FONDAZIONI, SI RICOMINCIA? IL CASO CRT E LA GOVERNANCE
La vicenda che ha portato alle dimissioni di Palenzona dal vertice dell’ente torinese è sul tavolo di Giorgetti. Al di là della singola questione, o proprio per quella, tornano riflessioni su uomini e competenze. Un tuffo negli anni ‘90
Il terremoto in Fondazione Crt che ha provocato le dimissioni del presidente Fabrizio Palenzona stenta a fermarsi. Il ministero dell’economia, organismo vigilante sugli enti ex bancari, ha depositato un esposto alla Procura di Roma come atto dovuto dopo aver ricevuto dallo stesso Palenzona la segnalazione di un presunto «patto occulto» tra alcuni consiglieri e la comunicazione dell’invio di un esposto alla magistratura di Torino.
Il Mef ha quindi scritto una lettera al presidente ad interim, ai consiglieri di amministrazione e di indirizzo, al collegio sindacale e all’organo di vigilanza chiedendo di far pervenire un’informativa sui fatti avvenuti. Il ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti e il direttore generale, Marcello Sala stanno analizzando la vicenda che ha portato all’uscita di Palenzona.
Da questo esame potrebbe discendere, nell’eventualità che se ne accertino i presupposti, la messa in amministrazione straordinaria della Fondazione. Il Tesoro ha l’obbligo di vigilanza su aspetti come l’equilibrio finanziario, il rispetto degli statuti e dei regolamenti. In ultima ratio, detiene il potere di commissariamento. L’elezione di un nuovo presidente che sopravvenisse prima delle conclusioni del Tesoro non costituirebbe un impedimento all’adozione della misura.
La scorsa settimana, comunque, l’ente si è affrettato a nominare Lucia Calvosa, avvocato, docente universitario ed ex presidente dell’eni e prima ancora dell’editrice de Il Fatto Quotidiano, nel consiglio della Cassa depositi e prestiti.
E si riparte dalla Amato-carli
Le dimissioni di Palenzona stanno sollevando una serie di questioni che si pensavano essere risolte. Le fondazioni sono enti privati o pubblici? C’è il rischio di un’autogestione di tipo politico-feudale? Non è un caso che alcuni osservatori comincino a sollevare dubbi sulla sentenza della Corte costituzionale che ha definito le fondazioni come enti privati di utilità sociale.
Ma andiamo con ordine. Dalla loro comparsa nel sistema creditizio le fondazioni hanno subito profonde modifiche. L’evoluzione è dovuta a regole che si sono succedute dall’introduzione nell’ordinamento bancario avvenuta negli anni Novanta.
Con la legge Amato-carli, le Casse e i Monti di credito hanno avuto la facoltà di conferire l’azienda bancaria alla società per azioni conferitaria, ricevendo in cambio azioni per un valore legato alla stessa assegnazione. L’ente continuava a esistere come fondazione e, oltre a esercitare il controllo sulla società che svolgeva l’attività bancaria, perseguiva «scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico».
La norma Amato-carli non obbligava alla trasformazione in spa. Anzi, lasciava l’autonomia decisionale a ogni singola banca. Tuttavia, la persuasione delle agevolazioni fiscali fece sì che la quasi totalità degli istituti cogliesse l’opportunità. Alle fondazioni era consentito di utilizzare i proventi delle partecipazioni unicamente per scopi di utilità sociale. Nello stesso tempo, le società per azioni che svolgevano l’attività di intermediazione creditizia potevano aprirsi ai capitali privati e svincolarsi dal controllo pubblico.
In realtà la legge Amato-carli garantiva scarsa autonomia gestionale alle partecipate in quanto la governance della conferente controllante (la fondazione) era composta prevalentemente da soci scelti tra rappresentanti e amministratori di enti pubblici. Con questa prima legge non si realizzò la privatizzazione perché, se l’attività bancaria era svolta da una società di capitali, quest’ultima era controllata dall’ente originario conferente che ne possedeva la totalità delle azioni.
Carlo Azeglio Ciampi successivamente portò a compimento il processo di ristrutturazione. Una legge del ’98 e un successivo decreto-legge del ’99, assegnarono una completa autonomia gestionale e statutaria e, in via definitiva, trasformarono le fondazioni in enti di diritto privato. «Sono persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale». Il decreto-legge del ‘99, prevedendo che gli enti dovessero dismettere entro quattro anni le partecipazioni delle conferitarie, consentì inoltre a questi ultimi di poter esercitare l’attività bancaria. Ciampi indicò poi la ricerca scientifica, l’istruzione, l’arte, la valorizzazione delle attività culturali e dei beni ambientali, la sanità e l’assistenza alle categorie deboli come i settori rilevanti.
La legge Tremonti
Intervenne quindi la riforma Tremonti che cambiò la normativa. La legge 448/2001 conteneva disposizioni che restituivano natura pubblicistica alle fondazioni e puntavano a renderle dipendenti da una competenza legislativa regionale. La governance si reggeva su tre distinti organi che erano di indirizzo, di amministrazione e di controllo. All’organo di indirizzo erano affidati, tra gli altri, i compiti di programmare gli obiettivi e le attività strategiche; di modificare gli statuti; di gestire il patrimonio; di approvare il bilancio.
Gli enti dovevano avere nell’organo di indirizzo una prevalenza di consiglieri scelti tra i rappresentanti di Comuni, Province e Regioni.
Alla Consulta
Ma non finisce qui. La Corte Costituzionale cancellò gli intenti della riforma di riportare le fondazioni a un ambito pubblico. Con una prima sentenza, si affermò «che il processo di trasformazione degli ex-enti pubblici creditizi in fondazioni, avviato nel 1990 e proseguito con varie riforme fino al 1999, è oggi portato a compimento, con la dismissione delle partecipazioni originariamente nelle banche e con l’approvazione dei nuovi statuti; con la conseguenza che le fondazioni, estranee all’ordinamento bancario e qualificate dalla legge come persone giuridiche private senza fine di lucro, ricadono nella materia dell’ordinamento civile».
Una seconda sentenza segnalò l’illegittimità costituzionale nella parte che disponeva per gli organi di indirizzo «una prevalente e qualificata rappresentanza degli enti, diversi dallo Stato». A seguito del pronunciamento, la norma fu svuotata degli aspetti che più la caratterizzavano e la riforma che aveva assegnato la natura privatistica ottenne una legittimazione.
Pier Carlo Padoan, ministro dell’economia nei governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, e Giuseppe Guzzetti, presidente Acri, firmarono nell’aprile 2015 il protocollo che disciplina gli aspetti patrimoniali e l’organizzazione delle fondazioni.
Vicende come quelle della Crt hanno una valenza nazionale che occorre risolvere con scelte rapide e coraggiose. Diversamente, l’effetto è destinato ad allargarsi. Specialmente in una città come Torino, che secondo alcuni è limitata da relazioni autoreferenziali. Nella stessa Compagnia di San Paolo si sono viste le dimissioni anticipate di Francesco Profumo dall’ente e dall’acri.
La sensazione è che servirebbe un forte segnale di rinnovamento della governance delle fondazioni. Sarebbe un passo fondamentale per tutelare realtà che gestiscono circa 40 miliardi, esprimono il presidente di Cdp — nei giorni scorsi Giovanni Gorno Tempini è stato confermato — e sono essenziali nel mondo del no-profit.