Avrò cura di te
Il lievito madre è una promessa di fedeltà e di dedizione. Dategli tutti voi stessi e vi ricompenserà con il più prezioso dei regali, il pane quotidiano, quello vero e sincero di una volta
Il lievito madre
Mi avevano avvertito: «Guarda che il lievito madre non è una ricetta come le altre… è qualcosa di particolare, di vivo…». Suonava un po’ misterioso, un po’ intrigante, e così per prima cosa sono andata dal mio panettiere di fiducia. «Mi puoi raccontare del tuo lievito madre?» «Non me ne parlare. Abbiamo appena litigato, non voglio sentirlo nominare almeno fino a domani». Allora è vero: è vivo. Arrivata in redazione ho chiesto alla mia collega Sara Tieni, che ha realizzato il servizio L’alchimista a pag. 78, se anche Aurora Zancanaro, panificatrice, aveva un rapporto personale con la sua pasta madre. Mi ha consigliato di chiederlo a lei. Aurora mi ha detto che è come un tamagochi, ha tanti piccoli tasti che ti dicono quando ha fame, sete, caldo o freddo, quando è stanco e quando vuole giocare. A ogni tasto, naturalmente, corrisponde un’azione. «Come? Vuole giocare?». «Eh, sì: quando vuole essere reimpastato, per lui è giocare». Del resto, il lievito madre «è un essere con cui bisogna capirsi e collaborare». Aurora, addirittura, ne ha tre diversi, ognuno con il proprio nome: il primo, e il più antico, si chiama Vagabondo, perché l’ha ereditato a Treviso, e l’ha portato con sé a Padova, a Milano, in Sardegna, a Londra. Il secondo, che ha creato lei con farina di farro monococco, si chiama Cocco di Mamma, mentre il terzo, o meglio la terza, che è di segale, si chiama Cornuta (affettuosamente, s’intende) come una variazione genetica della segale, detta appunto cornuta. Testi LAURA FORTI