Wall Street sogna la perfezione
Nessuna recessione, inflazione giù, tassi in calo: dei tre elementi che compongono lo scenario scontato dal mercato resiste solo il primo. Gli altri due si sono indeboliti. Ma c’è chi dubita anche della reale consistenza della crescita...
Nuovi assunti ben oltre le aspettative e un indice Ism servizi in forte rialzo suggeriscono che l’economia americana viaggia a gonfie vele. Non a caso, il modello elaborato dalla Fed di Atlanta per tracciare il pil indica una crescita del 3,4% nel primo trimestre: cosicché non si parla nemmeno più di atterraggio morbido dell’economia e la già sparuta pattuglia di chi diceva di prevedere il peggio s’è ridotta a un insignificante 5%. Aveva ragione Goldman Sachs nel dispensare buone dosi di ottimismo sull’economia. Le sue previsioni di un pil in crescita al 2,9% quest’anno, pressoché doppie rispetto al consenso, potrebbero persino peccare per difetto.
Quello che si sta delineando o, meglio, quello che stanno dipingendo gli investitori, è uno scenario perfetto, il migliore immaginabile: economia in crescita, inflazione in calo e la banca centrale pronta, o quasi, a tagliare i tassi d’interesse. E, di conseguenza, una borsa con un grandioso avvenire, poiché, con L’S&P già a 5mila punti, Wall Street ha raggiunto gli obiettivi per il 2024 indicati dagli analisti lo scorso dicembre.
La convivenza
Ma, possono convivere tutti questi fattori che a logica parrebbero contrastanti? Per un po’ sicuramente, perché la psicologia degli investitori li metterà d’accordo e si sa che il rialzo è piacevolmente contagioso, come s’è avuta prova negli ultimi 10 giorni. S’era creduto che gli investitori fossero ossessionati dai tassi d’interesse e così è stato fino al primo febbraio, quando, con i titoli delle banche regionali in caduta del 7% in appena due sedute e il rendimento del Treasury crollato al 3,87%, Wall Street ha fatto un balzo dell’1,25%. Bene, hanno pensato gli operatori: vorrà dire che la Fed taglierà i tassi già a marzo e difatti la probabilità, implicita nelle scommesse sui Fed Fund, era risalita sopra il 50%. Quel che è brutto per l’economia è buono per la borsa.
Ma venerdì 2 febbraio, quando ancora ci si augurava un dato deludente sul mercato del lavoro (sempre perché la Fed avrebbe in tal modo tagliato i tassi), alla notizia che i nuovi assunti erano schizzati a 353 mila, quasi il doppio delle stime, L’S&P è cresciuto di oltre l’1% e il Nasdaq dell’1,7%, pur con il rendimento del Treasury risalito sopra il 4%. E lunedì scorso, con l’indice Ism servizi balzato a 53,4, un livello che segnala buona espansione, L’S&P, dopo un calo iniziale, ha chiuso la seduta senza drammi.
Dunque, «se le cattive notizie (in economia) sono ugualmente buone (per la borsa) e quelle belle diventano anch’esse buone, significa che gli eventuali ribassi a Wall Street saranno trascurabili», ha commentato un trader della pur ottimista Goldman Sachs. L’ossessione per i tassi d’interesse pare essere ormai svanita. Le probabilità di un taglio dei tassi Fed a marzo sono pressoché a zero, come aveva dichiarato lo stesso Jerome Powell, già prima che fosse pubblicato il dato sui nuovi assunti.
Al Cme, anche l’eventualità di un taglio a maggio, data per certa dieci giorni prima, è stimata solo al 60%, cosicché dovremmo aspettare fino a giugno per vedere la prima inversione di tendenza. I sei tagli dei tassi immaginati per fine anno si sono ridotti a cinque e, con il 58% di probabilità, nemmeno sono certi. Ma la borsa pare ora non volersene curare.
Stranamente anche l’inflazione non fa più paura: né ai consumatori che la vedono in calo al 2,9%, come rileva il sondaggio dell’università del Michigan, né agli operatori che, nei dati sull’occupazione, non hanno badato all’aumento dei salari e, in quelli degli indici Ism, non hanno fatto caso al rialzo dei prezzi pagati e ricevuti dalle imprese. Eppure, se l’inflazione non scende sotto il 2,5%, cosa non improbabile con un’economia in ripresa, è difficile pensare a una significativa svolta monetaria.
Dei tre fattori che compongono lo scenario perfetto dipinto dagli investitori (crescita economica, calo dell’inflazione e dei tassi), solo il primo pare intatto. Gli altri due non sono svaniti, ma quantomeno attenuati. Le certezze dei mercati sono spesso effimere, anche perché i brillanti dati economici delle ultime settimane lasciano qualche dubbio. Come osserva Giuseppe Sersale di Anthilia, il balzo dei nuovi assunti contrasta con i numeri rilevati da Adp, dai sottoindici sull’occupazione nei sondaggi Ism e dal Beige Book della Fed; oltre che dalla rilevazione dell’household Survey che, anziché 353mila nuovi occupati, riporta un calo di 31mila. Inoltre, non può non sorprendere il netto divario sulle condizioni del settore manifatturiero segnalato dai vari sondaggi regionali, tutti in peggioramento a gennaio (tranne il Philly Fed), mentre l’ism, che dovrebbe esserne la sintesi, segna invece un miglioramento: «quasi che le aziende dicessero alle Fed una cosa e all’ism un’altra», commenta Sersale. Anche l’attendibilità degli indici Pmi fa sorgere qualche perplessità: in Eurozona, osserva nuovamente Sersale, la contrazione di questi indicatori nell’estate 2022 e il successivo rimbalzo nella prima metà del 2023, «non si sono riflessi nei dati di contabilità nazionale (pil)».
Sembrano riflettersi un po’ più adesso, poiché, dopo aver segnalato contrazione da mesi, sia l’indice manifatturiero sia i servizi, anche il pil del 4° trimestre è rimasto a zero. La lettura di gennaio non fa ben sperare, poiché, pur con un lieve miglioramento dell’indice manifatturiero (a 46,6, comunque in recessione), non è cresciuto quello dei servizi (48,4). E se Goldman dice di vedere segni di miglioramento e stima un pil in rialzo dello 0,7% quest’anno, Bofa non s’aspetta nulla di buono. Anzi, prevede un crollo del 20% per l’indice Stoxx: ipotesi non del tutto remota, se si pensa che gli utili per azione dello Stoxx, già in calo dell’8,5% nel 4° trimestre, sono stimati (Lseg) in caduta del 10% nel trimestre in corso.