Tim e l’ardua campagna di Bollorè
Con l’astensione decisiva del primo azionista Vivendi, l’ad Pietro Labriola è stato riconfermato martedì scorso per tre anni alla testa di Tim. Nelle sue dichiarazioni al termine dell’assemblea generale, Labriola ha evocato il «grande senso di responsabilità dei soci che direttamente o indirettamente hanno permesso di garantire la continuità», alludendo a Vivendi, che pure da mesi si oppone a Labriola e al piano di vendita, approvato dal governo italiano, della rete fissa al fondo americano Kkr.
Se Vivendi ha «garantito la continuità», come dice Labriola, è soprattutto perché in mancanza di un piano alternativo la bocciatura dell’accordo con Kkr avrebbe probabilmente fatto ulteriormente crollare le azioni Tim e aumentato le già notevoli perdite di Vivendi.
Il colosso francese possiede circa il 24 per cento dell’operatore italiano grazie a investimenti che dal 2015 a oggi ammontano a circa 4 miliardi di euro, con una perdita di valore che però si avvicina già a 2,5 miliardi.
La campagna d’italia di Vincent Bolloré continua con l’azione in giustizia contro l’accordo tra Tim e Kkr che dovrebbe essere comunque finalizzato entro l’estate. Sembrano lontani i tempi in cui Bolloré annunciava la prossima nascita di una «Netflix latina» unendo le forze dei vari operatori in Francia, Italia e Spagna. Quel progetto si è impantanato proprio a partire dall’italia e dalla difficoltà che Bolloré ha incontrato in Mediaset — con il litigio con Silvio Berlusconi e la famiglia — e anche in Tim.
Nei giorni in cui molte voci politiche, per esempio Emmanuel Macron con il discorso alla Sorbona, ripetono gli appelli a rilanciare il mercato unico europeo e a unire le forze, unica strada per resistere ai giganti americani e cinesi, la progressiva uscita di Bolloré dagli affari italiani appare come un movimento contrario al senso della storia. Ma il consolidamento a livello europeo deve basarsi sul rispetto di tutte le parti in causa, e le mosse di Bolloré in questi anni sono sembrate talvolta poco attente agli interessi tutelati dalle autorità italiane. E dire che in Francia il riflesso nazionalista e la protezione da parte del governo degli asset strategici sono praticati da secoli e durano tuttora.
Le ormai durevoli difficoltà di Bolloré possono peraltro essere considerate un’eccezione in una relazione economico-commerciale tra Italia e Francia molto salda , non solo a livello di grandi gruppi ma anche nelle piccole e medie imprese, e che va avanti in profondità nonostante le periodiche scaramucce di superficie tra Parigi e Roma. Se il governo italiano attuale si oppone alla visione di Vivendi, un ministro di campo opposto (Carlo Calenda) sei anni fa già definiva Vivendi «un pessimo azionista per Tim». La politica sembra registrare problemi che nascono altrove.