Mario Draghi, le telecom e l’errore dell’europa
Uno dei macro-esempi di frammentazione europea citati da Mario Draghi nel suo intervento in Belgio è quello delle telecomunicazioni. Dice l’ex presidente del Consiglio: «Abbiamo un mercato di circa 450 milioni di consumatori nell’ue ma gli investimenti pro capite sono la metà di quelli Usa e siamo in ritardo nella diffusione di 5G e fibra». Uno dei motivi del divario è che in Europa abbiamo un centinaio di operatori di reti mobili, che spesso operano su scala nazionale, contro tre negli Stati Uniti e quattro in Cina. Per produrre maggiori investimenti, aggiunge Draghi, dobbiamo razionalizzare e armonizzare ulteriormente le normative sulle telecomunicazioni tra gli Stati membri e sostenere, non ostacolare, il consolidamento. Spieghiamo. Da anni l’europa promuove la concorrenza nelle telecomunicazioni all’interno dei singoli Paesi con l’obiettivo di ridurre i prezzi al pubblico. I prezzi sono scesi, ma le aziende si sono ritrovate prive delle risorse da investire nell’innovazione.
Nella fibra ottica, nel 5G, nell’intelligenza artificiale per le comunicazioni. Un’occhiata al passato aiuta a capire il punto. Nel 1982, per promuovere la concorrenza, gli Stati Uniti spezzarono in otto parti il colosso At&t. Una volta raggiunto l’obiettivo di creare concorrenza, e mentre irrompevano sulla scena l’onda Internet e la convergenza tra i media, dieci anni dopo, con il Telecom Act, Washington consentì alle società di fondersi e di creare una nuova generazione di colossi. Grazie alle loro dimensioni questi gruppi multimediali sono in grado, da anni, di muoversi da protagonisti e di contendere alla Cina e ai suoi giganti di Stato il dominio tecnologico globale. Volendo liberarsi dei monopoli pubblici, l’europa ha privilegiato la concorrenza nei singoli Paesi e oggi è un vaso di coccio. Quando manager come Ernesto Pascale e Vito Gamberale misero in luce l’errore europeo, furono accusati di difendere il loro potere di monopolisti. Ma nessuno oggi può negare che avessero ragione.