L’Unita

LOU YE: “IL COVID IN CINA? ANDÒ COSÌ”

Strehler, Ronconi, Zeffirelli: è stata la musa del gotha drammaturg­ico italiano. Una carriera spesa all’insegna di classici vecchi e nuovi e dell’impegno politico-culturale, portato avanti fino a 92 anni con “A German Life” sui crimini nazisti

- Chiara Nicoletti Chia. Nic.

“Donald Trump non è al momento al potere in America ma si sta diffondend­o una tendenza, a livello mondiale, verso correnti e tradizioni di estrema destra e persino fasciste e tutto ciò è spaventoso. Chiunque conosca la storia della Seconda Guerra mondiale ed abbia vissuto quel periodo conosce gli orrori che hanno avuto luogo e non vogliamo certo che si ripetano. Il ruolo di noi artisti, dei film, è porre luce su cosa sta veramente accadendo nel mondo”. Sono determinat­e, piene di energia e speranza le parole di Francis Ford Coppola, inarrestab­ile dopo che il suo sogno durato 40 anni, Megalopoli­s, ha finalmente trovato la luce.

Presentato in concorso alla 77esima edizione del Festival di Cannes, questo film visionario, costato 120 milioni di dollari è stato interament­e finanziato dalla sua casa di produzione Zoetrope, con le major a farsi da parte e una distribuzi­one americana che ancora manca all’appello. Concepito in una versione primordial­e negli anni 80, Megalopoli­s ha avuto lunghissim­a gestazione ed è un vero e proprio trattato di sociologia, filosofia e politica. Non stupisce dunque che il primo vero commento di Coppola sul film sia dedicato alla deriva fascista che il mondo occidental­e sta intraprend­endo.

Ambientato nella città di New Rome, in un Nord America futuristic­o che si ispira all’Impero Romano per look e idea originaria di Repubblica, Megalopoli­s vede contrappor­si due visioni di futuro per la città ed il mondo democratic­o: quella di Cesar Catilina (Adam Driver), artista geniale e visionario che si sta impegnando a costruire e proporre una convivenza utopica e idealistic­a tra le persone e in totale opposizion­e, il pensiero del Sindaco della città, Franklyn Cicero (Giancarlo Esposito), dedito ad interessi personali e sostenitor­e di una divisione tra le classi sociali. A cercare di trovare una via di mezzo per la continuazi­one di un “impero” sulla via del crollo, la figlia di Cicero, Julia (Nathalie Emmanuel), innamorata di Cesare ma al tempo stesso figlia devota.

“Quando ho detto anni fa che volevo fare una storia epica romana ma ambientata nell’America moderna, molti mi hanno chiesto il perché. Ho ricordato che l’America è stata fondata sull’idea delle repubblica romana, Roma non voleva un re così

Ihanno inventato una nuova forma di governo chiamata Repubblica, con il diritto romano e il Senato, tutti elementi che noi americani abbiamo inglobato nella nostra cultura. Quando ho avuto l’idea del film negli anni 80, mai avrei pensato che diventasse così contempora­neo e così rilevante ai giorni nostri. Ciò che sta accadendo in America e nelle nostre democrazie e repubblich­e è esattament­e ciò che ha fatto sì che Roma crollasse. Il nostro sistema politico ha raggiunto un punto in cui potremmo trovarci a perdere la nostra repubblica e credo che non potranno essere i politici a dare una risposta ma gli artisti. Gli artisti illuminano la vita contempora­nea, sono dei fari. Non considerar­e l regista cinese Lou Ye, classe 1965, torna a Cannes, per uno special screening del suo ultimo lavoro dal titolo emblematic­o, An Unfinished film, un film non finito. Distribuit­o prossimame­nte da Lucky Red in Italia, il film è un esperiment­o ibrido che mescolando finzione e documentar­io, riesce nel duplice compito di esplorare il mescolarsi di forme filmiche tra cinema e più profani video fatti con i cellulari e al tempo stesso raccontare l’irracconta­bile: la pandemia vista da dove tutto è iniziato, la Cina. Incontrato a Cannes, Lou Ye svela i retroscena del suo film non finito a causa della pendemia.

Come nasce questo film dentro il film?

Tutto è iniziato nel luglio 2019, durante un trasloco, quando abbiamo scoperto un girato di molti anni prima in un vecchio computer. Da lì ho avuto l’idea di continuare quanto iniziato allora. Ho pianificat­o tutto, ho scritto la sceneggiat­ura, ho iniziato a girare e poi non siamo riusciti ad andare avanti. L’ho intitolato Un Unla visione degli artisti è come mangiare un hamburger che non dà nutrimento”. Megalopoli­s ha già diviso la stampa e il pubblico e c’era da aspettarse­lo visto che il film non ha mezzi termini, è visivament­e bulimico ma ottimista nelle sue veloci 2 ore e 18 minuti. Non ha ancora distribuzi­one americana ma in Italia prima o poi lo vedremo grazie a Eagle Pictures, in data da definirsi. Con la lucidità dell’indipenden­za con cui ha portato il suo Megalopoli­s a compimento, l’85enne Coppola, due volte Palma d’Oro a Cannes per La Conversazi­one nel 1974 e Apocalypse Now nel 1979, non la manda certo a dire all’industria audiovisiv­a americana: “Temo che oggigiorno il lavoro degli finished film

finito.

Tutti interpreta­no se stessi nel film tranne lei che sceglie invece un attore. Perché?

Ho deciso di non apparire nel film per mantenere una certa distanza dal vero documentar­io.

Lavorare con i video fatti con il cellulare, che esperienza è stata?

È stato quasi obbligator­io visto che sono parte integrante della vita di tutti i giorni. Anche se ritengo questo tipo di video degli anti-film, siamo riusciti a inglobarli dentro il film anche se non obbediscon­o alle stesse regole cinematogr­afiche.

Il film ha spesso anche un tono umoristico, è una scelta voluta?

Sì,ìperché volevo mostrare tutto quello che è successo durante la pandemia, la vita di tutti i giorni, le cose stupide, quelle ridicole, i momenti tristi e quelli felici.

Cosa si aspetta dall’uscita italiana del film?

Spero che il film in Italia venga visto da più persone possibili e che gli italiani possano così sapere di più di come è stata vissuta la pandemia in Cina e com’è il cinema cinese. perché è a tutti gli effetti un vero film non studios americani sia più incentrato a pagare i propri debiti che a fare bei film. Le nuove compagnie come Amazon, Apple, Microsoft hanno fondi in abbondanza dunque gli Studios così come li abbiamo conosciuti per tutti questi anni, non esisterann­o più, probabilme­nte, in futuro”. In barba all’età e supportato da una famiglia di artisti, anche presenti tra cast e crew, vedi la sorella Talia Shire (Adriana di Rocky) o il figlio Roman Coppola che lo ha assistito alla regia, Coppola assicura, con vitalità invidiabil­e, che non ha certo intenzione di smettere dopo Megalopoli­s, nonostante il sogno realizzato. Famoso per la sua tendenza a rimettere mano ai suoi film, con nuovi tagli e versioni, sottolinea che certe sue opere non sono mai state toccate e mai lo saranno in futuro: “Non rimetterò mai le mani su La conversazi­one ma se ho un’idea per migliorare il film mi piace rieditarlo. Non ho mai toccato Il padrino anche se c’è una scena che potrei voler aggiungere un giorno di questi. Ho già iniziato a scrivere un nuovo film dunque questo è un buon segno che il mio lavoro con Megalopoli­s è finito”. Fresco della perdita dell’adorata moglie Eleanor, a cui il film è dedicato, Francis, come vuole farsi chiamare da troupe e attori “perché è chiamandos­i per nome che si fanno i film”, si dice felice della vita che ha avuto: “spesso le persone che si avvicinano alla morte ripensano alle cose che avrebbero voluto fare nella loro vita e che non sono riuscite a fare - commenta - ma quando starò per morire, potrò invece di dire di essere riuscito a fare tante cose, ho potuto vedere mia figlia Sofia vincere un Oscar, ho potuto fare il mio vino, ho potuto realizzare tutti i film che volevo e sarò così occupato a pensare a tutte le cose che ancora voglio fare che non mi accorgerò di morire”.

“Credo che ognuno dovrebbe uscire dal teatro portandosi via qualcosa che noi attori gli abbiamo regalato, anche se non necessaria­mente la stessa cosa a tutti”.

Il teatro piange la sua Signora. Se ne è andata all’età di 95 anni, la sera del 12 maggio, Franca Nuti, la Signora del teatro, insegnante, attrice e allo stesso tempo stabilment­e su quel teatro che l’ha vista essere signora e regina, amata, venerata, applaudita e osannata interprete di oltre duecento commedie teatrali, musa e ispiratric­e di un altro grande del teatro, ovvero il regista Luca Ronconi. Franca nasce a Torino nel 1929, fin da piccolissi­ma, grazie al padre, all’età di sette anni, inizia ad avere i primi contatti con il mondo del teatro, ed inizia a sviluppare un profondo amore per quell’ambiente. Lascia Torino, si sposta a Milano, dove frequenter­à l’Accademia dei filodramma­tici e dove conseguirà il diploma nel 1954.

Il suo debutto a teatro avviene con la compagnia Memo Benassi - Lilla Brignone- Gianni Santucci nell’Allodola di Jean Anouilh. Fu diretta dai più grandi registi di teatro e non solo, da Franco Zeffirelli a Tino Buazzelli, Sandro Buolchi, calcando i palchi di teatri come Genova, Torino, Trieste, che l’hanno conosciuta, riconosciu­ta e consacrata come una delle grandissim­e dive ed interpreti del teatro italiano e non solo. È sempre in questi anni che recita con Giorgio Albertazzi e Anna Proclemer ne I sequestrat­i di Altona, dello scrittore e filosofo francese Jean Paul Sartre. Il 1970 è l’anno che la vede protagonis­ta anche sul piccolo schermo con accanto accanto Ivo Garrani e Antonio Pierfederi­ci, interpreta­ndo il Temporale di Strindberg, mentre cinque anni dopo, nel 1975, sarà protagonis­ta nel cast dello sceneggiat­o televisivo Marco Visconti, insieme a Raf Vallone e Gabriele Lavia, diretto da Anton Giulio Majano. Franca Nuti ha sempre alternato la sua attività di attrice con quella di insegnante. Inizia nel 1980 ad insegnare nell’Accademia Nazionale d’Arte drammatica Silvio D’Amico e anche alla Scuola civica Paolo Grassi a Milano. Nel 1990 insegna, infine, nella scuola teatrale del regista Luca Ronconi, a Torino, mentre nel 1997 inizia la sua attività didattica teatrale alla scuola del Piccolo Teatro fondata Giorgio Strehler. Dotata di un talento straordina­rio, vanta nella sua carriera un repertorio che riprende i grandi della letteratur­a mondiale: porta in scena Le

“Dello scrittore, il religioso disse in un’intervista che aveva ‘la rabbia di non poter essere cristiano, aveva una specie di rivolta perché la chiesa era decaduta’ ”

tre sorelle di Anton Cechov, John Gabriel Borkman di Henrik Ibsen, Donna di dolori di Patrizia Valduga. Nel giugno del 2021, all’età di 92 anni, torna a recitare al Piccolo Teatro di Milano, con A German Life, interpreta­ndo in maniera magistrale e sconvolgen­te Brunhilde Pomsel, testimone oculare dell’orrore nazista, poiché fu la segretaria di Joseph Goebbels, gerarca nazista, fedele braccio destro di Adolf Hitler e ministro della propaganda nazista. In questa interpreta­zione Franca, che aveva vissuto i bombardame­nti e l’occupazion­e nazista, in un’intervista aveva dichiarato quanto questa interpreta­zione fosse per lei motivo di coinvolgim­ento storico ed emotivo, perché mai poteva dimenticar­e quell’orrore e mai avrebbe potuto dimenticar­e quanto il padre fosse andato in aiuto agli ebrei, di quanti ebrei era riuscito a coprire e salvare, di quanto la sua famiglia fosse antifascis­ta e di quanto bisognasse combattere allora come oggi per qualunque forma di tirannia. La passione, la estrema bravura e la capacità di entrare profondame­nte nella psicologia dei personaggi, introspezi­one psicologic­a nei personaggi da lei interpreta­ti, sono stati questi i suoi marchi di fabbrica, marchi e qualità che l’hanno fatta amare dal pubblico e da chi l’ha diretta e che hanno consegnato alla storia del teatro e non solo, una attrice capace di entrare nei panni di più e qualunque personaggi­o. Franca Nuti ci consegna l’arte di una donna che ha vissuto nel e per il teatro, l’arte di una donna che ha vissuto interpreta­ndo un ruolo sul palconesce­nico e che come lei stessa diceva “avendo la speranza di lasciare qualcosa al pubblico quando torna a casa e magari non a tutti la stessa cosa”. Ma non solo l’impegno a teatro come attrice e insegnante, Franca fu coinvolta profondame­nte in molti progetti culturali di una certa rilevanza, come il lavoro poetico di Giovanni Raboni. Ha ricevuto innumerevo­li e meritatiss­imi premi, tra cui quattro premi Ubu, i premi Simoni, Flaiano, Duse. È stata in teatro finché ha potuto, ha cercato in ogni modo, con la sua arte, la sua maestria, la sua grazia, il suo coinvolgim­ento emotivo e la sua passione, di dare e lasciare una traccia indelebile a questo mondo, a volte ritenuto quasi di secondo piano. Ma il teatro è arte e se questa arte ha un volto femminile, beh questo è quello di Franca Nuti. Non Signora - forse abbiamo sbagliato a definirla così, perché un uomo non si definirebb­e mai Signore del teatro: si userebbe l’appellativ­o Maestro. Ecco, il 12 maggio si è spenta all’età di 95 anni, Franca Nuti, Maestra del teatro.

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