LA SUGGESTIONE DEL SECONDO PLAYER
L’obiettivo di un milione di vetture l’anno resta un miraggio senza un nuovo costruttore: si potrebbe favorire l’insediamento di un produttore da Pechino. Ma occorre capacità negoziale. E attenti agli Usa...
«Ne parlo almeno da un anno e mezzo. Dobbiamo attrarre un secondo costruttore di auto. Poi se fosse cinese non vedo alcun problema». Federico Visentin è un imprenditore della componentistica, possiede il gruppo Mevis di caratura internazionale ed è anche presidente di Federmeccanica. A suo dire Carlos Tavares, il ceo di Stellantis, non ha alcuna intenzione di aumentare la produzione in Italia per un radicato pregiudizio sulla produttività degli impianti tricolori. Di conseguenza il famoso milione di vetture l’anno è destinato a restare un miraggio senza l’ingresso di un secondo player. «Ma chi apre nuove fabbriche oggi sceglie la Slovacchia o l’ungheria». E anche i cinesi della Byd hanno deciso di investire dalle parti di Orban. Argomenta Visentin: «Con questa scelta di Byd abbiamo perso un’occasione importante perché la mia posizione è semplice: facciamo venire i cinesi a costruire in Italia, è un momento storico favorevole». I nomi possibili sono Nio, Xpeng, Zeekr, ad esempio. Naturalmente per rendere possibile un obiettivo di questa portata il governo dovrebbe muoversi, organizzare una missione in Cina, mettersi in grado di attrarre un maxi-investimento per produrre almeno 150 mila vetture elettriche di fascia bassa. «E solo gli asiatici possono fare una scelta di questo tipo. I nordamericani come Gm e Tesla fanno macchine premium, non hanno cultura e tradizione delle utilitarie». Il prezzo di queste auto sino-italiane si collocherebbe sotto i 15 mila euro: per un’utilitaria la qualità non è la priorità numero uno e comunque, annota Visentin, «non si potrà sempre aiutare il mercato con incentivi statali».
La filiera
Al presidente di Federmeccanica non sfuggono le controindicazioni geopolitiche come la difficile ripresa di un dialogo tra Roma e Pechino dopo lo stop della Via della Seta. «Ma penso a un vero negoziato. Dobbiamo essere in grado di mettere una condizione imprescindibile: che i cinesi acquistino componentistica italiana. Ci serve per salvare i posti di lavoro nell’ indotto e per avere una posizione favorevole da parte dei sindacati». Qualche dubbio Visentin lo nutre nella capacità negoziale del Sistema Italia, visto come si è chiuso il dossier Intel. «Con gli stranieri ci vuole una grande capacità di ascoltare, negoziare, creare le condizioni». Ma una volta installata Byd in Ungheria i buoi non saranno già scappati dalla stalla ovvero ci sarebbe ancora spazio per un altro investimento cinese in Italia? Per Visentin sì. Grande attenzione al tema del secondo player — del resto ampiamente evocato dal ministro Adolfo Urso — c’è anche in casa sindacale. Secondo Ferdinando Uliano della segreteria nazionale Fim-cisl, i discorsi del governo per ora non hanno concretezza, «sono discussioni astratte». È un anno che se ne parla «ma ho l’impressione che l’avvento del secondo player venga utilizzato da Urso come forma di pressione sulle decisioni di Tavares». Se invece l’ipotesi avesse davvero gambe per il sindacato si tratterebbe di un’opportunità da non lasciarsi sfuggire. E se il nuovo carmaker fosse cinese? «È un tema delicato, non è facile esprimersi. Abbiamo visto come è andato il presunto maxi-investimento di Silk-faw a Reggio Emilia. Avevano coinvolto i sindaci, prenotato i terreni e assunto anche dei lavoratori e poi gli investitori sono spariti». Piedi di piombo, quindi. «Sia chiaro, siamo favorevoli all’avvento di nuovi investitori, ma dobbiamo aver presente i rischi. Se arriva un costruttore cinese che con una politica aggressiva toglie quote di mercato a Stellantis,
da una parte aumentiamo l’occupazione e dall’altra la perdiamo. E non è detto che la somma alla fine sia positiva». Anche in Anfia, l’associazione dei costruttori e dei componentisti italiani, c’è grande sensibilità verso il tema. «Siamo un’anomalia tra i Paesi dell’auto, siamo il rifugio di un unico carmaker rendendo così difficili le scelte di politica industriale e la normale dialettica di mercato», sostiene Marco Stella, presidente del gruppo componenti. I costruttori cinesi non possono non vedere con interesse il mercato europeo e la scelta ungherese della Byd lo dimostra. E se dovesse toccare all’italia? «Perché no? — risponde Stella —. Un secondo o terzo player asiatico apporterebbero vantaggi alla filiera della componentistica e la scelta di costruire un nuovo impianto può venire solo da uno di loro». Ma in termini di occupazione non si rischia di avere una somma negativa per l’effetto più auto cinesi e meno auto Stellantis? «Non credo che l’italia sia la piattaforma ideale per costruire un’auto low cost, sennò la realizzerebbe Tavares. E invece anche per la Panda il futuro è lontano da Pomigliano». L’italia avrebbe quindi giovamento da un investimento cinese che superasse la soglia di 150 mila auto l’anno. «Del resto se diciamo no ai cinesi ma vogliamo essere competitivi con loro dovremmo forse delocalizzare in Marocco. E in quel caso compreremmo componenti in Marocco con un risultato industriale e occupazionale sicuramente peggiore». Non credo, aggiunge Stella, che l’avvento di un costruttore cinese sia la soluzione decisiva per i problemi dell’automotive, «ma sarebbe un segno di vitalità, la dimostrazione che da noi si può fare bene industria». Stella aggiunge una considerazione generale sull’europa. «Il 2024 vedrà le elezioni e in questo contesto geopolitico la politica di Bruxelles dovrà ricollocarsi dentro questa globalizzazione. Non può restare schiacciata tra Cina e Usa all’infinito e si recupera spazio anche attirando gli investimenti produttivi degli altri». L’ipotesi di un secondo costruttore in Italia è considerata ragionevole anche negli ambienti dell’alta consulenza. È vero che sul mercato stanno vincendo player non europei come Tesla o Byd, ma importare auto dall’america e dall’asia non ha senso per i costi del trasporto e di capitale impiegato. E infatti Musk ha scelto di insediarsi in Germania e i cinesi in Ungheria. Ma si tratta di due scelte ormai compiute e che hanno escluso in entrambi i casi l’ipotesi Italia. Potrebbero emergere altri costruttori nordamericani come Rivian, Lucid Motors e Airways che rappresentano però delle grandi scommesse. Più praticabile allora può sembrare la scelta di attrarre un produttore cinese, ma dovremmo attenderci reazioni o addirittura rappresaglie sia europee che americane. Finora sulle vetture prodotte in Cina è stata ventilata l’eventualità di usare la vecchia politica dei dazi, ma se le auto elettriche dovessero essere prodotte in Europa le reazioni potrebbero essere di altro tipo. E riguardare il nesso tecnologia/dati, come era emerso nell’istruttoria del golden power per «regolare» la presenza cinese in Pirelli. Chi, infine, è scettico sulla possibilità di attrarre gli asiatici è invece Romano Prodi. Estremamente critico verso Stellantis («Gli investimenti sono diretti verso Serbia e Marocco»), l’ex premier vede «le fabbriche cinesi dirigersi verso altri lidi europei», ma considera l’eventualità di portare in Italia «uno dei grandi protagonisti dell’economia mondiale» una sorta di prova del fuoco del nostro sistema politicoindustriale. Al punto da formulare una proposta ad hoc: una task force acchiappa-investimenti composta da una ventina di giovani specialisti e guidata da un anziano ed esperto imprenditore «che presenti agli investitori istituzionali le nostre potenzialità».
Dobbiamo far investire un big dell’economia mondiale
C’è bisogno di un altro attore Nessun problema se è del Dragone
Vanno valutati bene i rischi e i benefici per l’occupazione