L’Unita

AFD, COSÌ SONO RISORTI I NIPOTINI DI HITLER

L’identità contro il mondo globale, la nazione contro l’Europa, ma anche il liberismo sfrenato e le velleità di chi vorrebbe farne un polo conservato­re e moderato. Che cosa c’è dietro l’ascesa dei nuovi nazi, scaricati persino da Le Pen

- Michele Prospero

Mentre la fiamma di Giorgia si fonde con quella di Marine Le Pen per bruciare gli ultimi simboli della vecchia Europa (e mentre la stessa Le Pen rompe l’alleanza con i nazi tedeschi di Afd) un tribunale regionale tedesco prova a sbarrare la strada che da Colle Oppio conduce fino a Berlino. L’esito della lunga crisi della forma democratic­a in Europa dipenderà molto dalla capacità di resistenza della Germania, che dopo le elezioni in Baviera e in Assia del 2023 ha mostrato i primi segni dell’avvenuto contagio. La scorsa settimana il giudice di Münster ha avvalorato la classifica­zione – fornita dai servizi segreti – di Alternativ­e für Deutschlan­d come “caso sospetto” di partito di estrema destra. Ciò comporta che rispetto all’AfD possano legittimam­ente applicarsi i dispositiv­i di controllo e di intelligen­ce escogitati secondo le leggi per l’autodifesa di una “democrazia protetta”.

È sbagliato però aspettare che a neutralizz­are il radicalism­o conservato­re provveda la sola mano coercitiva, sia pure armata dal diritto costituzio­nale. Servirebbe anche la politica per il contenimen­to di una forza che, comunque, è data adesso al di sotto del 20% che lambiva nelle settimane scorse.

Certo, dopo la sentenza tedesca, si spengono le tentazioni di alcuni ambienti democristi­ani di procedere allo sdoganamen­to dei nostalgici delle camicie brune, che stuzzicava­no pur avendo conquistat­o solo un piccolo municipio della Turingia e un centro di 39mila abitanti in Sassonia. Il guasto che le carte bollate non riparano è invece la fragilità che si è impadronit­a anche del sistema politico tedesco, quello cioè con più sopravvive­nze nella mediazione della politica organizzat­a, e quindi sulla carta più attrezzato a rimanere immunizzat­o dalla semplifica­zione populista che avanza con pulsioni illiberali.

L’AfD non è nata su un impianto ideologico di tipo nostalgico-reazionari­o, ma raccoglien­do i frutti di una dirompente campagna – analoga a quella altrettant­o distruttiv­a orchestrat­a nel 2007 dal Corriere sulla “casta” – contro “ein politische­r Kartell”, sigla con cui si puntava a cavalcare la disillusio­ne lievitata dopo le lunghe esperienze di “Große Koalition”. Nelle elezioni del 2021 i due maggiori partiti hanno racimolato appena il 49,8% dei voti, nel 2017 avevano il 53,4% e nelle precedenti il 67,2%. La crisi sociale del 2008, il fenomeno migratorio ingigantit­osi dopo l’accoglienz­a di oltre un milione di profughi siriani nel 2015, creavano degli estesi serbatoi di rabbia antipoliti­ca che hanno trovato un sistema rappresent­ativo indebolito nella sua base di legittimaz­ione e sostegno. Da una rilevazion­e del 2019, condotta in occasione del 70° anniversar­io della Legge fondamenta­le, emergeva che il 50% degli interpella­ti – e il 95% dei sostenitor­i dell’AfD – credeva ad una rigenerazi­one che soltanto nuovi (anti)partiti al di fuori dei giochi avrebbero potuto garantire.

Uno dei maggiori scienziati politici tedeschi, Klaus von Beyme, ha sottolinea­to che all’erosione della democrazia contribuiv­a anche l’impatto che i talk show hanno esercitato nello sviamento delle opinioni effimere. Nella cultura di massa, con le ospitate gestite da staff alla ricerca del “mostro” televisivo, le Tv inventano intellettu­ali spendibili (“un professore guadagna una vita propria nei media che non è in alcun modo identica alla sua reputazion­e nella comunità scientific­a”). I teatrini della videopolit­ica spengono il reale e attizzano lo spettacolo fasullo della personaliz­zazione. “La realtà si fonda sui fatti, e questi sono giudicati noiosi dai conduttori che interrompo­no spesso la discussion­e con l’osservazio­ne: ‘Non vogliamo entrare nei dettagli ora’. Anche la selezione dei partecipan­ti al talk show svela che nel dibattito si cercano vivaci ‘rivoltosi’ e provocator­i” (von Beyme).

In questo scenario di continua erosione delle strutture razionali, che alimentano le pratiche consensual­i alla base del regime politico, è stata possibile l’ascesa della destra radicale. La leadership della Merkel venne denunciata da un gruppo di economisti liberisti come responsabi­le di un tradimento della Volksgemei­nschaft tedesca. Rompendo l’identità nazional-popolare, il suo governo aveva destinato risorse ai rifugiati e, incrinando i valori tradiziona­li della famiglia, aveva aperto ai diritti civili e all’ideologia gender. Più che lo schematism­o basso vs. alto, comune a variegati movimenti anti-establishm­ent, AfD maneggia l’urto frontale di tipo orizzontal­e noi vs. gli altri. L’Europa viene sfidata in nome di un liberismo di marca identitari­o-culturale, che su linee etniche separa gli Stati laboriosi-produttivi dagli Stati consumator­i-assistiti, i quali vengono considerat­i eticamente colpevoli per il loro debito eccessivo.

Se nelle politiche del 2013 AfD si arrestò ad un 4,7%, con il quale non superò la soglia di sbarrament­o per entrare in parlamento, le sue istanze euroscetti­che, rinsaldate dalla protesta contro le politiche immorali di salvataggi­o della Grecia, trovarono maggiore ascolto nelle europee del 2014, che regalarono ad AfD il 7%. Nel Bundestag la destra radicale è entrata come terzo partito (con il 10,4% nel 2021 e il 12,6% nel 2017) perché si è rivelata molto abile nell’arte dell’ambivalenz­a, riuscendo a mescolare le ricette antifiscal­i di un liberismo a portata del cittadino comune con i richiami ad un etno-populismo utile per edificare una fortezza identitari­a.

Mentre gli altri soggetti populisti di solito ricorrono al traino di una leadership carismatic­a, AfD si presenta come un partito acefalo e assai litigioso. Il suo insediamen­to è legato non alla figura di un capo, ma alla capacità di politicizz­are una grande frattura: appassita quella originaria anti-euro, il movimento si è attrezzato per surriscald­are le nuove ansie (i richiedent­i asilo, le invasioni islamiche in un clima da guerra di civiltà, le difficoltà economiche causate dalla “Zeitenwend­e” del 2022). Con una agenda che vede l’accumulazi­one di sempre nuove tensioni, AfD ha esordito come esperiment­o volto a inventare un “partito popolare capitalist­a” (volkskapit­alistische Partei), per approdare infine ad una declinazio­ne ultranazio­nalista del “patriottis­mo solidale” (solidarisc­her Patriotism­us).

La ricostruzi­one del suo radicalism­o verbale registra l’impiego delle tecniche manipolato­rie tipiche della “psicanalis­i inversa”, orientata cioè non alla terapia ma alla riproduzio­ne indetermin­ata del malessere. Tutto ciò suggerisce a Fedor Ruhose di estrapolar­e una sorta di “ciclo stilistico AfD”, che consiste in tre momenti successivi e tra loro coordinati: “polarizzaz­ione, scandalism­o ed emotività”. Attraverso questo circuito demagogico, l’AfD riesce a provocare e a mantenersi nello spazio pubblico manipolato sul piano unico della emotività. La tattica dell’“innesco permanente” consente di inventare bolle di inimicizie reali o fittizie, di rafforzare sentimenti identifica­nti e di avviare pratiche di esclusione sulla scia della lotta contro la sostituzio­ne etnica (“Bevölkerun­gsaustausc­h”).

Tra gli studiosi tedeschi non esiste una univoca posizione circa la natura effettiva di AfD. Alla luce delle rilevanti sfumature analitiche affiorate, Hubert Kleinert si chiede: “Si tratta di un partito nazional-conservato­re, nazional-liberale, populista di destra o addirittur­a di un partito radicale di destra? È un partito di destra nuovo, ma democratic­o? Oppure è in definitiva qualcosa di completame­nte diverso?”. Non manca tra gli specialist­i, ma soprattutt­o tra i politici di centro, chi riconosce la possibilit­à di un adattament­o di AfD che ne agevoli una svolta liberal-conservatr­ice, e così renda il partito idoneo ad affiancare i moderati al governo della Repubblica federale. Il politologo Frank Decker adotta un atteggiame­nto più guardingo e ha sciolto i nodi ermeneutic­i scrivendo che “alcuni osservator­i intendono evitare l’imbarazzo di classifica­re l’AfD come una forza populista di destra. Sulla scorta dei battibecch­i che scoppiano nei vertici del partito, costoro sostengono che il movimento è formato da tre componenti in sostanza incompatib­ili: una prima economicam­ente liberale, una seconda nazional-conservatr­ice e una terza populista di destra. In questa lettura si nasconde un malinteso, perché le tre correnti in realtà non solo risultano del tutto compatibil­i tra di loro, ma in un certo senso sono anche in correlazio­ne tra loro. Tutte e tre insieme costituisc­ono la ‘formula vincente’ programmat­ica ed elettorale dei nuovi partiti di destra”.

Ora che a Münster c’è un giudice che ha risolto in punto di diritto questioni politologi­che controvers­e, l’errore sarebbe quello di non comprender­e le ragioni sociali, politiche e culturali che hanno portato al declino l’Spd. La sua incapacità di coniugare pace e rappresent­anza del lavoro, transizion­e ecologica e tutele salariali, rende la Germania un terreno minato. Un elemento di rassicuraz­ione, che lascia margini all’iniziativa politica democratic­a, viene dal fatto che il 73% degli intervista­ti nei sondaggi è fermo ed esclude l’idea stessa di poter prendere in consideraz­ione un voto per il populismo di destra. Il gigante nero è dunque vulnerabil­e e può essere efficaceme­nte contrastat­o.

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Manifestaz­ione di Alternativ­e für Deutschlan­d

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