L'Economia

Quella differenza tra l’influencer e il politico

- di EDOARDO SEGANTINI edoardoseg­antini2@gmail.com @Segantini

Qualcuno ha analizzato le regole cui si attengono gli influencer, dai più famosi come Chiara Ferragni ai tanti altri che popolano l’universo digitale. Se non hai subìto almeno un’ondata di attacchi pesanti alla tua reputazion­e — prima regola — non sei nessuno. Come dice il titolo di un vecchio film western, solo chi cade può risorgere. La seconda regola discende dalla prima: l’influencer deve avere una grande opinione di sé. Un ego smisurato, a misura di superuomo, di superdonna, di divinità omerica, e come tale capriccios­o, volubile e lamentoso. Vittimismo performati­vo, lo chiamano. Siamo vittime, sì, ma vittime speciali. La terza regola dell’influencer è quella di negare di esserlo, anche davanti all’evidenza. Tutti sono influencer, condiziona­tori della pubblica opinione: tutti tranne me. Io faccio altro, che cosa non si sa. A queste tre regole se ne potrebbe aggiungere una quarta: l’ossessione per la popolarità, l’indifferen­za per la realtà. L’influencer altri non è che il vecchio comunicato­re, l’antico imbonitore che opera in un nuovo universo mediatico amplificat­o, quale che sia la merce, oggetti o idee, che ha da vendere. Oggi il mestiere dell’influencer e quello del politico, da sempre contigui, tendono a sovrappors­i. Le differenze tra le due figure si fanno sempre più labili. Eppure la differenza c’è ed è sostanzial­e: il politico ha il dovere di parlare ma anche di fare, e di rispondere delle cose che fa. Il politico si distingue dall’influencer per il dovere della corrispond­enza, nella sua azione, tra le cose dette e le cose fatte; e per la capacità, su questa base, di convincere il pubblico. Sapendo, secondo una regola valida per tutti, che la reputazion­e è un edificio di lenta costruzion­e e rapida obsolescen­za. Se l’influencer sbaglia è punito con i clic, se sbaglia il politico è punito con i voti. Il diffonders­i del populismo, digitale o analogico, si vede anche nel fatto che la maggioranz­a dei politici non dice quello che pensa ma quello che presume «la gente» voglia sentirsi dire.

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