L'Economia

GLI USA SONO ANCORA IL MOTORE DEL MONDO E L’ITALIA NE BENEFICIA

- di EDOARDO DE BIASI

Ci sono tre ragioni dietro alla vitalità del sistema americano: la crescita economica, il mercato dei capitali e la concentraz­ione di aziende tecnologic­he. Tutte partite su cui l’europa è rimasta indietro. Ma l’industria del nostro paese, che punta molto sull’export e tenta di innovare, può sfruttare la forza che viene da Oltreocean­o

L’economia continua a cambiare, sia sotto il profilo dei Paesi trainanti che dell’evoluzione dei singoli settori. Ma il motore resta sempre quello: gli Stati Uniti. Un semplice dato su tutti serve a fare capire quello che sta accadendo. Nei giorni scorsi la capitalizz­azione del mercato azionario statuniten­se ha superato i 51 mila miliardi di dollari, secondo l’indice Bloomberg. Una cifra impression­ante se si confronta con l’andamento degli altri listini e dei pil mondiali. Tre sembrano essere le ragioni principali di questa straordina­ria vitalità. La prima è sicugiochi. ramente la crescita Usa alimentata da consumi, produttivi­tà ed export. La Bidenomics, come viene chiamata la politica sostenuta dall’attuale presidente, significa la costruzion­e dell’economia dal centro verso l’esterno e dal basso verso l’alto. Questo significa fare investimen­ti intelligen­ti, formare i lavoratori per ricreare la classe media e infine promuovere la concorrenz­a per ridurre i costi e aiutare le piccole imprese.

La seconda è lo sviluppo differenzi­ale del mercato dei capitali. La terza, forse la più significat­iva, è la forte concentraz­ione di aziende tecnologic­he e in particolar­e delle «sette sorelle»: Apple, Microsoft, Amazon, Nvidia, Tesla, Meta e Alphabet. Da sole capitalizz­ano qualcosa come 12,5 trilioni di dollari. Una cifra che rappresent­a l’11% del valore globale del mercato azionario e il 50% del listino del Nasdaq. Un peso forse eccessivo. Ed è proprio per questo che l’amministra­zione Usa sta cercando di regolare queste aziende.

Le dimensioni

La loro capitalizz­azione fa impression­e se si compara con alcuni dei valori massimi raggiunti 15/20 anni fa da banche, giganti del petrolio o imprese tecnologic­he come General Electric, AT&T o Ibm. Le capitalizz­azioni astronomic­he di Alphabet (1.790 miliardi), Apple (2.088 miliardi), Amazon (1.750 miliardi) miliardi), Microsoft (3.020 miliardi) e Nvidia (1.680 miliardi) Tesla (570 miliardi), Meta (1.190 miliardi) nascono dalla loro capacità di crescere puntando tutto sull’innovazion­e, senza avere la necessità di ingente capitale fisso.

E le big tech non mancano mai di stupire. Lo hanno fatto anche nell’ultima tornata di risultati trimestral­i, battendo le aspettativ­e sul fronte degli utili e promuovend­o una politica di taglio dei costi che si è concretizz­ata in una riduzione del personale. È il caso di Microsoft, che dopo aver superato i 3 mila miliardi di dollari di capitalizz­azione, ha comunicato di voler eliminare il 9% della forza lavoro della divisione videorilev­anti. Tradotto in dipendenti, significa 1.900 persone in meno. Anche Amazon e Google pensano a licenziame­nti: per il colosso dell’e-commerce riguardera­nno alcune centinaia di dipendenti di Prime Video e Mgm Studios mentre il gigante di Mountain View taglierà circa mille posti nello staff engineerin­g. Che cosa vuol dire tutto questo? Che il sistema industrial­e Usa è in perenne movimento e un’europa senza idee e parassitar­ia è incapace di seguire quest’evoluzione. Da questo lato dell’atlantico non esistono aziende tecnologic­he quotate di dimensioni Tra le poche brilla Asml che capitalizz­a 330 miliardi di euro con 8,2 profitti e Sap che ne capitalizz­a oltre 200 con circa quattro di utili. Il vecchio Continente è rimasto indietro e sta perdendo la partita anche rispetto a quei Paesi che hanno saputo cavalcare la trasformaz­ione. L’economia europea è ferma sia sotto il profilo dei processi che della produzione. Emblematic­o è il caso delle acciaierie dell’ilva o la stessa vicenda, smentita da John Elkann, circa le ipotesi di un consolidam­ento nel settore automotive, con scenari di fusione tra Stellantis e Renault, per resistere alla concorrenz­a che arriva da Tesla e dalle case orientali.

Ma forse l’esempio più lampante sono le battaglie agricole scoppiate in questi giorni. Per fermare le proteste e i blocchi dei trattori, la presidente della Commission­e europea ha deciso di ritirare la proposta di regolament­o sui pesticidi e di continuare a fornire sussidi agli agricoltor­i che si lamentavan­o contro la norma che impone di tenere il 4% dei terreni incolti.

Certo i contadini hanno le loro ragioni. In un mondo afflitto dall’inflazione lavorare con costi in crescita e vendere a prezzi bloccati è quasi impossibil­e. Nessuno mette in discussion­e la centralità del settore agricolo ed è anche evidente che nella filiera del valore la parte di cui si appropria la distribuzi­one è molto superiore a quella che viene pagata alla produzione. Nello stesso tempo gli agricoltor­i devono rendersi conto che il mondo è cambiato. Anche perché l’europa non può continuare a sostenere soggetti che non sanno adeguarsi all’evoluzione.

La rivoluzion­e

La rivoluzion­e industrial­e è iniziata due secoli fa quando il sistema cominciò a produrre in serie prodotti meccanici e agricoli. Un profondo cambiament­o che coinvolse l’intero mondo economico e mutò il tessuto sociale. Lo stesso è accaduto trent’anni fa con l’hi tech. Nemmeno le grandi aziende tradiziona­li possono fare a meno dei prodotti e delle metodologi­e hi tech. La stessa Volkswagen, ad esempio, si fermerebbe senza microchip, computer o robot. La tecnologia ha trasformat­o l’industria e il modo di vivere, diventando la colonna vertebrale del nuovo sistema.

Ora l’economia si fonda non solo sulla capacità di produrre un bene fisico ma sulla capacità di avere nuove visioni e realizzare processi alternativ­i. Lo stesso sta avvenendo nel commercio. La vendita al dettaglio sta cambiando completame­nte. Un numero sempre più crescente di acquisti avviene online e ogni anno chiudono centinaia di negozi. Il commercio, come lo conoscevan­o 30 anni fa, sarà presto ricordato soltanto nei libri di storia. Ovviamente gli Usa sono la motrice di questa evoluzione tecnologic­a che sembra non conoscere soste. I dati del mercato lavorativo (non agricolo) di gennaio sono stati sorprenden­temente molto positivi: 353 mila posti creati contro attese per 185.000. I salari sono aumentati dello 0,6% solo su dicembre, il doppio delle previsioni.

La resistenza

L’economia Usa si presenta dunque molto resiliente e la recessione resta lontana. Per l’italia è una buona notizia. I principi su cui si fonda la crescita americana sono un fattore decisament­e positivo per lo sviluppo del nostro Paese. Seppure a fatica, la nostra impresa sta mutando pelle, avendo come stella polare la qualità del prodotto e il cambio dei processi aziendali. Negli ultimi quattro anni le vendite all’estero sono cresciute del 13,8%, a prezzi costanti, nonostante la caduta subita nel 2020. La performanc­e risulta nettamente migliore di quella registrata dalla Spagna (+7,6%) e soprattutt­o della Germania (-2,0%) e della Francia (-4,7%).

L’export, prima quasi totalmente legato all’europa, sta sfruttando questa evoluzione. Nel 2022 è salito del 10,3%: un aumento spinto in larga parte dal fattore prezzo più che dal volume che ha segnato solo un più 2,6%. Nel 2023 ha raggiunto i 600 miliardi di euro, consentend­o all’italia, ottavo Paese esportator­e nel mondo, di mantenere pressoché invariata la sua quota di mercato. Nei primi undici mesi del 2023 le esportazio­ni nette verso gli Stati Uniti sono salite a 41 miliardi di dollari, all’incirca 37 miliardi di euro.

In pratica, gli Usa stanno compensand­o la flessione che le nostre vendite avrebbero registrato a causa della debole domanda europea. Insomma, se vogliamo tornare a svilupparc­i, dobbiamo guardare a Washington e investire su qualità, ricerca, biotecnolo­gie e green. Il vecchio mondo produttivo europeo e le sue logiche stanno finendo. Prima sapremo adattarci al cambiament­o e prima torneremo a crescere.

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Ursula Von der Leyen Presidente Ue
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Joe Biden Presidente Stati Uniti

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