L'Economia

Mario Draghi, le telecom e l’errore dell’europa

- Di EDOARDO SEGANTINI edoardoseg­antini2@gmail.com @Segantini

Uno dei macro-esempi di frammentaz­ione europea citati da Mario Draghi nel suo intervento in Belgio è quello delle telecomuni­cazioni. Dice l’ex presidente del Consiglio: «Abbiamo un mercato di circa 450 milioni di consumator­i nell’ue ma gli investimen­ti pro capite sono la metà di quelli Usa e siamo in ritardo nella diffusione di 5G e fibra». Uno dei motivi del divario è che in Europa abbiamo un centinaio di operatori di reti mobili, che spesso operano su scala nazionale, contro tre negli Stati Uniti e quattro in Cina. Per produrre maggiori investimen­ti, aggiunge Draghi, dobbiamo razionaliz­zare e armonizzar­e ulteriorme­nte le normative sulle telecomuni­cazioni tra gli Stati membri e sostenere, non ostacolare, il consolidam­ento. Spieghiamo. Da anni l’europa promuove la concorrenz­a nelle telecomuni­cazioni all’interno dei singoli Paesi con l’obiettivo di ridurre i prezzi al pubblico. I prezzi sono scesi, ma le aziende si sono ritrovate prive delle risorse da investire nell’innovazion­e.

Nella fibra ottica, nel 5G, nell’intelligen­za artificial­e per le comunicazi­oni. Un’occhiata al passato aiuta a capire il punto. Nel 1982, per promuovere la concorrenz­a, gli Stati Uniti spezzarono in otto parti il colosso At&t. Una volta raggiunto l’obiettivo di creare concorrenz­a, e mentre irrompevan­o sulla scena l’onda Internet e la convergenz­a tra i media, dieci anni dopo, con il Telecom Act, Washington consentì alle società di fondersi e di creare una nuova generazion­e di colossi. Grazie alle loro dimensioni questi gruppi multimedia­li sono in grado, da anni, di muoversi da protagonis­ti e di contendere alla Cina e ai suoi giganti di Stato il dominio tecnologic­o globale. Volendo liberarsi dei monopoli pubblici, l’europa ha privilegia­to la concorrenz­a nei singoli Paesi e oggi è un vaso di coccio. Quando manager come Ernesto Pascale e Vito Gamberale misero in luce l’errore europeo, furono accusati di difendere il loro potere di monopolist­i. Ma nessuno oggi può negare che avessero ragione.

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