LUCIA ALEOTTI (MENARINI) PIÙORGOGLIO ILMADEINITALYINVESTA
«È un periodo di forte espansione per le aziende nazionali, si sono mosse in tante, un passo alla volta e ciascuna con una propria nicchia: dieci anni fa nessuno ci avrebbe scommesso», dice l’imprenditrice del gruppo farmaceutico che cresce negli Usa
Per l’industria farmaceutica italiana, che secondo l’indagine Kpmg per L’economia è tra quelle che stanno concludendo più acquisizioni all’estero, «è un momento di sviluppo, di espansione, di esplosione — dice Lucia Aleotti, azionista e consigliere d’amministrazione di Menarini con il fratello Alberto oltre che vicepresidente di Farmindustria e tra i vicepresidenti designati nel prossimo mandato di Confindustria —. Il comparto a capitale italiano sta crescendo in tutto il mondo. E dire che dieci anni fa c’era chi lo dava per finito». Menarini è un esempio dell’internazionalizzazione, via acquisizioni, delle aziende del made in Italy negli ultimi cinque anni. Nel 2020 ha rilevato l’americana Stemline Therapeutics, quotata al Nasdaq e poi delistata, per 677 milioni di dollari, «senza debito bancario, con mezzi propri». Stemline è una biofarmaceutica specializzata nelle terapie oncologiche innovative, settore nel quale il gruppo fiorentino ora si sta espandendo in aggiunta alle aree tradizionali di attività: cardiovascolare, metabolica, respiratoria. In particolare attraverso Stemline, che al momento dell’acquisizione aveva già visto approvata dalla Fda la terapia antitumorale Elzonris (tagraxofusp), Menarini ha lanciato un farmaco da assumere per via orale contro il tumore al seno, l’orserdu (elacestrant). Lo ha rilevato da un’altra azienda, era in fase 3. Da quando è nel portafoglio Menarini, è stato approvato negli Usa (gennaio 2023), registrato in Europa e messo in vendita in Germania. «Dovrebbe essere commercializzato in Italia entro fine anno», dice Aleotti. Gli analisti si attendono che diventi un blockbuster superando il miliardo di dollari di vendite, «in 11 mesi siamo a circa 270 milioni».
Dividendi e conti
Senza l’america, questo non sarebbe stato possibile per Menarini, che ha chiuso il 2023 con ricavi a 4,375 miliardi (+17% dal 2020) e un margine operativo lordo di circa 340 milioni, con gli Usa primo Paese di sbocco, e si attende un 2024 in crescita del 5% per giro d’affari. Il gruppo ha 18 stabilimenti nel mondo, 17 mila 800 dipendenti, più che raddoppiati dal 2000, è presente in 140 Paesi. Da oltre 20 anni non distribuisce dividendi: «Reinvestiamo tutti gli utili nell’azienda, consolidiamo e cresciamo: un passo alla volta, mai più lungo della gamba», dice Lucia Aleotti che dichiarò: «Mio padre ci diceva che un’azienda farmaceutica non è tale se non diventa forte negli Usa». Il concetto è ribadito, con in più la rivincita dell’impresa farmaceutica italiana. «Tutti dicevano che l’industria farmaceutica italiana era finita con la Carlo Erba, che le aziende italiane erano troppo piccole, investivano poco in ricerca — nota l’imprenditrice toscana —. Grande errore di valutazione. Si pensò di poter applicare all’italia i modelli di sviluppo di altri Paesi, riferiti ai grandi gruppi. Invece le aziende italiane sono andate avanti per la loro strada. Noi non siamo paragonabili per dimensioni ai big, ma dal 2019 le acquisizioni all’estero si sono succedute». Aleotti fa un elenco, eccolo. Nel 2019 Zambon ha rilevato Breath Therapeutics
con sede a Monaco e a San Francisco per 140 milioni di euro, aumentabili a 500. Area: malattie respiratorie gravi. Nel 2020 Menarini ha acquisito Stemline. Nel 2021 Angelini ha comperato la svizzera Arvelle Therapeutics valutata 960 milioni di dollari, disturbi del sistema nervoso centrale. Nel 2022 Italfarmaco ha acquisito la spagnola Lacer, inoltre ha sviluppato il primo farmaco non steroideo approvato per la distrofia di Duchenne. L’anno scorso Alfasigma ha rilevato l’americana Intercept, patologia autoimmune al fegato; Chiesi l’rlandese Amryt per 1,48 miliardi di dollari, malattie rare; Abiogen il 97% della svizzera Effrx, patologie muscoscheteriche e rare. Più Dompé che ha conquistato il mercato americano con il farmaco per il trattamento contro una malattia rara della cornea.
«È un momento incredibile — dice Lucia Aleotti —. Se fosse tutto quotato allo stock exchange forse se ne parlerebbe di più. È successa la magia dell’industria farmaceutica a capitale italiano e non lo avrebbe detto nessuno. Inoltre lo spirito di collaborazione che c’è tra le aziende a capitale italiano e quelle internazionali che investono in Italia è stata una chiave della crescita del settore nel Paese». Quanto agli italiani che acquisiscono all’estero, «ognuno si è mosso in modo diverso, si è creato una nicchia di conoscenza e specializzazione. Non abbiamo mega acquisizioni cariche di debito, ma operazioni sane. È un processo che si genera negli anni, non si decide dalla sera alla mattina. Si è sostenuta pian piano la ricerca, si sono trovate le competenze interne che hanno consentito di arrivare all’acquisizione. Non è un bottone che si schiaccia. È il risultato di un processo lento, con qualche successo e qualche insuccesso. Ne abbiamo avuti pure noi di insuccessi, anche in campo oncologico. Ne sono fiera, solo attraverso i tentativi si possono ottenere risultati». Quella della crescita estera graduale e costante, senza delocalizzare, è del resto la strategia di Menarini. La prima acquisizione è del 1992 in Germania, Berlin Chemie. Nel 2011 c’è stata l’espansione in Asia Pacifico con l’acquisto di un’azienda di Singapore; nel 2013-2016 la startup Silicon Biosystems e la tecnologia Cellsearch. Nel 2020 Stemline. «Avevamo chiaro — dice Aleotti — che si dovesse entrare in America con prodotti diversi da quelli che avevamo fino ad allora, in particolare l’obiettivo era l’oncologia. L’acquisizione di Stemline non è stata un caso».
La governance
Dietro alla decisione, infatti, viene indicata anche la nuova governance dell’azienda, con un amministratore delegato esterno e un consiglio d’amministrazione allargato. «Una scelta orientata a rafforzare e non indebolire il ruolo dell’imprenditore. La famiglia non cambia, resta presente tutti i giorni in azienda, ma in più c’è l’allargamento della conoscenza. La ceo Elcin Barker Ergun ci ha supportato nella strategia». Quanto al perché proprio l’america per la farmaceutica, le ragioni indicate sono tre: «Uno, è il mercato più grande e dinamico del mondo; due, la ricerca è in continua evoluzione; tre, è un Paese estremamente aperto nel dialogo tra strutture sanitarie e aziende, è facile condurre la sperimentazione clinica. Si accorciano i tempi a fronte di patologie in continua evoluzione».
L’acquisto di Stemline non è stato un caso. È una scelta che nasce dall’avere allargato il board e accolto un ceo esterno. Abbiamo aumentato la conoscenza