L’Unita

LUI, LA SORELLA, GLI ANNI 70

Gianluca Peciola, militante politico di sinistra ed ex ragazzino della Garbatella, ha scritto un romanzo che in realtà racconta la storia della sua famiglia. Quel tumulto politico ed esistenzia­le visto con gli occhi di un bambino

- Massimilia­no Smeriglio

Il romanzo di Gianluca Peciola (“La linea del Silenzio”. Storia di famiglia e di lotta armata”, Solferino) è romanzo coraggioso, senza veli e sovrastrut­ture, scarno, dritto al punto, capace di ridare valore alle parole nascoste, di svelare i non detti. Una scrittura che convince e accompagna dentro una storia importante.

Conosco Gianluca da una vita intera, abbiamo per lunghi anni militato nella medesima area politica. Poi ad un tratto, come succede spesso nella vita ci siamo allontanat­i, e poi di nuovo riavvicina­ti per affrontare la vicenda di un padre, Roberto Salis, alle prese con una ingiusta carcerazio­ne della figlia Ilaria. Riprendend­o a parlare, di un padre e di una figlia, ci siamo confessati che entrambi stavamo lavorando a storie che ci riguardava­no da vicino, relative ai nostri interni familiari, ai nostri padri fantasma.

Una casualità che sa di rendiconto, di messa a nudo, di storie minute che hanno incrociato la grande storia, dolori intimi e tragedie nazionali. Gianluca, con perizia e intensità, racconta la sua traiettori­a personale e politica. Lo fa utilizzand­o lo sguardo curioso di un bambino in pieno apprendist­ato, dentro una gerarchia familiare larga e confusa. Lo fa con ago e filo cercando di ricucire una mappa spendibile, dove regna la confusione circa i ruoli familiari: padre, cugina, sorella. Un lavoro di ricostruzi­one e decostruzi­one dello stigma della vergogna. “Nella mia cerchia parentale stretta qualcuno aveva deciso di sfidare ai massimi livelli lo Stato, rischiando­si a prendere le armi e sparare e uccidere”. Appicciand­o un fuoco che, tra furori di lotta armata, e piccole tragedie quotidiane, durerà una intera esistenza. Il contesto è quello di una famiglia popolana romana, insediata in una delle tante periferie della città. Periferie mosse dove tutto si tocca: dall’aristocraz­ia alla borghesia fino alle case delle classi proletarie. Una famiglia con codici linguistic­i che affondano nella dimensione più arcaica del novecento e che, come tante altre, nella seconda metà del secolo breve decide di appartener­e ad una grande storia, quella del movimento operaio e comunista italiano. Come fosse una chiesa capace di dispensare parole, identità, pene e assoluzion­i. Siamo direttamen­te dentro il fuoco degli anni settanta, un incendio che coinvolger­à direttamen­te i figli di questo mondo, fino a quel momento ordinato, in attesa del sol dell’avvenire. Un vero e proprio album di famiglia, di famiglia con i ricordi, i racconti addomestic­ati e le foto in bianco e nero. E di famiglia politica, quella variegata e conflittua­le della sinistra rivoluzion­aria italiana. Gli occhi del protagonis­ta bambino cercano intorno, e si posano spesso sulle assenze. Di un padre fantasma morto in condizioni e tempi non ben identifica­ti. Di una strana cugina piuttosto presente che poi nel corso della storia diventerà altro. Le cose normali, una gonna orientale molto colorata e una camicia bianca con richiami a fiori sulla scollatura, e l’indicibile che pian piano si afferma. Nonostante lo sforzo di mantenere l’attenzione sugli interni, i pranzi, le cene, le perle di saggezza popolare dei parenti, l’attenzione pruriginos­a sulle amicizie di Laura. La cugina a tempo determinat­o. La linea del silenzio è un viaggio nella omertà più profonda, nei legami ancestrali capaci di mantenere fede a patti e segreti. Ma anche legami affettivi, solidali, forti, governati da un matriarcat­o di fatto. La storia ci consegna almeno un paio di colpi di scena ben architetta­ti dall’autore e dalla vita. La identifica­zione di un volto di padre, inteso come zio per molto tempo, la riconcilia­zione con una sorella contrasseg­nata da un altro cognome. La cugina sorella alle prese con la stagione più cruenta della lotta armata in Italia. Rapimento e gestione di Aldo Moro compresa. Compreso il sangue, le vittime, i sommersi, i carnefici, i sopravviss­uti.

Una lunga scia di eventi che farà incrociare la storia familiare con la grande storia nazionale. Dalla latitanza, alle azioni delle Brigate rosse, all’arresto di Laura, alla lunga stagione della carcerazio­ne, dal carcere speciale di Voghera passando per Latina fino a Rebibbia come fosse un cammino a ritroso, lento, inesorabil­e verso la riconcilia­zione. Gianluca cresce con questo ingombro, anzi con due, e pian piano per approssima­zioni e sportellat­e trova il suo posto nel mondo. Un posto nella militanza più estrema, distinto, separato e opposto alle scelte della propria famiglia e della sorella ritrovata, eppure così intimament­e dentro la storia dei comunismi variamente intesi. E utilizzerà per contrasto questa nuova appartenen­za per misurare vicinanze e distanze dalla condizione familiare di partenza e dai colloqui in carcere con Laura. Vincendo pian piano la consegna al silenzio. Dopo essere venuto a capo anche dell’enigma maggiore, quello relativo al profilo del padre.

“Tuo padre è zio Giorgio” disse

“ti dispiace?”

“no“le risposi

“Mia madre, l’espression­e stanca mi sorrise. Dall’altra parte del marciapied­e trovai un padre, un fratello e una sorella. Insieme all’impossibil­ità di dirli”.

Ad un certo punto le storie si mischiano tutte, quella grande, quella piccola, quella lunga del novecento, quella corta degli anni 70/80, quella familiare e quella nazionale. Un gran caos che ha smosso violenteme­nte l’anima del protagonis­ta. E c’è anche un’altra storia, quella dei dialoghi dietro le sbarre, omissivi e ruvidi all’inizio, violenti nel mentre si configurav­a l’idealità militante di Gianluca, fino ai respiri, alle carezze e ai sorrisi di un lungo lunghissim­o viaggio verso il ritorno alle relazioni vitali che contano. Un giacimento emotivo riscoperto giorno dopo giorno.

Una storia di classe, un romanzo che appartiene e rivendica la storia dei vinti, disseppell­isce e riconsegna la sua straordina­ria volontà di cambiare l’ordine delle cose. E persino degli affetti. E Gianluca si mette lì, nel mezzo, dove il personale e il politico si toccano. Osserva, racconta, mette in piedi la sua traiettori­a di liberazion­e e consapevol­ezza. Prendendos­i tutte le pagine e tutto il tempo che serve.

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Gianluca Peciola
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Laura Braghetti
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Strage di via Fani
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