Bond, uno scudo al carovita Meglio sceglierli a 5 anni
I governativi del Vecchio Continente si sono comportati bene. Il debito sovrano è molto più stabile rispetto a 10 anni fa. E vale anche per l’italia, dice Balls (Pimco)
La tenuta dell’economia di fronte alla severa stretta monetaria avviata ormai due anni fa dalla Banca centrale americana ha convinto gli investitori che gli Stati Uniti siano ormai fuori pericolo. Sarebbe meglio, però, non abbassare troppo la guardia: «Noi crediamo che i rischi di recessione e quelli di un riaccendersi dell’inflazione restino considerevoli, alla luce degli choc senza precedenti verificatisi sul lato della domanda e dell’offerta su scala internazionale». A dirlo è Andrew Balls, capo degli investimenti per le strategie obbligazionarie di Pimco a livello globale. La buona notizia è che, ricorda Balls, «i rendimenti del reddito fisso compensano in modo soddisfacente l’attuale scenario di incertezza».
Sono due gli argomenti a supporto di questa affermazione: da un lato, la relazione inversa tra l’andamento delle azioni e dei bond – quando le borse scendono, i prezzi delle obbligazioni tendono a salire e viceversa – tornerà a funzionare correttamente, garantendo portafogli più stabili, grazie ai benefici della diversificazione. Dall’altro lato, il reddito fisso può sovraperformare le azioni, nel caso in cui il rischio di recessione torni ad aumentare. I mercati azionari, infatti, sarebbero più vulnerabili, mentre i bond potrebbero beneficiare di un allentamento della politica monetaria, ora che le banche centrali hanno più margine per tagliare i tassi.
Da questo punto di vista, secondo il gestore, è meglio guardare oltre i confini del mercato americano, nell’universo obbligazionario, ad esempio verso Australia, Regno Unito e Canada: l’economia statunitense, infatti, sta assumendo una traiettoria divergente rispetto a quella delle altre economie sviluppate. La crescita più robusta e l’inflazione tenace rendono relativamente meno attraenti le prospettive del reddito fisso americano.
E l’europa? «Qui abbiamo un posizionamento neutrale». C’è chi teme che, di fronte a un rallentamento molto marcato dell’economia, possa riemergere lo spettro della crisi dei debiti nel Vecchio Continente. «I governativi europei si sono comportati bene, il debito sovrano è molto più stabile rispetto a 10 anni fa. Vale anche per l’italia, che ha passato indenne alcuni stress test importanti, dalla pandemia all’iperinflazione, passando per le crisi geopolitiche. Le prospettive di crescita del Paese appaiono positive, migliori rispetto alla sua storia recente e anche nel confronto con altri Paesi. La Germania, per esempio, risulta oggi più debole sul piano macroeconomico — annota Balls — il suo modello di business mostra qualche difficoltà».
Le scadenze più interessanti, sia in
Europa che sull’altra sponda dell’oceano Atlantico, sono attorno ai 5 anni. «Abbiamo un sottopeso sulla parte lunga della curva dei rendimenti statunitense a causa delle preoccupazioni per la politica fiscale e l’offerta di titoli del Tesoro Usa», precisa Balls.
Dopo le urne
Quest’idea ha a che fare anche con gli scenari del dopo voto americano: «Un’altra presidenza Trump potrebbe favorire politiche commerciali protezionistiche. Tutto questo, unito a un possibile processo di deregolamentazione interna e ad alcuni tagli fiscali, potrebbe sostenere la crescita e l’inflazione degli Stati Uniti. D’altra parte, se Biden dovesse vincere un secondo mandato, probabilmente prolungherebbe molti dei tagli fiscali di Trump del 2017 e tenderebbe a mantenere, se non consolidare, le politiche industriali pro-usa messe in atto dalla sua prima Amministrazione. In entrambi i casi, ci sono dei rischi da monitorare». In ogni caso, il focus degli investitori dovrebbe restare, in questa fase, sui bond di buona qualità: «visti i rendimenti disponibili su questa componente del reddito fisso, continuiamo a raccomandare cautela nei confronti dei titoli societari di qualità inferiore e meno liquidi, che sono più vulnerabili in caso di una brusca frenata dell’economia».