La DAMA di CASERTA
«Mi piace cambiare»: così Rosanna Marziale, cuoca a Le Colonne, sintetizza il suo spirito creativo. Lo stesso che l’ha portata finalmente in cucina dopo avere sperimentato tutte le altre professioni che ruotano intorno a un ristorante
A Caserta ci sono due regge: una è la residenza reale più grande del mondo, con i suoi sontuosi giardini; l’altra, poco lontano, è un palazzo della gastronomia, storicamente conosciuto come il ristorante più grande della città, Le Colonne, con saloni distribuiti su tre piani, un tempo tutti operativi. Oggi occupa il piano terra, 800 metri quadrati, grande cucina, laboratorio di pasticceria e quattro sale da pranzo «modulari», comunicanti o separabili. A gestirlo è Rosanna Marziale, dama dei giorni nostri. Proprio come un’arte marziale, anche Rosanna è un’elegante sintesi di armonia e rigore, di dolcezza e di forza: sa quello che vuole e porta avanti le sue idee senza lasciarsi condizionare da schemi imposti. In che senso? Siamo andati a trovarla e glielo abbiamo chiesto. Che cosa la guida in cucina? La Campania, senza dubbio. I miei piatti hanno quasi sempre l’intento di celebrare la tradizione campana e casertana e i grandi prodotti che il nostro territorio ci offre, mozzarella in primis. Certo, abbiamo un menu gourmet, in onore della stella Michelin che, nel novembre 2012, ha riconosciuto il nostro lavoro. Ci ha riempito di gioia e di gratificazione, ma non ha spostato il mio focus. Non ci siamo adeguati agli schemi classici che un po’ «costringono» i menu dei ristoranti stellati e continuiamo a proporre piatti che prima di tutto ci piacciono, che esprimono la nostra anima.
Ci parla di questa anima?
Il nostro è un ristorante di famiglia. Mio padre ha costruito tutto partendo da un carretto di gelati, fuori della reggia. Da uno sono diventati due, poi tre. Dopo ha aperto un bar pasticceria, infine il ristorante. Io, come mio fratello e le mie sorelle, ci siamo cresciuti. Quando avevo sedici anni papà è mancato e noi, ancora giovanissimi, ci siamo rimboccati le maniche per portare avanti quello che lui ci aveva lasciato, cercando di migliorarlo sempre. Mio fratello oggi gestisce l’altro nostro locale, a Caiazzo; una delle mie sorelle è in amministrazione, io sono in cucina e la mamma... supervisiona ancora tutto. C’è molto orgoglio, dedizione, affetto. È il nostro mondo.
Uno dei suoi piatti più noti è la pizza al contrario: che cos ’è?
Proprio come dice il nome, è un «ribaltamento» della pizza classica: mozzarella fuori, pane dentro. Un piatto che parla molto di me: io sono creativa, un po’ irrequieta, anticonformista. Mi annoio a fare sempre le stesse cose. Infatti prima di entrare in cucina, ho sperimentato altre strade: sommelier, maître, pasticciera, persino la parcheggiatrice, da ragazzina. E anche in cucina mi piace cambiare.
Come concilia queste sue caratteristiche con l’attenzione per la tradizione?
Inventando. In cucina bisogna creare idee, non limitarsi ad accostare gli ingredienti. Così si valorizzano davvero i prodotti e gli insegnamenti della tradizione. La pizza al contrario oggi è diventata CarMela, perché al centro c’è una rosa di mela Annurca, anch’essa tipica del nostro territorio. Un piatto che piace perché ha un sapore campano, ma è nuovo, è qualcosa che prima non esisteva.
Questo «pomodorino» (nella foto a sinistra) è un’altra delle sue invenzioni?
È un dolce, una crema di latte di bufala su salsa ai frutti rossi.
Ha un guscio di caramello?
No, è una glassa di sciroppo colorato. È tutto morbido. Non sposo la scuola dei contrasti. Non a ogni costo, almeno. Noi abbiamo a che fare con prodotti a base di latte: c’è un che di materno, di dolce che poco ha a che fare con i contrasti. E poi, basta con questi schemi, a volte sono davvero forzati.
Anche con la sua brigata è così dolce?
Un po’ meno. Oggi c’è troppa... confidenza. Non dico che si debba gridare o comportarsi da despota, seguendo certi modelli di vecchia scuola. Ma trovo che la disciplina sia ancora molto importante in un lavoro come il nostro. In cucina esiste una gerarchia che va rispettata. Riguardo e compostezza non escludono l’armonia, anzi favoriscono risultati migliori. Anche nei piatti.