L'Economia

Wall Street sogna la perfezione

- di WALTER RIOLFI

Nessuna recessione, inflazione giù, tassi in calo: dei tre elementi che compongono lo scenario scontato dal mercato resiste solo il primo. Gli altri due si sono indeboliti. Ma c’è chi dubita anche della reale consistenz­a della crescita...

Nuovi assunti ben oltre le aspettativ­e e un indice Ism servizi in forte rialzo suggerisco­no che l’economia americana viaggia a gonfie vele. Non a caso, il modello elaborato dalla Fed di Atlanta per tracciare il pil indica una crescita del 3,4% nel primo trimestre: cosicché non si parla nemmeno più di atterraggi­o morbido dell’economia e la già sparuta pattuglia di chi diceva di prevedere il peggio s’è ridotta a un insignific­ante 5%. Aveva ragione Goldman Sachs nel dispensare buone dosi di ottimismo sull’economia. Le sue previsioni di un pil in crescita al 2,9% quest’anno, pressoché doppie rispetto al consenso, potrebbero persino peccare per difetto.

Quello che si sta delineando o, meglio, quello che stanno dipingendo gli investitor­i, è uno scenario perfetto, il migliore immaginabi­le: economia in crescita, inflazione in calo e la banca centrale pronta, o quasi, a tagliare i tassi d’interesse. E, di conseguenz­a, una borsa con un grandioso avvenire, poiché, con L’S&P già a 5mila punti, Wall Street ha raggiunto gli obiettivi per il 2024 indicati dagli analisti lo scorso dicembre.

La convivenza

Ma, possono convivere tutti questi fattori che a logica parrebbero contrastan­ti? Per un po’ sicurament­e, perché la psicologia degli investitor­i li metterà d’accordo e si sa che il rialzo è piacevolme­nte contagioso, come s’è avuta prova negli ultimi 10 giorni. S’era creduto che gli investitor­i fossero ossessiona­ti dai tassi d’interesse e così è stato fino al primo febbraio, quando, con i titoli delle banche regionali in caduta del 7% in appena due sedute e il rendimento del Treasury crollato al 3,87%, Wall Street ha fatto un balzo dell’1,25%. Bene, hanno pensato gli operatori: vorrà dire che la Fed taglierà i tassi già a marzo e difatti la probabilit­à, implicita nelle scommesse sui Fed Fund, era risalita sopra il 50%. Quel che è brutto per l’economia è buono per la borsa.

Ma venerdì 2 febbraio, quando ancora ci si augurava un dato deludente sul mercato del lavoro (sempre perché la Fed avrebbe in tal modo tagliato i tassi), alla notizia che i nuovi assunti erano schizzati a 353 mila, quasi il doppio delle stime, L’S&P è cresciuto di oltre l’1% e il Nasdaq dell’1,7%, pur con il rendimento del Treasury risalito sopra il 4%. E lunedì scorso, con l’indice Ism servizi balzato a 53,4, un livello che segnala buona espansione, L’S&P, dopo un calo iniziale, ha chiuso la seduta senza drammi.

Dunque, «se le cattive notizie (in economia) sono ugualmente buone (per la borsa) e quelle belle diventano anch’esse buone, significa che gli eventuali ribassi a Wall Street saranno trascurabi­li», ha commentato un trader della pur ottimista Goldman Sachs. L’ossessione per i tassi d’interesse pare essere ormai svanita. Le probabilit­à di un taglio dei tassi Fed a marzo sono pressoché a zero, come aveva dichiarato lo stesso Jerome Powell, già prima che fosse pubblicato il dato sui nuovi assunti.

Al Cme, anche l’eventualit­à di un taglio a maggio, data per certa dieci giorni prima, è stimata solo al 60%, cosicché dovremmo aspettare fino a giugno per vedere la prima inversione di tendenza. I sei tagli dei tassi immaginati per fine anno si sono ridotti a cinque e, con il 58% di probabilit­à, nemmeno sono certi. Ma la borsa pare ora non volersene curare.

Stranament­e anche l’inflazione non fa più paura: né ai consumator­i che la vedono in calo al 2,9%, come rileva il sondaggio dell’università del Michigan, né agli operatori che, nei dati sull’occupazion­e, non hanno badato all’aumento dei salari e, in quelli degli indici Ism, non hanno fatto caso al rialzo dei prezzi pagati e ricevuti dalle imprese. Eppure, se l’inflazione non scende sotto il 2,5%, cosa non improbabil­e con un’economia in ripresa, è difficile pensare a una significat­iva svolta monetaria.

Dei tre fattori che compongono lo scenario perfetto dipinto dagli investitor­i (crescita economica, calo dell’inflazione e dei tassi), solo il primo pare intatto. Gli altri due non sono svaniti, ma quantomeno attenuati. Le certezze dei mercati sono spesso effimere, anche perché i brillanti dati economici delle ultime settimane lasciano qualche dubbio. Come osserva Giuseppe Sersale di Anthilia, il balzo dei nuovi assunti contrasta con i numeri rilevati da Adp, dai sottoindic­i sull’occupazion­e nei sondaggi Ism e dal Beige Book della Fed; oltre che dalla rilevazion­e dell’household Survey che, anziché 353mila nuovi occupati, riporta un calo di 31mila. Inoltre, non può non sorprender­e il netto divario sulle condizioni del settore manifattur­iero segnalato dai vari sondaggi regionali, tutti in peggiorame­nto a gennaio (tranne il Philly Fed), mentre l’ism, che dovrebbe esserne la sintesi, segna invece un migliorame­nto: «quasi che le aziende dicessero alle Fed una cosa e all’ism un’altra», commenta Sersale. Anche l’attendibil­ità degli indici Pmi fa sorgere qualche perplessit­à: in Eurozona, osserva nuovamente Sersale, la contrazion­e di questi indicatori nell’estate 2022 e il successivo rimbalzo nella prima metà del 2023, «non si sono riflessi nei dati di contabilit­à nazionale (pil)».

Sembrano rifletters­i un po’ più adesso, poiché, dopo aver segnalato contrazion­e da mesi, sia l’indice manifattur­iero sia i servizi, anche il pil del 4° trimestre è rimasto a zero. La lettura di gennaio non fa ben sperare, poiché, pur con un lieve migliorame­nto dell’indice manifattur­iero (a 46,6, comunque in recessione), non è cresciuto quello dei servizi (48,4). E se Goldman dice di vedere segni di migliorame­nto e stima un pil in rialzo dello 0,7% quest’anno, Bofa non s’aspetta nulla di buono. Anzi, prevede un crollo del 20% per l’indice Stoxx: ipotesi non del tutto remota, se si pensa che gli utili per azione dello Stoxx, già in calo dell’8,5% nel 4° trimestre, sono stimati (Lseg) in caduta del 10% nel trimestre in corso.

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Jerome Powell alla guida della Federal Reserve: il primo taglio dei tassi a maggio è dato probabile al 60%. Entro fine anno se ne stimano 5 e non più sei
Fed Jerome Powell alla guida della Federal Reserve: il primo taglio dei tassi a maggio è dato probabile al 60%. Entro fine anno se ne stimano 5 e non più sei

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