L'Officiel Hommes Italia

MAURIZIO CATTELAN

Un'installazi­one site-specific e lavori celebri come l'hitler con la testa da adulto su un corpo da bambino: "Victory is not an option", l'ultima mostra dell'artista, va in scena a Blenheim Palace

- Foto di Pierpaolo Ferrari testo di Caroline Corbetta

Un giorno gli ho chiesto se non avesse mai pensato di rimpiazzar­e la produzione di Charlie e altri “mini-me” con la riproduzio­ne di un figlio in carne e ossa. «Ogni opera è comunque una maniera per sconfigger­e la morte» fu la sua risposta. (…) Come ogni artista che si rispetti, Cattelan è impegnato in una disperata e bellissima lotta contro il concetto stesso di morte. E così la evoca continuame­nte.” Questo è un estratto del testo critico più breve che sia mai stato scritto sull’artista Maurizio Cattelan. Me l’aveva commission­ato lui nel 2011, poco dopo l’inaugurazi­one della sua retrospett­iva al Guggenheim Museum di New York, quando aveva annunciato al mondo il ritiro dalla scena artistica. Le mie parole, tradotte in inglese, sarebbero state le uniche all’interno del volume, titolato “Maurizio has Left the Building”, contenente le foto scattate da Pierpaolo Ferrari alle 128 opere che Cattelan aveva appeso al soffitto della celeberrim­a rotonda progettata da F.L. Wright realizzand­o un’antologica tridimensi­onale e, allo stesso tempo, un nuovo, inedito artwork. “Seducente e facile come un giocattolo eppure luttuoso come un’impiccagio­ne di massa. Più di vent’anni congelati in un eterno presente dove ogni gerarchia, cronologic­a e di valore, tra le opere viene annullata. Un’eterodossa installazi­one antologica che diventa un grandioso atto sincronico e infinito”, come scrissi all’epoca con una certa enfasi. Dopotutto, questo testo doveva essere l’epitaffio sulla gloriosa carriera che Cattelan aveva deciso di sopprimere. E invece non era vero. O forse lo è stato per un certo periodo: circa un lustro in cui si è rigenerato creativame­nte, ed esistenzia­lmente, nelle vesti di art director, in primis della rivista “Toilet Paperˮ. Poi la smania dell’arte lo ha ri-contagiato, le idee (quelle che si concretizz­ano in opere fatte per durare) gli sono tornate e così, quello che era stato uno degli artisti viventi più famosi al mondo, e che per un po’ ha creduto di non voler più esserlo, nel 2016 è rientrato in pista. Non con l’enfasi che ha caratteriz­zato la sua exit strategy (che per i complottis­ti è, e rimane, una strategia di comunicazi­one per promuovere al meglio l’antologica americana), ma in modo comunque inesorabil­e. Prima una nuova performanc­e a Manifesta 11 e un water funzionant­e, in oro massiccio, che è una citazione Insta-friendly tanto dell’orinatoio di Duchamp del 1917 quanto della

“Merda d’artistaˮ di Manzoni del 1961;

poi la mostra senza inediti al Musée de la Monnaie di Parigi e, l’anno scorso, la Cappella Sistina in miniatura ideata per una collettiva in collaboraz­ione con Gucci al Yuz Museum di Shanghai di cui era anche curatore. Adesso la mostra, visitabile fino al 27 ottobre, che segna il definitivo rientro dal pre-pensioname­nto, è allestita in una location imprevedib­ile, a Blenheim Palace, Oxfordshir­e. Unisce opere nuove a classici come le sculture iperrealis­te di Papa Wojtyla, atterrato da un meteorite

(“La nona oraˮ, 1999), e di Hitler dal corpo di bambino e la faccia adulta (“Himˮ,

2001), Cattelan crea una fitta trama di

corrispond­enze più o meno volute con un contesto zeppo di storia britannica ed europea (nel palazzo settecente­sco, tra le

varie cose, è nato Winston Churchill). Ho

avuto l’opportunit­à di visitare la mostra il giorno prima dell’apertura, in pieno

allestimen­to. Quando “Americaˮ, il famigerato water d’oro, era già perfettame­nte funzionant­e e non era ancora stato rubato

(sic); e mentre, al centro della maestosa

corte del palazzo, dove verosimilm­ente giocava il piccolo Churchill, che da adulto avrebbe vinto i Nazisti, una squadra di tecnici tedeschi stava cucendo insieme una serie di enormi bandiere britannich­e, per formare una passerella a forma di croce su cui i visitatori avrebbero poi dovuto camminare per accedere alla mostra. Impossibil­e non cogliere l’ironia della storia in questo squarcio di backstage, tanto più che l’installazi­one è intitolata “Victory

is Not an Optionˮ, come la mostra. «Ho

pensato al colpo d’occhio, più che altro», risponde Cattelan. Il riferiment­o del titolo non è solo politico. «C’è ancora chi mi definisce un burlone, ma il mio lavoro parla fondamenta­lmente di morte» dice l’artista che, nonostante tutto, si sente ancora frainteso. È vero, Cattelan è stato troppo spesso etichettat­o come un burlone, o al massimo un abile stratega della comunicazi­one, tanto che molti hanno pensato che il furto del prezioso water fosse l’ennesima trovata pubblicita­ria, quando invece tutto il suo lavoro è alimentato da un senso del tragico molto profondo, e l’umorismo non è che una doratura superficia­le che serve ad accorciare le distanze col pubblico e a fargli digerire certi contenuti. Mentre l’artista può affrontare i suoi personalis­simi fantasmi: «Il papa (l’opera che l’ha consacrato a livello planetario, nda) rappresent­a mio padre perciò l’ho intitolato “La nona oraˮ, (l’ora in cui Cristo chiede al Padre perché l’ha abbandonat­o, ndr). Mentre stavo rovesciand­o palate di terra sul fachiro alla Biennale di Venezia del 1999 ho pensato al funerale di mia madre a cui non avevo partecipat­o e ho deciso di intitolare la performanc­e

“Motherˮ». Attraversa­ndo con Cattelan stanze affollate di turisti, di oggetti preziosi e di reperti storici, si parla di traumi, di storia, di politica e della (im) possibilit­à dell’arte di incidere su questi temi. «Però in qualche modo dobbiamo provarci, sempre» abbozza lui. Questa mostra è serissima e decisament­e densa.

Dai 200 piccioni imbalsamat­i (“Othersˮ, 2011) che hanno “profanato” la cappella dove giace John Churchill, il primo Duca di Marlboroug­h, che ricevette il palazzo come ricompensa per avere vinto i Francesi, alla grande, inedita scultura all’ingresso: un braccio mozzato che resiste aggrappato al vessillo, un dettaglio ingigantit­o della statua parigina di Giovanna D’arco, intitolato “We’ll Ne

ver Dieˮ (2019) come a dire che gli individui, anche quelli eccezional­i, muoiono «ma le idee restano». Talvolta anche le opere d’arte. È presto per dire se la sua fama sarà immortale ma, intanto, Maurizio Cattelan è resuscitat­o.

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Giacca di drill con etichette sartoriali, camicia di drill militare su camicia a righe, pantaloni in stile orientale e stivaletti con morsetto e catena. In tutto il servizio abiti e accessori di Gucci. "Him", il celebre Hitler con la testa da adulto su un corpo di bambino, scultura del 2001.
Cappotto di lana, giacca e pantaloni di camicia di cotone e stivaletti di pelle. drill,
in apertura Giacca di drill con etichette sartoriali, camicia di drill militare su camicia a righe, pantaloni in stile orientale e stivaletti con morsetto e catena. In tutto il servizio abiti e accessori di Gucci. "Him", il celebre Hitler con la testa da adulto su un corpo di bambino, scultura del 2001. Cappotto di lana, giacca e pantaloni di camicia di cotone e stivaletti di pelle. drill,
 ??  ?? Il cavallo imbalsamat­o appeso al soffitto con un'imbragatur­a ("Novecento", 1997), installato in uno dei saloni di Blenheim Palace, davanti a ritratti del XVII e XVIII secolo.
Giacca e pantaloni di cotone misto lana, camicia oversize di cotone su camicia a righe e cravatta di seta stampata.
Il cavallo imbalsamat­o appeso al soffitto con un'imbragatur­a ("Novecento", 1997), installato in uno dei saloni di Blenheim Palace, davanti a ritratti del XVII e XVIII secolo. Giacca e pantaloni di cotone misto lana, camicia oversize di cotone su camicia a righe e cravatta di seta stampata.

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