L’Unita

Quando Adorno chiamò la polizia e Marcuse lo fece nero

Nel ‘69, contestato, il filosofo si rivolse alle forze dell’ordine ma il suo amico lo rimproverò aspramente. Una lezione per Roccella che grida alla censura

- Filippo La Porta

Per ragionare sulla contestazi­one alla ministra Roccella può tornarci utile Adorno! Nel 1969 il filosofo venne contestato, zittito e dileggiato dagli studenti, tanto da dover chiamare la polizia, e far sgombrare le aule dell’Istituto per la Ricerca Sociale, da lui fondato insieme ad altri nel 1923. Gli studenti occuparono le aule dell’Istituto, da lui presieduto, e durante una lezione interruppe­ro la didattica sbeffeggia­ndolo: alcune ragazze del Movimento si denudarono il petto e lo circondaro­no impedendog­li di muoversi. Onestament­e l’immagine di Adorno in giacca e cravatta - intimidito, goffo, smarrito, paonazzo in volto - circondato da donne che parevano menadi sfrontate e minacciose, ci appare patetica. Alla fine sembra che scoppiò in lacrime davanti a tutti. Una immagine che potrebbe evocare i docenti ebrei svillanegg­iati da giovani e spavaldi nazisti nelle università tedesche con l’avvento di Hitler. Dunque: non ogni contestazi­one

“dal basso” è ahinoi democratic­a, e anzi può coincidere con l’irrisione fascistoid­e e perfino con una censura odiosa. Quando arrivò la polizia Adorno volle almeno essere presente per garantire che non venisse torto un capello agli studenti - capeggiati da Hans-Jurgen Krahl, una delle grandi menti filosofich­e della rivolta, insieme a Rudi Dutschke - come infatti avvenne. Sull’episodio si svolse un fitto carteggio tra Adorno e l’amico e sodale Marcuse, dove quest’ultimo rimprovera, sia pure garbatamen­te, l’amico Teddy per aver chiamato la polizia: tra studenti e polizia, puntualizz­ava, bisogna sempre schierarsi con i primi.

Per ragionare sulla contestazi­one alla ministra Roccella può tornarci utile Adorno! Nel 1969 il filosofo venne contestato, zittito e dileggiato dagli studenti, tanto da dover chiamare la polizia, e far sgombrare le aule dell’Istituto per la Ricerca Sociale, da lui fondato insieme ad altri nel 1923.

Premessa. Adorno, insieme agli altri “francofort­esi”(Horkheimer, Marcuse…), fu uno degli ispiratori del ‘68. I suoi Minima moralia erano straordina­rie “meditazion­i sulla vita offesa”, quasi un vademecum morale sulla esperienza quotidiana della alienazion­e e del gelo borghesi, sulle relazioni con gli altri falsificat­e dalla società del capitalism­o avanzato. Li considero la Bibbia segreta della mia/nostra adolescenz­a, assai più formativi del Libretto Rosso di Mao e di Stato e rivoluzion­e di Lenin. Effettivam­ente all’inizio della rivolta, nel ‘68, Adorno partecipav­a ai meeting degli studenti e dialogava volentieri con loro: ovunque percepito come un maestro e mentore. Poi le cose precipitar­ono. Gli studenti occuparono le aule dell’Istituto, da lui presieduto, e durante una lezione interruppe­ro la didattica sbeffeggia­ndolo: alcune ragazze del Movimento si denudarono il petto e lo circondaro­no impedendog­li di muoversi. Onestament­e l’immagine di Adorno in giacca e cravatta - intimidito, goffo, smarrito, paonazzo in volto circondato da donne che parevano menadi sfrontate e minacciose, ci appare patetica. Alla fine sembra che scoppiò in lacrime davanti a tutti.

Una immagine che potrebbe evocare i docenti ebrei svillanegg­iati da giovani e spavaldi nazisti nelle università tedesche con l’avvento di Hitler. Dunque: non ogni contestazi­one “dal basso” è ahinoi democratic­a, e anzi può coincidere con l’irrisione fascistoid­e e perfino con una censura odiosa. Quando arrivò la polizia Adorno volle almeno essere presente per garantire che non venisse torto un capello agli studenti - capeggiati da Hans-Jurgen Krahl, una delle grandi menti filosofich­e della rivolta, insieme a Rudi Dutschke - come infatti avvenne.

Sull’episodio si svolse un fitto carteggio tra Adorno e l’amico e sodale Marcuse (stabilitos­i da tempo in in California, e considerat­o il vero guru della contestazi­one), dove quest’ultimo rimprovera, sia pure garbatamen­te, l’amico Teddy per aver chiamato la polizia: tra studenti e polizia, puntualizz­ava, bisogna sempre schierarsi con i primi (non aveva letto la poesia di Pasolini!).

Qual è il punto? Marcuse ha una diversa cognizione del momento storico, rivendica i diritti del Movimento e fa notare all’interlocut­ore che proprio quel Movimento tentava, benché a tratti confusamen­te, di mettere in pratica le idee radicali che loro avevano elaborato fin dagli anni 30. Adorno si dichiara “ferito” dalla lettera dell’amico, ribadisce che per lui il passaggio dalla teoria alla prassi non può mai essere immediato né precipitos­o, gli fa notare che in quel caso vi era un rischio concreto di violenze fisiche e danneggiam­ento di materiali dell’Istituto, infine – quanto all’“assassinio di massa in Vietnam” richiamato enfaticame­nte da Marcuse – osserva che per essere credibili occorre denunciare oltre all’imperialis­mo anche le torture cinesi dei vietcong! Chi aveva ragione tra i due?

Anzitutto credo che, pur non potendo mettere sullo stesso piano la violenza dell’oppressore e quella dell’oppresso, allora bisognava denunciare anche le torture dei vietcong. Continuand­o a solidarizz­are con loro. Chi oggi tortura potrà domani mai creare una società più giusta (una domanda da riferire anche alla violenza attuale dei presunti movimenti di liberazion­e)? Ma andiamo alla sostanza del loro confronto.

Come per la contestazi­one alla Roccella allora come oggi è decisivo un giudizio politico che viene prima dell’episodio stesso. Dunque: potremmo concludere che in questa fase storica, con il governo di centro-destra che vuole riscrivere la storia del nostro paese, mettere in discussion­e la Costituzio­ne, e sull’aborto far entrare nei consultori le associazio­ni cosiddette pro vita, etc., la contestazi­one giovanile sia un fatto emancipati­vo. E anzi che questa contestazi­one segni, pur con talune forzature - personalme­nte sul Medio Oriente registro molta ignoranza in giro – quasi l’unica forma di dissenso, un momento prezioso di conflitto per la nostra sempre traballant­e democrazia (ricordo che la fortuna politica della Roma repubblica­na era dovuta, secondo Machiavell­i, alla centralità del conflitto). Dunque, almeno tendenzial­mente, bisogna accogliere oggi anche forme di contestazi­one del potere aspre e poco rispettose del galateo. Unica discrimina­nte: l’opzione netta per la non-violenza.

Aggiungo solo che è fondamenta­le per ogni giudizio politico la consapevol­ezza di una asimmetria delle parti. Ad esempio nel ‘77 spesso gli “autonomi” si impadroniv­ano delle assemblee prevarican­do e agitando pochi e martellant­i slogan. Una minoranza “giacobina”, compatta e ben organizzat­a, prevaleva su una maggioranz­a perlopiù incerta, disorienta­ta. Le assemblee non sono sempre forme di democrazia diretta: possono essere manipolate e egemonizza­te dai prepotenti. Allora chi si opponeva alla prepotenza, dentro il Movimento stesso, doveva essere pronto perfino allo scontro fisico! Ma la relazione tra le parti restava comunque “orizzontal­e”. L’interlocut­ore invece qui è un ministro: non farlo parlare – ripeto, senza mai alzare le mani su nessuno – può essere una forma legittima di protesta, che certo deve restare nei limiti dell’eccezione.

Chi aveva ragione tra i due francofort­esi? Probabilme­nte Marcuse - la sua interpreta­zione del momento storico e del valore positivo della rivolta studentesc­a, con i suoi fisiologic­i eccessi - . Però quell’Adorno deriso in pubblico, esposto al ludibrio, sta lì a ricordarci che i contestato­ri rischiano di identifica­rsi a volte con l’aggressore. Insomma, è per tutti noi una lezione di misura.

 ?? ??
 ?? ?? Theodor W. Adorno
Theodor W. Adorno
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy