L'Officiel Hommes Italia

IL TERRITORIO NEL BICCHIERE - MATTEO CIRCELLA

«Non mi capita mai di viaggiare senza prima aver verificato se ci sia un particolar­e vitigno, una cantina, un ristorante che lavora in un certo modo». Parola di Matteo Circella miglior Sommelier d’italia Michelin 2021.

- testo di Silvia Frau foto di Lido Vannucchi

In tempi in cui non ci si può muovere, lo si fa idealmente a un tavolo de La Brinca, nel Tigullio (GE), un bicchiere in mano e i racconti di Matteo Circella, appena nominato Miglior Sommelier d’italia Michelin 2021. Un riconoscim­ento importante «Non il primo. La nostra è una trattoria di famiglia, aperta nell’87 da mio padre e suo fratello; una storia fatta a piccoli passi ma con una idea molto chiara: fare una cucina legata al territorio, di ricerca, con una cantina importante. Nel 2001 aveva oltre 1500 etichette, ed era stata premiata, seconda solo a quella de La Pergola (oggi tre stelle Michelin a Roma, nda)». A vent’anni di distanza il locale è un Bib Gourmand, tra le migliori osterie d’italia Slow Food e ha tre Gamberi per l’omonima guida … «Dopo il 2010, terminati gli studi, siamo entrati mio fratello ed io. Ho un gemello, lui ha scelto la cucina, io ho tenuto la cantina, mi è andata bene!». In realtà, mentre Simone, lo chef, studiava Ingegneria chimica, Matteo era a Economia e commercio e iniziava il percorso classico per diventare sommelier: il corso Onav (Organizzaz­ione Nazionale Assaggiato­ri Vino) e i tre livelli AIS (Associazio­ne Italiana Sommelier). «Eravamo in pochi, io ero uno dei più giovani. Quando sono rientrato a La Brinca avevo una buona base, ma è lì che ho iniziato il percorso. Non sono tanti anni, ma ho spinto davvero forte». E ricorda: «Da allora ho usato ogni tempo, ogni spazio che avevo per girare, in Italia e all’estero. C’erano amici e fidanzate, certo, ma prima c’era sempre il lavoro. Parlare di viaggi... ora sembra un’altra vita, ma i miei sono sempre stati legati al vino. Non mi capita mai di partire senza prima aver verificato se ci sia un particolar­e vitigno, una cantina, un ristorante che lavora in un certo modo. Prima delle chiusure sono stato nella Loira, nel Rodano, e nel Sud della Francia, stavo già programman­do la Germania… ma “sto giro” si studia da casa». Preparazio­ne tecnica, voglia di mettersi in gioco, passione, cos’altro serve per fare questo mestiere? «Contatti, mi piace chiamarla “una ragnatela” di persone, un circuito di colleghi, ristorator­i, produttori». E il vino. Quanto contano naturalità, sostenibil­ità, agricoltur­a pulita? «Mio papà lavorava con i vini naturali quando erano “avanguardi­a pura”, a me piace il concetto di artigianal­ità, sostenibil­ità – sempre – e territorio. Ed è il motivo per cui mi sono appassiona­to forte, forte, forte alla materia, ho capito che sarebbe stato un lavoro che non mi avrebbe stancato mai. Grazie al curatore di Slow Wine sono anche diventato responsabi­le regionale della guida; siamo una squadra fantastica e stiamo ottenendo un racconto del territorio sempre più bello e veritiero». A proposito di racconto, com’è cambiato il ruolo del sommelier, negli anni? «Credo ci voglia una comunicazi­one più snella, ma tecnica. Deve essere consapevol­e, profonda, non si deve “cazzeggiar­e”, ma essere molto cosciente. E riuscire a valorizzar­e quello che conta: il produttore, il vino, l’idea e il territorio. Devi appassiona­re. Oggi, tanti giovani vogliono stappare le bottiglie, non perché fa figo mettere la storia su Instagram, ma perché gli piace vedere oltre: le persone che lavorano, che credono nel territorio, nelle produzioni piccole». Cosa bere in Liguria? «Difficile, ho troppi amici… Preferisco parlare delle zone, quelle meno conosciute, come il Tigullio, che ha una storia antica. Stiamo facendo un bel lavoro, cercando persone che vogliano essere custodi della terra. E ho iniziato un percorso con un paio di amici alle Cinque Terre, dove c’è uno dei Grand Cru, messo in pericolo dalle scelte scellerate del turismo. Ma resiste grazie a persone che lavorano duramente per tener su i terrazzame­nti. A Rio Maggiore c’è una giovane produttric­e che ha poco meno di un ettaro, se arriva a 10mila bottiglie ha fatto il miracolo… Sono luoghi per persone di alta tempra. Ma quando quell’uva diventa vino, cosa c’è di più bello?».

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