La Cucina Italiana

Viaggio – In Marocco

NELLE CUCINE DELLA «CITTÀ ROSSA» UNA NUOVA GRAZIA DÀ FORMA AI PIATTI DELLA TRADIZIONE BERBERA. MENTRE NEI GIARDINI SEGRETI DELLA MEDINA SI CREANO INSALATE CON GESTI DI DANZA. E IL DOLCE RITO DEL TÈ CONTINUA A FARE INNAMORARE I VIAGGIATOR­I

- TESTI LUCA TURNER, FOTOGRAFIE ROBERT HOLDEN

Magica Marrakech. Il mistero e la cucina di una città ricca di fascino

Mi sento subito ben accolto a Marrakech. Già dal primo saluto con cui mi danno il benvenuto: una stretta di mano, uno sguardo sincero e poi le dita che sfiorano il cuore. Un gesto che esprime molto di questa cultura che porta con sé ritualità arabe, berbere, francesi e spagnole. Così è la gastronomi­a, ricca, varia, colorata, con profumi e sapori tanto decisi quanto eleganti. Così è il territorio che li genera, in un ritmo incalzante che da nord a sud, dal Mediterran­eo alle sabbie del Sahara, riconduce a pietanze straordina­rie, a piatti che ricordano il passato di grandi civiltà. Intorno alla «città rossa», chiamata così perché le costruzion­i virano dall’ocra al vermiglio, ci sono pascoli, pecore, capre, palme, olivi, e alberi di agrumi a bordo strada che rendono il passaggio in auto a finestrini aperti un itinerario aromatico. Oltre le mura della medina (città vecchia, in arabo) si apre l’immenso palmeto con più di centomila alberi piantati dalla dinastia berbera degli Almoravidi in un terreno di più di 13.000 ettari.

Il mercato di sempre

Mi immergo alla scoperta degli ingredient­i locali nei mercati più importanti e conosciuti della città, che sono il cuore geografico e spirituale di Marrakech ma anche la sua anima commercial­e. L’epicentro è piazza Djemaa el Fna dove da sempre si tiene il mercato: qui si può acquistare tutto quello di immaginabi­le, e soprattutt­o di inimmagina­bile, che serve per imbandire la tavola marocchina: spezie, frutta fresca e secca, uova di gallina, di oca, ma anche di razza e di struzzo, animali vivi (camaleonti che giocano allegramen­te in gabbie con piccole tartarughe), formaggi, carni, bacche, radici di forme mai viste...

A poche centinaia di metri la piazza delle Spezie (l’antico mercato degli schiavi) è un teatro di colori e di scenografi­e perfette; fragranze lontane (incenso e mirra bruciati a ogni passaggio di turista) riempiono l’aria; mi emoziono in questo tripudio odoroso, palpabile come un

NOVEMBRE

– LA CUCINA ITALIANA sapore percepito senza averlo assaggiato. Un giovane mercante si avvicina, mi chiede di aprire la mano e mette al centro del palmo una scaglia di cristallo di menta e mentolo (lo ottengono congelando l’olio essenziale), pochi semi di cumino nero (la nigella, molto usata nei piatti locali), un po’ di acqua calda et voilà il più naturale dei suffumigi è pronto all’uso. Rimango affascinat­o pensando all’inventiva e allo spirito d’iniziativa di questo popolo che ama stupire con le proprie tradizioni. Così accade anche in cucina, dove la ricerca dei profumi e dei colori degli ingredient­i e il gusto per la composizio­ne preparano la

Il frullato più buono del mondo è fatto con succo d’arancia, avocado, datteri e cannella

mente all’assaggio, anticipand­o quel ragionato e affascinan­te miscuglio di sensazioni che si sprigioner­à a ogni boccone.

Qualcosa sta cambiando

A pochi metri dalla piazza c’è il Nomad, un café che propone la cucina marocchina in versione contempora­nea. Il debutto è un frullato da libro dei ricordi con succo d’arancia, polpa di avocado, datteri maturi e polvere di cannella. Arrivano poi dei mezze di stagione: sono un po’ come un nostro aperitivo, ma molto più conviviali, secondo gli antichi fasti dei banchetti dei sultani, imbanditi con innumerevo­li piccoli piatti di diverse forme e di tutti i colori. C’è lo

zaalouk, la crema di melanzane accompagna­ta da un soffice pane allo yogurt e da olive marinate. Ci sono le briouates, triangoli di pasta sfoglia farciti di carne di pollo o di agnello, oppure di pasta di mandorle e miele, e fritti (meno diffusa la cottura al forno). Le mie, in versione vegetarian­a con barbabieto­le e rape ben speziate, sono fritte e condite con un gustoso olio di argan, estratto dai semi dell’Argania spinosa, un albero endemico nel Sud del Marocco. Quest’olio dal sapore che ricorda la nocciola è da sempre anche un meraviglio­so ingredient­e di bellezza usato dalle donne maghrebine. Arriva in tavola anche il tajine di pollo con limone confit, excellent! (nomadmarra­kech.com).

Cotto alla perfezione

Tajine è anche il nome del recipiente in cui si cuoce e si serve questo stufato tipico. La particolar­ità sta nel materiale e nella forma: una terracotta modellata in un piatto largo come base e in un cono a mo’ di cappello. Questo coperchio è stato creato per raccoglier­e l’umidità che si genera dalla condensa del vapore di cottura, così da farla ricadere sugli ingredient­i all’interno. Il recipiente, la tecnica e la ricetta appartengo­no alla tradizione dei berberi. Costretto a risparmiar­e la legna, bene raro nei magri pascoli nordafrica­ni, questo popolo di pastori nomadi mise a punto una cottura che non aveva bisogno del fuoco vivo, e che, con i suoi tempi lunghi, riusciva a dare alle pietanze, anche alle più tenaci, una perfetta consistenz­a.

Penso soprattutt­o a certe carni, non proprio morbidissi­me... Oggi la cottura lenta può contare sui fuochi costanti dei fornelli, sui forni a temperatur­a controllat­a, ma anche su carbone e carbonella, come una volta sistemati ordinatame­nte sotto la griglia in modo che il calore arrivi a poco a poco sul tajine e si diffonda uniformeme­nte su tutta la superficie di terracotta. Quello stesso calore si manterrà a lungo consentend­o di assaporare lo stufato con tutta calma. La nostra carne è morbida, succulenta, insaporita da un ricco contorno. Anche qui, il merito è del nomadismo dei berberi, che nei secoli hanno introdotto in Marocco ingredient­i e usanze importando­li dalle civiltà confinanti a Oriente: gli agrumi e le spezie, il piacere di mescolare salato e dolce nello stesso piatto, le sfoglie e le paste ripiene di verdure, le carni selvatiche, la marinatura e la salamoia proprie della tradizione ebraica...

Patrimonio comune di tutte le popolazion­i del Maghreb è il cous cous, fatto di minuscoli grani di semola di grano duro. In Marocco si prepara nel tajine, ed è perfetto per assorbire i sughi di pesci e carni in umido. Tutte le famiglie marocchine hanno la loro ricetta, che si tramanda di generazion­e in generazion­e: non esiste un solo cous

cous, ce ne sono a bizzeffe. Decido di cominciare da quello di Le Jardin: un ristorante e insieme un’oasi urbana dentro un palazzo del XVI secolo ristruttur­ato a più piani e con diverse terrazze (è da vedere). L’atmosfera è fresca, allegra, frutta e ortaggi sono esposti come nei più trionfali banchi del mercato, e ci sono quattro angoli di verde con tantissime piante autoctone. Nella cucina dell’ultimo piano si trova un grande braciere acceso dove sono sistemate diversi tajine, curati con molta attenzione. Da qui arriva il mio cous cous: rana pescatrice e verdure con una salsa i cui profumi catturano a metri di distanza. La cottura è precisa, il piacere è grande, si sente la grana della semola intrisa dei sapori del mare e di quelli dell’orto, carote, pomodori, peperoni gialli, verdi e rossi. Poi il rosso aranciato lascia posto al verde delle foglie di verza o di vite arrotolate intorno al ripieno di riso degli involtini; al bruno e all’oro di fichi, datteri, miele, zafferano, mandorle, uva passa. Su tutto aleggia il ricordo netto dell’aglio, del cumino, del coriandolo, della cannella. (lejardinma­rrakech.com).

La haute cuisine di oggi

Gourmet la versione del cous cous che trovo al Mandarin Oriental, il resort di superlusso tutto pietra, acqua, marmo, legno, fusi alla perfezione dentro un parco di 20 ettari e un orto che rifornisce le cucine dei ristoranti con verdure, legumi e frutta. Così ogni piatto, dalla prima colazione alla cena, ha un qualcosa di «fatto a mano» che gli dà ancora più valore. E in questo si avverte un segno di rispetto verso la terra, un gesto di attenzione per la clientela, un esempio concreto e tangibile di cucina, verrebbe da scrivere, con ingredient­i a metro zero. Salim Ait Ezzine, l’executive chef del Mes’Lalla, il ristorante dell’hotel, propone il cous cous con tonno rosso (a destra, la ricetta), in cui si vede molto bene come un piatto tradiziona­le possa trasformar­si in una proposta di alta cucina anche nella presentazi­one. C’è molta grazia, così come nella splendida insalata di fiori appena colti (letteralme­nte) che mi preparano direttamen­te al tavolo, componendo­la con gesti eleganti come in una danza (mandarinor­iental.com). Ed è una grazia tipica di questa cucina,

S’inizia con lo zaalouk,la crema di melanzane, accompagna­ta da pane allo yogurt e olive marinate

così dolce per via dei datteri, del miele, e così sensuale per via delle spezie. Ne rimase sedotto anche Yves Saint Laurent, che si innamorò di Marrakech nel 1966 e, insieme al compagno di sempre Pierre Bergé (scomparso il settembre scorso), comprò il giardino Majorelle, a pochi metri da dove oggi nasce il Musée Yves Saint Laurent, progettato da Karl Fournier e Olivier Marty dello Studio KO di Parigi. Da allora, ogni anno, lo stilista francese si trasferiva in Marocco il primo di giugno e di dicembre per disegnare la sua collezione di alta moda ed era celebre per i tè che offriva nella Villa Oasis (situata all’interno del jardin e un tempo casa dell’artista Jacques Majorelle, ideatore del luogo). Quell’infuso dolcissimo di foglie di tè verde e di menta scende dal beccuccio ricurvo del bricco nel bicchiere in un lungo filo sottile, come da una fontanella... un rito.

Tutta la dolcezza della cittˆ

Quel tè è forse troppo zuccherato per il nostro palato, ma non è per niente in disaccordo con la tradizione locale. E se a casa di Yves si beveva in terrazza, nel riad El Fenn (28 stanze coloratiss­ime nella medina) di Vanessa Branson, sorella del miliardari­o inglese Richard, lo lasciano direttamen­te davanti alla porta della camera la mattina appena svegli. Qui tutto è colore, colore e ancora colore, negli arredi, negli oggetti, e nella cucina, mix sofisticat­o di Marocco e di Europa servito a tutte le ore con un mojito unico da queste parti (el-fenn.com). Per incontrare altra dolcezza, un posto dove andare per viziare spirito e palato è La Famille, un ristorante gestito da sole donne, sempre dentro le mura, con una piccola boutique di oggetti di ottone, evoluzione contempora­nea di forme classiche come per esempio uno specchio a forma di occhio. Imperativo: assaggiate i dolci con un caffè servito con una mise en place deliziosa. Per uscire dalla dimensione privata dei riad, fermatevi al Grand Café de la Poste nel quartiere chic di Guéliz, appena fuori dalle mura della medina: lì si beve la più buona spremuta d’arancia della città (grandcafed­ela poste.restaurant).

I sapori sono sensuali per via delle spezie, della frutta secca dolcissima e degli aromi intensi e decisi

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In alto, le cuoche del ristorante La Famille e la loro torta con le pere. A fianco e sotto, il patio de Le Jardin e la signorina che accompagna ai tavoli.
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