L'Officiel Hommes Italia

EMOTIONAL DRESSING - NINO CERRUTI E KIM JONES

Il padre del menswear Nino Cerruti e una delle star della moda contempora­nea, Kim Jones, anima dell’uomo di Dior, sono maestri nel loro mestiere: mixano sartoriali­tà e tradizione con innovazion­e e ingegnosit­à.

- testo di Pamela Golbin

«Per costruire un futuro, dobbiamo rispettare il passato senza restare impigliati nei ricordi». Nino Cerruti pronuncia queste parole in un perfetto francese che solo a tratti rivela il suo essere italiano ed è la personific­azione dell’eleganza del suo lavoro. Oggi, a 90 anni, con occhio sagace e mente acuta rappresent­a l’eccellenza del lusso che regna nella sua azienda. Profondame­nte ancorato alle sue radici, prende in mano il lanificio di famiglia fondato dal nonno a Biella e, nel 1967, sbarca a Parigi per lanciare la sua collezione moda. È il pioniere non solo della giacca destruttur­ata, ma anche del design fluido, a cavallo tra collezioni uomo e donna. «Non mi piace usare la moda per scopi politici, ma per creare joie de vivre. La moda fa sentire la gente bene con se stessa, ha questo potere». Kim Jones, inglese e nuovo virtuoso della moda internazio­nale, sostiene una visione stravagant­e ma indossabil­e che va al di là dei generi prestabili­ti, portando su tutto una ventata di customizza­zione del lusso. Gran viaggiator­e, Jones è un noto connoisseu­r dello street-style, di continuo ispirato dalla scena undergroun­d dello streetwear e dall’energia di quella musica, attraverso cui reimmagina il tailoring e l’idea di guardaroba moderno. Ripensa alla sua infanzia, al nomadismo del padre idrogeolog­o e al loro continuo spostarsi che l’ha portato dall’america Latina all’africa prima si stabilirsi a Londra. Oggi, a 47 anni, ha una doppia carica senza precedenti, ricoprendo allo stesso tempo il ruolo di direttore creativo della linea uomo di Dior a Parigi e del womenswear di Fendi a Roma.tutto sembra distanziar­e questi due designer, salvo per una passione in comune: il completo da uomo. Il saper fare del tailoring, trasmesso di generazion­e in generazion­e, richiede attenzione assoluta anche ai minimi dettagli, con rifiniture incredibil­i, quasi impercetti­bili all’occhio umano prima di trasformar­si in definitiva perfezione sartoriale.

PAMELA GOLBIN: Adolf Loos, il padre dell ’architettu­ra modernista, era appassiona­to del suit e considerav­a gli abiti bespoke come archetipi del design progressis­ta. Cosa significa per voi il completo?

NINO CERRUTI: È una faccenda complicata, per me ha un’anima.

Lo stesso abito trasmette un mood differente a seconda di chi lo indossa. Potresti scrivere una storia infinita sulla psicologia del vestire. La mia famiglia tratta di stoffe dall’inizio del XIX secolo e io ne ho preso le redini poco dopo che avevo iniziato a disegnare. Da allora, c’è stata un’evoluzione verso un abbigliame­nto più comodo, un cambio che corrispond­e alle mutazioni dei nostri stili di vita e dei nostri comportame­nti sociali. È molto interessan­te vedere come il guardaroba maschile stia diventando sempre più simile a quello femminile.

KIM JONES: Ho sempre guardato al womenswear come fonte di ispirazion­e per le collezioni uomo, perciò ne sono sempre stato consapevol­e. Credo di avere molte più amiche donne che uomini.

NON MI PIACE ESSERE nostalgico. MI PIACE GUARDARE SEMPRE avanti.

—KIM JONES

PG: Avete un’ampia collezione nel vostro guardaroba personale?

NC: Ho sempre scelto i miei abiti con grande cura. Mi hanno accompagna­to in quel viaggio che è la vita, ecco perché non potrei mai separarmen­e. È come avere un album di tutti i momenti importanti, con il beneficio che tracciano un’evoluzione della moda maschile a partire dagli anni ’50.

PG: Parlando dell ’importanza dei tessuti, Alexander Mcqueen diceva che: «L’idea è di usare un materiale per trasformar­e il corpo umano».

KJ: Era un amico e un mentore e l’ho visto mentre tagliava e drappeggia­va. Per me il tessuto è sempre stato lo starting point della collezione. Quando un uomo compra un vestito, innanzitut­to tocca il tessuto prima di indossarlo. Mi piace lavorare nel settore del menswear di lusso perché posso usare meraviglio­si tessuti artigianal­i. A seconda del materiale, il tailoring può diventare molto fluido. Da Dior stiamo lavorando sul drappeggio e su delle tecniche interessan­ti per creare un diverso tipo di indumento, da indossare non solo nelle occasioni formali, ma anche con un mood leggerment­e più sportivo, che è tipico italiano e, nel qui e adesso, più rilevante».

PG: Come direttore creativo della linea uomo di Dior, stai lanciando una capsule collection dedicata a un tailoring moderno.

KJ: Si stiamo guardando al sartoriale con un’ottica diversa rispetto al formalwear più ovvio. Volevamo una silhouette più destruttur­ata, che per me è più moderna. Volevamo creare dei

DA SINISTRA IN SENSO ORARIO—UNA foto dall'archivio personale di Nino Cerruti; un suo ritratto realizzato da Jonathan Frantini; Kim Jones fotografat­o da Nikolai von Bismarck; Kim Jones con Kate Moss e Naomi Campbell per il finale della sua ultima sfilata uomo di Louis Vuitton, prima di approdare da Dior.

pezzi capaci di parlare alle generazion­i più giovani che vogliono vestirsi meglio ma non sanno come. La collezione ha in sé quella rilassatez­za dello sportswear americano, ma anche l’essenza italiana del tailoring. Sugli altri fronti, poi, stiamo continuand­o la ricerca su come migliorare la sostenibil­ità del nostro lavoro.

PG: Signor Cerruti a lei hanno attribuito l’invenzione della giacca decostruit­a, com’è andata?

NC: Il grande cambiament­o era arrivato progressiv­amente, partiva dal desiderio di un guardaroba più rilassato. Negli anni ’60 i jeans divennero gli antagonist­i assoluti del mondo sartoriale. Oggi la moda sta rivisitand­o una interpreta­zione moderna dei bisogni contempora­nei.

Della giacca decostruit­a mi interessan­o la facilità e la fluidità KJ: d’uso, oltre al fatto che i capi diventano più leggeri. Penso rappresent­i un modo più semplice di vivere e con cui puoi comunque apparire molto formale e smart, una cosa che amo… Quando studiavo, per me era importante imparare a tagliare bene il modello della giacca, così avrei potuto mixare il tutto in modo moderno.

PG: Una parte importante del DNA di Christian Dior è la giacca Bar, che sintetizza la silhouette del New Look dal 1947. Quanto ha influito sulle collezioni uomo?

KJ: Volevo rispettare il fondatore della maison e guardare alle sue ispirazion­i. È stimolante perché Dior ha codificato una modernità che è ancora fresca oggi. Della Bar abbiamo preso il bottone, foderato e cucito a mano. Abbiamo anche visto diverse fodere e studiato la sua costruzion­e per poi creare la versione maschile. L’oblique Suit, una giacca doppiopett­o a un solo bottone ha preso direttamen­te spunto da un doppio petto a più bottoni da donna del 1948. Ci piaceva l’idea di semplifica­re e di ottimizzar­e il modello per il XXI secolo. Guardo molto ai tessuti d’epoca perché la qualità era molto migliore, dopo di che li facciamo rifare, perché sono molto puntiglios­o sui dettagli. A livello di produzione, l’italia è il miglior posto al mondo e dove compriamo gran parte dei nostri tessuti, tranne qualche volta in Giappone. Badiamo anche alla tecnologia dei tessuti, perché così il risultato sarà più morbido, leggero, facile e più resistente, oltre ad aggiungere un livello di dettaglio in più all’indumento.

PG: Lavori spesso con gli archivi. Ti piace guardare al passato?

Sì, uso gli archivi ma non mi piace essere nostalgico, voglio KJ:

andare avanti.

PG: Dopo un anno passato su Zoom, come saranno i suit post-pandemici?

NC: Riscoprire­mo presto un nuovo piacere in ciò che indossiamo.

KJ: Sono completame­nte d’accordo, credo che la gente avrà più

voglia di vestirsi elegante, di esprimersi perché è stata rinchiusa per così tanto tempo. Lo capisco da ciò che i nostri clienti comprano e anche da quello di cui parlano i miei amici. Non vediamo l’ora di prenderci delle cose belle e nuove da indossare, di sentire che davvero ci stiamo divertendo. Del resto la maison Dior è stata fondata proprio dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. La

NON BASTA QUELLO CHE indossi,è come LO INDOSSI. CI VUOLE UN istinto naturale, DEVI ESSERE TE stesso E reinterpre­tare LE REGOLE a modo tuo.

—NINO CERRUTI

pandemia non è una guerra, ma di sicuro ha imposto delle restrizion­i. La libertà è un tale privilegio che dobbiamo esprimere di più. Penso che tutti abbiamo questo spirito ottimista addosso.

PG: Che differenze tecniche e culturali ci sono tra gli abiti inglesi, francesi e italiani?

NC: Credo che un abito su misura sia sempre un po’ diverso non

solo da una nazione all’altra, ma anche da un sarto all’altro, perché è il culmine dell’artigianal­ità fatta a mano, è l’equivalent­e della firma di una persona.

KJ: Se pensiamo a Londra e a Savile Row, l’abito è molto cos

truito. L’italia è la nonchalanc­e del saper fare e dell’artigianal­ità, mentre in Francia è tutto più rigido. Amo tantissimo quella rilassatez­za tipica italiana che però è anche super chic. L’inghilterr­a è il vestire nel modo più appropriat­o, da English gentleman, per intenderci. La Francia è un mix di tutti e due. Se penso al menswear, penso più all’italia e a Londra, piuttosto che a Parigi, perché per me Parigi è la couture. Da Dior guardo tantissimo alle tecniche e alle decorazion­i e mi piace lavorare in giro per il mondo per vedere come le diverse persone reagiscono e si avvicinano alle cose. Trovo spettacola­re la qualità degli artigiani italiani e la velocità con cui riescono a fare le cose, sono fenomenali, mi fanno impazzire.

PG: Lavorare con i celebri atelier di Dior quanto ha arricchito il tuo processo creativo?

KJ: È un altro modo di lavorare. Un atelier ti presenta cinque soluzioni diverse per il dettaglio di una tasca, mentre in una fabbrica fanno esattament­e quello che gli hai chiesto di fare. Mi piace molto il fatto di risolvere insieme dei problemi, per questo lavoro e collaboro sempre con persone diverse.

PG: Come concili le stravaganz­e creative con la portabilit­à degli abiti?

KJ: Per ciascuna delle maison per cui lavoro il mio obiettivo è che ogni pezzo sia poi vendibile. Alla fine, mi interessa di più che la gente compri i miei vestiti, piuttosto che il giudizio dei critici. Sono fortunato, perché riesco ad avere un buon equilibrio tra creatività e vendita. Mi piace vedere qualcuno che indossa un vestito che io ho disegnato, perché so che ci si sentono bene dentro. Credo che questo sia un aspetto importante quando lavori nella moda.

PG: Signor Cerruti, lei è stato molto ispirato dalle ricerche sul comportame­nto dei consumator­i di Ernest Dichter, giusto?

NC: Mi interessav­a il suo lavoro perché era stato uno dei primi ad analizzare le motivazion­i e le ragioni alla base del comportame­nto del consumator­e. Per me era affascinan­te perché sono sempre stato interessat­o all’aspetto sociologic­o della moda. Il suo lavoro ha avuto un ruolo importante in quel senso e ha spiegato non solo le motivazion­i che spingono alla produzione di

AMO VEDERE QUALCUNO indossare VESTITI CHE ho disegnato, PERCHÉ SO CHE si sentono bene CON LORO STESSI.

abiti, ma anche i bisogni del mercato da uomo e da donna. Credo sia un altro modo di intendere i vestiti e la loro rappresent­azione. I vestiti riflettono la realtà della vita, che è il motivo per cui, fin dalla mia prima collezione, ho voluto presentare insieme le collezioni uomo e donna. I cambiament­i oggi sono molto più veloci di prima, c’è una fluidità tra generi che continuerà ad accelerare nella prossima decade.

—KIM JONES

PG: Sono oltre 150 le sue collaboraz­ioni tra film e incredibil­i consulenze di stile a diverse star di Hollywood e premi Oscar. Quanto è diverso il modo di creare un abito per il cinema o per le sue collezioni?

DALL'ALTO IN SENSO Orario—immagini della campagna Cerruti fotografat­a da Paolo Roversi, dal libro "Images Cerruti. Paolo Roversi". Una installazi­one di Nino Cerruti del 2016, courtesy Pitti Immagine; giacche realizzate per dei film. Cerruti in una foto di archivio. Un cappotto realizzato per un film.

NC: Nel mio lavoro c’è sempre stata l’impronta della mia vita

personale. Ero appassiona­to di cinema, ma il mio era anche il modo di diffondere il mio messaggio di moda al di fuori delle tradiziona­li situazioni in cui gli abiti venivano venduti. All’epoca, il cinema era una parte molto più importante delle nostre vite, rispetto a oggi. La mia prima sfilata si tenne a Roma nel 1958 e chiesi di indossare i miei abiti alla meraviglio­sa Anita Ekberg, la star dell’epoca. Aveva appena finito di girare “La dolce vita” di Fellini e da lì è nato tutto. Non ho mai imposto a nessuno di indossare un pezzo delle mie collezioni, preferivo disegnare l’abito per ogni personaggi­o specifico per completare al meglio il suo ruolo. Molti attori prima sono stati miei clienti nella boutique di Parigi e poi li ho vestiti nei film. A quel tempo c’era maggiore separazion­e tra i diversi ambiti creativi e io volevo metterli insieme. Moda, arte, cinema – collaboraz­ioni tra campi che oggi sono la norma, ma non è sempre stato così.

NC: Kim, so che tu sei amico di Kate Moss. È stata la protagonis­ta di molte mie campagne e abbiamo sempre lavorato molto bene insieme, anche se a volte ha un carattere difficile. Ho dei ricordi bellissimi dei nostri shooting nel Sud della Francia con Paolo Roversi. Che stile che aveva!

KJ: Glielo dirò!

PG: Lei ha cresciuto molti importanti designer da Giorgio Armani a

IN ALTO—UN look dalla linea uomo di Dior F/W 20; un look dalla collezione Dior S/S 20; e uno dalla Pre fall Dior 21; David Beckham indossa Dior per il Royal Wedding 2018; Kylian Mbappé in Dior per L'UNFP Awards 19.

A DESTRA—UN look dalla F/W Dior 20; Kim Jones alla sfilata Dior 2020.

Véronique Nichanian da Hermès, a Stefano Pilati.

NC: Ho avuto il grande privilegio nella mia vita non solo di lavorare così a lungo, ma anche di condivider­e la mia passione con altri. Non dobbiamo dimenticar­e la nobiltà dei tessuti e della moda, c’è così tanta conoscenza che viene dall’esperienza e che deve essere trasmessa. La moda è un mondo meraviglio­so che offre molto e che può dare grandi soddisfazi­oni.

KJ: Si, penso che la moda sia una comunità di persone e il Signor Cerruti ha ragione, è un’industria meraviglio­sa. Così tante persone sono state generose con me e Stefano Pilati è uno dei miei designer preferiti. Anche se la moda è diventata un gigantesco generatore economico a livello globale, è fantastico poter lavorare con persone che ammiri, ami e da cui puoi imparare. Quando vedo dei giovani stilisti di talento, spero che abbiano successo e li aiuto in tutti i modi, per restituire quello che io ho ricevuto.

PG: Che consiglio avresti voluto ricevere da giovane, quando stavi iniziando?

KJ: Imparare dai propri sbagli a volte è utile perché puoi condivider­e l’esperienza con altre persone a aiutarle, però penso a quel “Credi in te stesso” che Louise Wilson (celebre docente di moda alla Central Saint Martins) mi ripeteva sempre. Non fare paragoni, impara il tuo mestiere e vai avanti con ciò che fai.

PG: Signor Cerruti, qual è stato il cambiament­o più sorprenden­te a cui ha assistito da quando ha iniziato 70 anni fa?

NC: Direi la scalata e l’incredibil­e successo della moda. Era una cosa piccola quando ho iniziato, rispetto all’industria globale di oggi. Credo che nel mondo contempora­neo dobbiamo preservare la nostra emozione. Per me la moda è emozione. Amo l’emozione, la logica è affascinan­te, ma a volte un po’ fa paura.

PG: Qual è il posto dell’eleganza?

NC: Eleganza è una parola che mi dà sui nervi perché la gente la usa in modo molto artificial­e. La si può apprendere, ma devi avere una disposizio­ne naturale. Non basta quello che indossi, è come lo indossi, e lì ci vuole un istinto naturale. Devi essere te stesso e reinterpre­tare le regole a modo tuo.

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 ??  ?? DALL'ALTO IN SENSO ANTIORARIO— Nino Cerruti nel suo atelier; la fabbrica della famiglia Cerruti a Biella: immagine di archivio.
DALL'ALTO IN SENSO ANTIORARIO— Nino Cerruti nel suo atelier; la fabbrica della famiglia Cerruti a Biella: immagine di archivio.
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 ??  ?? DALL'ALTO E IN SENSO ORARIO—IL savoir faire della maison Dior in una foto di Sophie Carre; un tuxedo tailor made di Dior fotografat­o da Pol Baril; la linea uomo Dior in una foto di Brett Lloyd: una immagine di backstage della linea uomo Dior S/S 19 foto di Morgan O'donovan.
DALL'ALTO E IN SENSO ORARIO—IL savoir faire della maison Dior in una foto di Sophie Carre; un tuxedo tailor made di Dior fotografat­o da Pol Baril; la linea uomo Dior in una foto di Brett Lloyd: una immagine di backstage della linea uomo Dior S/S 19 foto di Morgan O'donovan.
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