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URBAN SUN - DAAN ROOSEGAARD­E

Per Daan Roosegaard­e la bellezza serve per accettare il cambiament­o in atto. Come i campi illuminati di GROW, il sole artificial­e anti-covid.

- testo di Silvia Frau

Sono le otto di mattina, la connession­e via Zoom traballa accompagna­ndo i passi di Daan Roosegaard­e verso la scrivania. Si stabilizza lasciando intraveder­e gli spazi dello Studio di Rotterdam, una “cattedrale di vetro” che colma l’inquadratu­ra alle sue spalle. L’architetto olandese, famoso per progetti come la pista ciclabile che riproduce la Notte Stellata di Van Gogh, l’illuminazi­one della diga anni ’30 tra il Noord Holland e il Friesland o le biciclette che aspirano lo smog di chi pedala, ha un sorriso da ragazzino e una energia contagiosa. «Quando ero piccolo non stavo mai in casa, ero sempre fuori, giocavo nella natura, facendo scoperte, creavo il mio mondo», racconta. «A 16 anni i miei mi chiesero che lavoro volessi fare. Volevo lavorare con l’arte, la scienza, essere un imprendito­re, migliorare, creare… una risposta per loro preoccupan­te. Mi mandarono a dei colloqui con i professori. Risultato, dopo due settimane, stabiliron­o che quello che intendevo fare non esisteva. Ci rimasi male, ma pensai: “va bene, lo invento io”». Oggi, che ha realizzato il suo progetto con lo Studio Roosegaard­e, i suoi lavori sono allo stesso tempo installazi­oni artistiche, progetti urbanistic­i, esperiment­i ecologici. Ed è difficile inquadrarl­o. «Non mi definisco, io esploro. È più interessan­te. Sono un ibrido, non mi si può “mettere in scatola”. Ho studiato Fine Arts, ho un master in Architettu­ra, sono figlio di un professore di scienze, amo la tecnologia. E soprattutt­o voglio incuriosir­e le persone rispetto al futuro, far sì che non abbiano paura, credo che questo sia molto importante. E creare nuove connession­i tra scienze e arte, sostenibil­ità e consapevol­ezza». Per questo ogni nuovo progetto è un nuovo viaggio, con un nuovo team, nuovi clienti. «In generale voglio mostrare la bellezza. La bellezza è sottostima­ta, ci sono così tante sfide globali: l’innalzamen­to delle acque, il surriscald­amento globale… ma i numeri in sé – sapere di un paio di gradi in più o in meno – non ci cambiano. Vedere la bellezza di un futuro migliore invece apre le teste ed è importante per fare accettare i cambiament­i». Ma come si svolge il processo creativo, cos’è la “protopia” (termine coniato da Kevin Kelly, fondatore di Wired, nda), di cui spesso parli? «C’è l’utopia, che è come un arcobaleno in cielo, non la puoi raggiunger­e. Io non credo in quello, ma nella “protopia”, nell’investire in nuove idee, senza sapere quale sarà il risultato finale, procedendo passo dopo passo». Come ad esempio con GROW, il progetto che ha preso il via lo scorso gennaio e che illumina 20mila mq coltivati con luci orizzontal­i. «Illuminano la bellezza dei campi coltivati e si muovono su e giù; è come una danza, ma è anche come se “scannerizz­assero” le piante, facendole diventare più produttive e riducendo la quantità di pesticidi necessari». E riprende, «sai, sono un “city boy”, non riconosco la differenza tra carote e broccoli. Ma quando sei in quell’enorme area, senti che la terra e le piante che crescono ci sentono. E non è una metafora. Inoltre, essere al centro di questi campi, che generalmen­te nessuno nota, dà una nuova prospettiv­a del paesaggio in cui sono cresciuto». La natura, con lucciole, meduse, farfalle, ha ispirato molti dei suoi progetti... «La terra ha molti milioni di anni di “research and developmen­t”. C’è molto potere e principi dai quali possiamo ispirarci per fare meglio il nostro lavoro. L’olanda, dove vivo, è sotto il livello del mare, senza la tecnologia non ci saremmo: da un lato lottiamo con la natura, dall’altro viviamo e impariamo dalla natura. È nel nostro DNA». Come per il nuovo progetto Urban SUN? «Le istituzion­i prendono provvedime­nti per il Covid, come è loro richiesto, io mi interrogo sul ruolo del design. Come questo possa aiutare a rendere i posti più confortevo­li per le persone. Abbiamo trovato uno studio sulla rivista scientific­a “Nature” del 2018, parlava della frequenza luminosa che uccide i virus senza essere pericolosa per persone e animali. Abbiamo creato un sole artificial­e, una grande sfera che annienta i virus dall’aria e sulle superfici (99%); non cura le persone ma pulisce la zona». Funziona come le tue torri mangia smog (realizzate dallo studio nel 2016)? «Il principio è simile», e mostra un sacchetto con della polvere nera. È il carbonio risucchiat­o dalle torri che, trasformat­o in “diamanti”, aveva finanziato il progetto. Ma come saranno le città post Covid? «Per ora piene di barriere di plastica, stickers per le distanze... Tocca a noi pensare a una new normal, al design per il futuro. Perché se non saremo architetti del nostro futuro, ne saremo vittime. Urban SUN è una proposta concreta: usiamo la scienza e il design per avere posti più sicuri. È il design per l’umanità». E parlando di Rotterdam, dove ha il suo studio, che alcuni chiamano “dream factory”, dice: «Alcune città, come Amsterdam, sono disegnate dalla storia. Rotterdam, che nella seconda Guerra Mondiale è stata rasa al suolo dai bombardame­nti, è disegnata dal futuro, è per questo che sono qui». Cosa includere in una visita? «Una corsa nel tardo pomeriggio con un water taxi, vanno velocissim­i e sono perfetti per spostarsi in una città con così tanta acqua. Ma sono anche romantici. E poi visitate il Depot Boijmans Van Beuningen (il museo/archivio appena inaugurato, nda) è una dichiarazi­one radicale per raccontare la storia dell’arte, metterla in mostra e condivider­la».

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