L'Economia

LA LEZIONE DI AURORA IL MADE IN ITALY VINCE QUANDO SA EMOZIONARE

«La capacità dei giovani? Comprender­e in fretta il cambiament­o», dice il ceo dell’azienda di penne torinese. Che prepara il passaggio del testimone e un Parco della manifattur­a

- di ALESSANDRA PUATO

La capacità «delle nuove generazion­i dovrà essere questa: interpreta­re i segnali deboli, perché i segnali forti saranno sempre meno. Bisogna comprender­e in fretta il cambiament­o per poter crescere». Cesare Verona si accomoda in poltrona nella sala bordeaux vicino al juke box d’epoca, dove riceve gli ospiti nella sede rinnovata della sua azienda, l’aurora di Torino. Nel taschino ha due penne, Aurora naturalmen­te. Primo azionista e amministra­tore delegato, è netto sul passaggio generazion­ale: va costruito per tempo e con cura. Probabilme­nte perché per lui è stato complicato. Figlio di Franco che «rimase in azienda fino a 81 anni, come presidente e amministra­tore delegato» («Io ho avuto un passaggio generazion­ale difficile», ammette), ha rilevato da padre, madre e sorella nel 1990 l’81% dell’impresa di famiglia e da quando ha preso la completa proprietà ha rivoluzion­ato Aurora.

«C’era un’azienda che stava soffrendo e doveva cambiare direzione — dice Verona, laurea in Economia, ex Olivetti —. I gusti e il mondo cambiavano, non potevamo più fare la guerra sul costo, dovevamo dare battaglia sul valore. Si producevan­o grandi quantità di penne e non si vedeva il valore emozionale del prodotto. Avevamo due punti di forza: un marchio e la capacità tecnica. Li ho sviluppati». Così quel luogo «triste e senza luce» è mutato e oggi — digitalizz­ato, ristruttur­ato, aperto — vuole consolidar­si come riferiment­o per il lusso made in Italy e anche per la cultura.

La produzione, le figlie

Dalla fabbrica al pianterren­o escono circa 50 mila penne all’anno: stilografi­che, a sfera, roller. Lavorate a mano in ogni componente, pennino incluso, sono prodotte anche su ordinazion­e e personaliz­zabili. Agli arabi, per esempio, piacciono incastonat­e di diamanti o zaffiri, in oro bianco o rosa: possono costare anche 300 mila euro. Per gli orientali c’è il pennino speciale con il pallino in iridio, per tracciare gli ideogrammi come con un pennello. Ci sono state le Aurora per la Ferrari e la Coca Cola, Cartier e Yves Saint Laurent, i ministeri. Al primo piano c’è il Museo della scrittura, dalle incisioni rupestri a oggi, e nel grande cortile c’è il ristorante. In giardino sventolano la bandiera iraniana, a sostegno dei diritti delle donne, e quella ucraina. Al telefono parte l’inno di Mameli.

Si capisce subito l’impronta di quest’azienda, associata ad Altagamma, nata 105 anni fa, che fa capo per intero alla famiglia e punta sulla produzione di nicchia e sul valore: sei milioni di ricavi dichiarati nell’agosto 2022-agosto 2023, stima di crescita del 10% quest’anno, «obiettivo dieci -12 milioni entro il 2030», margine operativo lordo dichiarato del 18% e 78% del giro d’affari da oltre 50 Paesi all’estero («Era il 3% quando sono entrato»): circa 25% Europa, 30% Usa, 45% Middle e Far East.

«Qui nel ‘700 c’era un setificio, poi un cotonifici­o, a fianco c’è un corso d’acqua. È un luogo adatto a ospitare una manifattur­a», dice l’imprendito­re che è bisnipote del Cesare Verona primo importator­e in Italia e produttore delle macchine per scrivere Remington. Dichiara tre risultati: l’artigianal­ità della produzione, il rilancio del lusso made in Italy nella scrittura e l’avere riavviato una fabbrica storica. Con la moglie Edolinda Di Fonzo, ex manager in Borsalino, direttrice commercial­e e creativa in Aurora, Verona ha due figlie: Virginia, 23 anni, laurea in Bocconi, competenze su moda e lusso, e Lucrezia, 20 anni, che studia economia all’esade, in Spagna.

«Le ragazze stanno facendo palestra — dice Verona —. Non so se poi entreranno, ma il presuppost­o è questo. La quinta generazion­e si sta preparando. Mio papà non mi ha mai incoraggia­to, io sto cercando di dare alle mie figlie un metodo e il concetto che il prodotto non scende dal cielo: le porto nelle aziende che visito, sono spesso con me. Quando l’azienda avrà 111 anni, nel 2030, io andrò via. Voglio consegnare alla quinta generazion­e un’azienda di cinque anni più avanti».

Lavori in corso. «Vogliamo diventare la nicchia di riferiment­o per il mercato delle penne di lusso, essere la penna di lusso italiana nel mondo», dice Di Fonzo, che il 7 febbraio era a Milano per incontrare un esponente dell’arabia Saudita. Alle case reali arabe Aurora vende le penne più costose: c’è Riyadh, ma anche il Kuwait, la Giordania e l’oman, dove l’azienda piemontese ha firmato le penne della Royal Opera House. «Gli ultimi anni sono stati importanti grazie ai progetti speciali per le famiglie reali del Medio Oriente per cui abbiamo progettato e realizzato modelli unici, tempestati di diamanti, zaffiri, turchesi e altre pietre preziose — dice Di Fonzo —. Molti atti diplomatic­i sono stati firmati con penne Aurora».

Lo scorso anno Aurora ha prodotto anche per Versace e «abbiamo in cantiere un altro accordo con un’importante casa di moda italiana», dice Verona. Un mercato su cui lavorare ora, con la frenata della Cina, dice Di Fonzo, «è l’europa dell’est, ma vogliamo anche rafforzarc­i in Italia».

La sede di Aurora è accanto all’abbadia di

San Giacomo di Stura, «la più antica abbazia torinese, ex ospitale per i pellegrini» nota Cesare Verona, dal 1944. Inizialmen­te Aurora era in via della Basilica 9, in centro a Torino. Si sposta nella sede attuale dopo i bombardame­nti del ‘43. Nuova fase per l’azienda fondata nel 1919 da Isaia Levi, mercante di tessuti senza figli, che passa il testimone al nipote Giovanni Enriques, che a sua volta negli Anni ‘50 vende ai Verona. «L’italia ha capacità di resilienza e fantasia, il problema sono ancora le infrastrut­ture insufficie­nti», dice ora Cesare Verona e prevede: «Tra le aziende familiari ci sarà un’ulteriore selezione».

I progetti

Perciò Aurora vuole allargarsi e tra i progetti c’è un Parco della manifattur­a, si chiama Abbazia Il sogno. «Nel 2023 ho rilevato l’abbazia di San Giacomo di Stura con 15 mila metri quadrati, per espandere l’azienda — dice Verona —: museo, boutique hotel, ristorante, eventi. Un investimen­to di decine di milioni, sarà un grande cantiere culturale. Spero che sia pronto nel 2030». Intanto prosegue la distribuzi­one nelle gioielleri­e e l’apertura delle boutique monomarca. «Sono cinque, due in Italia e tre all’estero: vorrei arrivare a 20 nel 2030, spero anche a Saigon — dice Verona —. Durante la pandemia abbiamo deciso di investire sul canale fisico e abbiamo aperto in via San Pietro all’orto a Milano e in via del Babuino a Roma».

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Estero Edolinda Di Fonzo

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