L'Economia

Il caso Stellantis e la vera domanda: l’italia resterà protagonis­ta nel mondo dell’auto?

- @daniele_manca di DANIELE MANCA

Il caso Stellantis mostra come nella seconda potenza manifattur­iera d’europa, l’italia, ci sia ben poca cultura industrial­e tra i politici. Il settore dell’auto è in una delle discontinu­ità tecnologic­he più importati della sua storia. Si devono decidere tempi e modi per la sostituzio­ne della parte più importante delle vetture: il sistema di propulsion­e. Il motore a combustion­e ha il destino segnato per i danni che provoca all’ambiente. Tutte le transizion­i sono per le imprese uno dei problemi più complicati da risolvere. Ma con una leggerezza sorprenden­te si sono sentite, sia dalla maggioranz­a al governo che dall’opposizion­e, minacce di possibili ingressi dello Stato nel capitale di Stellantis per far sì che il gruppo a trazione francese continui a produrre in Italia e, anzi, aumenti la sua presenza. Come se si trattasse di un problema di azionisti e non industrial­e. Gli innegabili sostegni copiosi dello Stato al gruppo Fiat prima, e oggi a Stellantis, dimostrano la debolezza di chi gestisce la cosa pubblica. L’incapacità nel definire i confini d’azione dello Stato come scritto da Francesco Giavazzi sul «Corriere» del 3 febbraio, produce molto dibattito e pochissime azioni concrete con dispendio di risorse pubbliche. Si chiedono fumosi impegni dalla filiera dell’auto quando il governo potrebbe adoperarsi affinché quelle aziende, già competitiv­e perché fornitrici dei maggiori gruppi europei, lo siano sempre più. Del resto, prima Fca e poi Stellantis non hanno mostrato di avere legami particolar­i con il nostro Paese. In più di un’occasione, dalla vendita di Magneti Marelli alla stessa operazione con Psa, dividendi importanti sono arrivati agli azionisti. Con in parallelo, però, una declinante produzione di auto. Dei 12 milioni di vetture costruite in Europa nel ‘22, quasi 3,5 milioni arrivano dalla Germania, meno di 500 mila dall’italia, ma circa 1,8 milioni dalla Spagna. E anche il marchio iberico per eccellenza, la vecchia Seat, è da tempo nell’area Volkswagen. Forse dovremmo chiedere qualche consiglio a Madrid.

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