccata in due, da un lato i due big di dimensione europea, dall’altro tre banche di dimensione nazionale ma che non riescono compiutamente a rappresentare una valida alternativa alle due big. Servirebbe una fusione, ed è su questo punto che il governo potrebbe esercitare una importante moral suasion. Se ne parla da anni e finora nulla è stato fatto, neppure dai precedenti esecutivi. Ma sembra essere questo il momento opportuno per scelte strategiche e lungimiranti ed è qui che trova giustificazione la tamburellante attualità della cessione della quota in mano pubblica: 1.600 milioni farebbero molto comodo all’esecutivo guidato da Giorgia Meloni e pazienza se Unicredit e Intesa Sanpaolo non avranno un concorrente all’altezza sul territorio nazionale. Non è detto poi che, a loro, la cosa dispiaccia.
Protagonisti
Il risiko nazionale del credito vede i consueti potenziali protagonisti: Banco Bpm e Bper Banca. Ma un punto di caduta tra il management degli uni e l’azionista dell’altro è difficile da individuare al momento. Così la partita del consolidamento industriale del settore bancario passa, ancora una volta e necessariamente per Siena, dove quel 40% di azioni in mano pubblica potrebbe determinare il futuro prossimo della industria creditizia nazionale. Tanto più che i soggetti privati sono portati, oggi, a valutare quasi esclusivamente operazioni carta contro carta, senza l’impegno di un solo euro cash e alla vigilia di una stagione assembleare che si annuncia quanto mai ricca di dividendi, questo diventa complesso da realizzare e da giustificare ad azionisti attenti, giustamente, alla remunerazione del capitale proprio investito.
Dal punto di vista industriale poi, uno degli aspetti che va considerato riguarda l’infrastruttura informatica. La storia recente insegna che le fusioni funzionano quasi esclusivamente se i sistemi operativi delle parti coinvolte sono in grado di parlarsi rapidamente abbattendo i tempi di integrazione. Siena ha dato questi servizi in outsourcing. Banco Bpm ha dovuto sacrificare l’ammodernamento della rete a più impellenti logiche legate, nel recente passato, alla gestione degli Npl. Pertanto oggi, chi si trova potenzialmente in vantaggio sul fronte della gestione della rete informatica, dopo aver avviato il recupero di un ritardo pluriennale, è Bper, strutturalmente più avanzata degli altri soprattutto quando, fra 12 mesi, l’intera opera di ammodernamento sarà completata.
Crescite a doppia cifra
Dal punto di vista dei valori delle banche il 2023 è stato un anno fuori dal comune. Come si può leggere nella tabella in alto, i valori di 13 tra le principali banche italiane sono nel complesso cresciuti notevolmente nel corso dell’anno. L’uscita dalla crisi determinatasi due anni fa con l’invasione russa dell’ucraina e la conseguente difficoltà nell’approvvigionamento di materie prime energetiche, unita all’aumento dei tassi di interesse che hanno riportato dopo un decennio l’economia su un crinale di normalità, hanno spinto i ricavi delle principali banche commerciali italiane. Uniche a valere oggi meno di 12 mesi fa sono illimity e Finecobank, che ha patito la dinamica dei tassi, capace di determinare importanti movimenti di portafoglio nel settore del risparmio gestito. Con i titoli pubblici che hanno ripreso a pagare cedole significative tutta l’industria del wealth management ne ha risentito. Banca Generali ha guadagnato appena il 3% in Borsa, pur continuando a pagare generose cedole due volte all’anno, mentre Banca Mediolanum non è arrivata al 15 per cento di incremento, con il titolo ancora lontano da quota 10 euro. Ne hanno invece beneficiato tutte le banche commerciali a cominciare da Unicredit, che dal gennaio 2023 ad oggi ha realizzato un apprezzamento dell’ottanta per cento. Alle sue spalle Bper e il Monte dei Paschi di Siena, entrambe con un incremento di valore nell’ordine del 65 per cento. Siena è stata protagonista di una straordinaria storia di recupero di redditività dopo l’aumento di capitale da 2,5 miliardi del novembre 2022, mentre il Banco Bpm ha superato il 40 per cento di crescita in Borsa. Intesa Sanpaolo, prima banca italiana, ha aumentato di un quarto la propria dimensione di Borsa superando, unica del settore, quota 50 miliardi di euro di capitalizzazione, quinto titolo del listino di Piazza Affari dietro Enel, Stellantis, Ferrari ed Eni.