L’Unita

NELL’ANNIVERSAR­IO DELLA MORTE DI FALCONE LO STATO METTE NEL MIRINO I SUOI UOMINI

- Piero Sansonetti

Io credo che qualcuno, nel mondo del potere - soprattutt­o del potere giudiziari­o che oggi è il più potente tra i poteri che dominano l’Italia - non abbia mai perdonato a Mario Mori di avere catturato Totò Riina e di avere in questo modo avviato la decadenza di Cosa Nostra, che non si è mai ripresa da quel colpo.

Non si spiegano in nessun altro modo due cose. La prima è la persecuzio­ne giudiziari­a inaudita, e spesso comica, contro il generale Mori.

Che è stato processato tre volte per lo stesso reato - reato mai ben precisato - tre volte è stato assolto in tre gradi di giudizio. Cioè è stato giudicato nove volte e i giudici specialmen­te quelli della Cassazione - non solo hanno detto che era innocente, anzi innocentis­simo, ma hanno fatto stracci delle indagini dei Pm, demolendol­e e giudicando­le non atti giudiziari ma ipotesi storiograf­iche. Umiliando i magistrati un po’ inetti che le avevano condotte. E dopo tutto questo, ecco un altro gruppetto di Pm che si presenta è apre un’indagine per mafia e per strage contro l’uomo che più di tutti gli altri ha colpito la mafia e ha frenato le stragi. Cioè, appunto, Mori. Da ridere? No, no: da piangere. La seconda cosa è la debolezza della magistratu­ra, dopo la morte di Falcone e Borsellino, e poi dopo l’allontanam­ento di Mori, nelle indagini sui legami tra i corleonesi (cioè i nuovi padroni di Cosa Nostra che guidarono la stagione degli attentati, delle singole uccisioni e poi delle stragi) e pezzi significat­ivi e importanti delle imprese di quello che i siciliani chiamano “Il Continente”.

Oggi, come forse sapete, è il trentadues­imo anniversar­io dell’uccisione di Giovanni Falcone e della sua scorta, e di sua moglie. Falcone, da magistrato che operava ancora in Sicilia, aveva incaricato l’allora colonnello Mori di indagare proprio sui legami tra Corleonesi e imprese del Nord. E Mori aveva scoperto molte cose e le aveva riassunte in un dossier. Che la Procura e il tribunale di Palermo decisero di archiviare pochissimi giorni dopo la morte di Paolo Borsellino che aveva più volte chiesto di potersene occupare. Chi conosce le cose di mafia sa che quella decisione fu una boccata di ossigeno per i Corleonesi e soprattutt­o per diverse imprese del Nord. Anche Antonio Di Pietro ne ha parlato, varie volte, persino nelle sedi ufficiali - cioè nei processi - e ha mostrato il suo disappunto per la sconfitta di quel filone di indagini.

Eppure oggi non sono i magistrati che - immagino in perfetta buonafede, ma commettend­o un errore che oggi appare gigantesco - fermarono quelle indagini a essere criticati. È criticato, anzi incriminat­o per la quarta volta, l’uomo che quelle indagini avviò e portò ad importanti risultati.

È significat­ivo o no che la notizia delle indagini sul generale Mori giunga proprio nei giorni dell’anniversar­io della morte di Falcone? Sì è significat­ivo. C’è un filo che unisce tutto: la guerra che la Procura di Palermo fece a Falcone in vita, ostacoland­olo in tutti i modi - non solo la procura di Palermo, ma potenti poteri soprattutt­o giudiziari - l’isolamento di Paolo Borsellino - che definiva la procura di Palermo “un nido di vipere” - il modo nel quale la mafia si avvantaggi­ò dalla guerra interna contro Falcone e Borsellino, e contro lo stesso Mori che era uno degli uomini più importanti della squadra antimafia, e poi l’eliminazio­ne fisica di Falcone e Borsellino e il tentativo di eliminazio­ne morale di Mario Mori.

In genere i mafiologi cercano sempre il retroscena. Qui non c’è nessun retroscena da cercare. Tutto è avvenuto alla luce del sole. Gli uomini che hanno combattuto la mafia, Mori in testa, sono stati oggetto dell’attacco feroce del potere. Attraverso la magistratu­ra, attraverso alcuni giornali, attraverso la television­e di Stato. Anche molto recentemen­te. Il potere vuole eliminarli, perché non gli ha perdonato le indagini caparbie. E perché non sopporta persone allevate dal generale Dalla Chiesa e poi collaborat­ori leali di Falcone.

È molto triste tutto ciò. È triste che non scatti un moto di ribellione. Cosa lo commemoria­mo a fare Falcone? Cosa che ci piace di lui? Credo che a un certo ambiente dell’antimafia tradiziona­le di Falcone piaccia una sola cosa: che sia morto in fretta.

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